SEGNALAZIONE RIVISTA FERMENTI
Rivista “Fermenti” 240: "Considerazione su testi creativi" facenti parte del n. 240 (2013) di “Fermenti”.
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Prosa
Molto interessanti, nella parte di “Fermenti” 240 dedicata alla narrativa, i racconti Gli asini di Giuseppe Neri, Nancy lo sa di Gemma Forti e La figlia del vicino di letto di Velio Carratoni.
In Gli asini sembrano essere protagonisti gli asini stessi, come dal titolo; il testo è caratterizzato da realismo ed è ambientato in un clima rurale, in un contesto paesano, durante una fiera, espressione della civiltà contadina.
La vicenda ha inizio un venerdì, quando i contadini scendono in paese per sbrigare le loro faccende, ma anche per rifornirsi di provviste.
Si recano al pittoresco mercato, anche Menico Santopadre e Antoniuzzo Nespolo con i loro asini, un maschio e una femmina. Elemento centrale del plot è l’episodio dell’attrazione sessuale di uno degli asini per l’asina; l’animale cerca di possederla, e lei non accetta l’accoppiamento nonostante l’insistenza della bestia.
Fatto fondamentale è la disperazione isterica dell’asina che per evitare di essere penetrata si mette a scalciare, facendo cadere le bancarelle una sull’altra, come castelli di carte.
Dopo il disastro i venditori denunciano i due amici per i danni arrecati alle loro mercanzie e viene indetto un processo a carico dei due.
Il racconto ha termine con le parole: sono trascorsi alcuni anni da allora e non c’è stata ancora una sentenza definitiva; il verdetto resta indeterminato.
Le descrizioni sono molto pittoresche e minuziose e tutto è pervaso da un’atmosfera paradossale, che pare avere venature pirandelliane.
Serpeggia una certa ironia e, in questa,, e negli elementi suddetti, è riconoscibile la cifra del testo.
In Nancy lo sa viene narrata la condizione dolorosa di una quarantenne ancorata al suo triste passato.
Le descrizioni sono molto minuziose; la protagonista, il cui vero nome è Viola, cambia identità e va a vivere in un’isola.
Nel suo soggiorno rievoca i ricordi tristi che affiorano nella memoria, sotto forma di incubi, come un urlo dalle viscere.
Gran parte della narrazione è composta da un’analessi, nella quale viene detta la provenienza di Viola che ha vissuto un’intensa storia d’amore con un architetto.
La descrizione del ritorno al passato viene detta quasi come una vita precedente della donna.
Viola – Nancy dall’uomo ha avuto un bambino che è morto neonato tragicamente, a causa di un gesto impulsivo del padre, che viene condannato a venti anni di carcere.
Il soggiorno sull’isola non riesce a lenire le pene della donna che spera di essere uccisa da fattori atmosferici.
Nella sua residenza, vissuta come un esilio, trova conforto nell’affetto dei bambini del luogo..
Nancy sa che solo lei può essere artefice del proprio destino, ma ha un atteggiamento verso la vita di passività e di rassegnazione e non trova pace.
In La figlia del vicino di letto l’autore si esprime con una scrittura precisa ed equilibrata.
L’ambientazione si svolge in un ospedale romano descritto in modo minuzioso., come un luogo che dà il senso di qualcosa di squallido ed imbrattato, trattando temi crudi e drammatici.
Nella clinica si assiste ai passaggi di infermieri, portantini ed addetti ai lavori e la struttura viene paragonata a una caserma trasandata o quasi abbandonata.
Il personale medico e paramedico viene detto attraverso le sue conversazioni che vertono su questioni professionali, sugli stipendi e sulle decisioni della Direzione sanitaria e della Regione
. Prevale un efficace realismo nelle immagini che l’autore ci presenta.
Protagonista è l’affascinante figlia del vicino di letto, molto affezionata a suo padre ammalato, che va a trovare nella clinica.
E’ molto approfondito lo scavo psicologico dei personaggi e il rapporto padre – figlia è descritto in modo molto intenso.
La ragazza, che faceva sempre il suo ingresso lisciata e profumata, ricorda con nostalgia la figura paterna che era stata sana e vitale prima di ammalarsi.
Secondo il racconto della figlia, il padre, che aveva fatto il macellaio, era sempre stato un genitore iperprotettivo e aveva fatto studiare la ragazza trasmettendole forza interiore, per superare le avversità, accettare i compromessi.
L’uomo era stato un padre padrone molto autoritario che generava nella ragazza cariche interiori e una certa dolcezza
Chiamato con dolcezza “Papà”, l’uomo, ormai agonizzante, rispondeva con occhi tra lo sbarrato e l’immobile, restando in un silenzio prolungato.
Il malato aveva perso parte delle sue facoltà intellettive e sensoriali e percepiva la figlia come un’ombra oscura.
Non manca il tema della velata malizia della ragazza, nel suo relazionarsi con la figura del primario, che ha in cura il padre, con il quale si comporta in modo seducente, anche se nel plot non viene narrata nessuna pratica erotica tra i due e tutto resta nel vago e nel presunto.
Viene comunicata al lettore tutta l’ansia dell’oceano di dolore inesorabile che si avverte davanti ad un caso incurabile.
Carratoni affronta il tema della carne, paragonando quella umana a quella animale nelle loro differenze intrinseche.
Poesia
Nella sezione dedicata alla Poesia, nel numero 240 di “Fermenti”, ci soffermiamo su L’eterno viaggio della poesia di Umberto Piersanti di Chiara Maranzana, Cantico di stasi (2011-2013) di Marina Pizzi e Roma/Sorrentino di Velio Carratoni.
In L’eterno ritorno della poesia di Umberto Piersanti Chiara Maranzana, in un brano in prosa, che contiene anche poesie, ci parla della sua frequentazione di casa Piersanti e del toccante e intenso rapporto di Umberto con il figlio Jacopo, un bel ragazzo, destinatario di molti pensieri e poesie da parte del poeta.
Jacopo è un giovanissimo diverso dagli altri, più sensibile nella sua dolce semplicità, amatissimo dal padre.
Nei luoghi naturalistici, mitizzati da Umberto, padre e figlio fanno lunghe passeggiate.
Jacopo corre felice ed ingenuo, godendo profondamente della bellezza dei posti, nei quali il genitore lo conduce, con tutto il suo affetto empatico e la sua dolcezza.
Del resto le ambientazioni idilliache paesaggistiche, espressione di una natura incontaminata, sono peculiari nella poetica del nostro e molti libri del poeta di Urbino hanno titoli che hanno esse per riferimento.
Seguono le stesse poesie di Umberto Piersanti Presso il tronco del tiglio e Se t’inquieta primavera, che possono essere considerate dei poemetti.
I suddetti presentano il carattere di una forte verticalità della scrittura.
Entrambi sono connotati dalla suddivisione in brevi segmenti ed iniziano con la lettera minuscola.
Protagonista delle due opere pare essere una natura rarefatta, rocciosa, fatta di campi, monti, alberi, elementi che vengono praticati dall’io – poetante, in tersa armonia e sintonia col tutto e non senza uno sforzo fisico, nelle passeggiate e nelle escursioni compiute dal poeta in compagnia del ragazzino.
La scrittura di Piersanti è cristallina, nitida e leggera e si plasma in un perfetto dominio della forma, per cui i versi sgorgano senza sforzo, gli uni dagli altri, pieni di bellezza e nitore.
Si respira quasi un senso di epicità del quotidiano, in questa poetica ricca di bellezza e precisione.
C’è un tu che accompagna il versificatore nelle sue ricognizioni en plein air, che si svela, presumibilmente, nella figura dello stesso Jacopo, che viene detto con molti riferimenti.
In Cantico di stasi (2011-2013) Marina Pizzi conferma la sua poetica, nella quale, la cifra essenziale è quella di una scrittura anarchica, che si poteva già individuare nelle sue raccolte precedenti (per esempio in Il solicello del basto, Fermenti).
La silloge è costituita da undici poesie numerate, scritte in lunga ed ininterrotta sequenza, in un fluire che si potrebbe definire come neobarocco.
La poetica dell’autrice sfiora la forma alogica; è presente un tu al quale l’io poetante si rivolge, quello dell’amato e non manca una forte componente di visionarietà.
Notevole l’icasticità del dettato, ottenuta tramite versi fluidi e scattanti.
Il ritmo è intenso e dà ai versi un’aurea di arcana musicalità.
S’intravedono accensioni e subitanei spegnimenti
Una scrittura originale, quella della poeta, connotata da una certa magia, raggiunta tramite la sospensione.
Dal tessuto linguistico emerge una notevole inquietudine e vengono dette specie vegetali come cipressi o pioppi, che sembrano permeati da una vena simbolica.
In Roma/Sorrentino di Velio Carratoni, è detta la città di Roma.
Il poeta tramite uno scatto e scarto memoriale, afferma di preferire la Roma del dopoguerra, quando la città riprendeva a rivivere, con una grande voglia di riscatto, a quella attuale, bella ma finta e molto violenta.
Armonico e compatto è il versificare del nostro, che si esprime attraverso periodi brevi, anche di una sola parola.
La composizione è risolta in un’unica strofa.
Notevole la chiarezza del dettato, in questo componimento, nitido, veloce e scattante.
Il poeta si rivolge alla città, pregandola di non rinascere più artefatta, dicendo di preferire la Roma della borsa nera a quella attuale.
La poesia è risolta in un’unica strofa;; nitore, luminosità e limpidezza del versificare .
Poesia descrittiva e intensa del tutto antilirica e antielegiaca, che presenta una vena intellettualistica, senza perdere un afflato teso alla leggerezza e allo stupore.
Molto elegante la forma e lo stile è asciutto ed essenziale.
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Raffaele Piazza