venerdì 31 gennaio 2020

POESIA = RAFFAELE PIAZZA

"Alessia nel rigenerarsi"

Attimo prealbare di Alessia
nel disegnare la vita
su foglio fotocopia del cielo
azzurro come la sua anima.
Si sporge dal balcone
a specchiare il mare delle
barchette all’ancora
e le onde con lo sguardo
pettina come una donna
in amore e lo aspetta
nel rigenerarsi sotto
il tepore del piumone
per fisica gioia di ragazza.
*
Raffaele Piazza

giovedì 30 gennaio 2020

SEGNALAZIONE VOLUMI = ORONZO LIUZZI

Oronzo Liuzzi – Condivido--- puntoacapo Editrice – Pasturana (Al) – 2014 – pagg. 89 - € 11,00

Oronzo Liuzzi è nato a Fasano (BR) nel 1949; ha pubblicato numerose raccolte di poesia e romanzi.
Condivido, il libro di Liuzzi che prendiamo in considerazione in questa sede, composito e ben strutturato architettonicamente, è costituito da undici componimenti, che, per la loro estensione notevole, possono essere letti come dei poemetti autonomi, anche se legati tra loro dal filo rosso del comune denominatore di una forma icastica e ben controllata.
Le composizioni che costituiscono il testo sono: Ercole, Incredibile sorriso, Trasformati forse, Per una nuova vita, Un cuore bianco di dolore, Sara, La vita s’incontra, E mentre le nuvole, L’amore sempre, Nel bosco un corpo sogna, Poesia di carta.
Da mettere in rilievo la tecnica compositiva di ogni singolo testo, che include citazioni in corsivo di brani prelevati da vari autori e autrici da libri di poesia.
La scrittura combinatoria dell’autore, nel suo fare interagire nella dinamica testuale brani propri e di altri poeti, crea un effetto di straniamento e rende intriganti, composite e articolate le singole parti del libro.
Cifra costante di Condivido è quella di uno stile sinuoso, leggero e scattante, che sottende una certa ansia controllata nel poiein del Nostro.
La versificazione procede per accumulo ed è connotata da una forte densità metaforica e sinestesica e il tessuto linguistico spesso s’impenna in accensioni e spegnimenti.
Quasi sempre nei testi la stesura dei versi avviene in lunga ed ininterrotta sequenza, in un fluire scrosciante dei sintagmi, che si potrebbe definire come espressione di una tormentata espressione Liberty o neobarocca.
Spesso la scrittura ha delle scissioni intrinseche tra significati e significanti, che portano alla costruzione di lunghe strofe che presentano andamenti e toni anarchici, fino a sfiorare l’alogico.
Costante è un linguaggio oscuro, che tende ad un inconscio controllato, anche se, a volte, si aprono squarci meno enigmatici nel versificare di Liuzzi.
Serpeggia in tutto il libro un senso drammatico che trae origine dalla vita vissuta in prima persona dall’autore, che è come una fotografia che trova il suo negativo nella stesura delle stesse poesie.
Il tono è assolutamente antilirico e antielegiaco e tende ad una forma personalissima di neosperimentalismo.
Viene da chiedersi quali siano state le motivazioni del poeta nella scelta del titolo Condivido: la risposta a tale domanda risiede nel fatto che, presumibilmente, l’autore pensa di condividere la scissione dalla realtà e dalla natura con i suoi lettori e con l’umanità, frattura sanabile solo attraverso il mezzo salvifico della pratica della stessa poesia.
*
Raffaele Piazza

mercoledì 29 gennaio 2020

SEGNALAZIONE VOLUMI = PIETRO CARDONA

Pietro Cardona – Mi arrampicavo ancora sugli alberi---puntoacapo Editrice – Pasturana (AL) – 2019 – pag. 79 - € 12,00

Un senso religioso ed etico serpeggia nella prima poesia programmatica fuori dalle scansioni del volume a partire da un’invocazione a Dio nell’incipit della prima strofa, nella quale l’io – poetante rivolgendosi al Signore dice con urgenza di sentirlo con intensità in ogni fibra del tempo e del suo corpo, un Dio immanente.
Nella seconda strofa del componimento, in continuum con la prima, a partire dall’unità minima ma il poeta cade nel pessimismo affermando che nel quotidiano affanno della storia nella cronaca di ogni cosa umana incombe il ghiaccio dell’abbandono, della perdita.
La vita dà scacco nell’assenza di Dio, che comunque è un momento forte.
E il poeta afferma con una chiarezza illuminante che la presunta salvezza, gettati noi sotto specie umana nel mare magnum del mondo, consiste nel perseguire ostinatamente la parola, il gesto che diradi la paura della sera.
Nella quarta e ultima strofa di questo componimento senza titolo il poeta afferma con un’apertura alla speranza che è giusto onorare l’uomo, il creato e la memoria nel riconoscere la gioia tramite il profitto domestico che si realizza nel passaggio da una generazione all’altra.
Seguono le ripartizioni del libro che sono le seguenti: Assenza, L’anno del lungo autunno, Il gesto indelebile, I miei figli mi costringono ad essere, Al tempo in cui mi arrampicavo ancora sugli alberi, Il camino, Insonne…, Quando passa oltre.
Una vena intellettualistica e speculativa, dunque, pare essere la cifra distintiva della raccolta e della poetica in generale di Cardona come già si evinceva nel precedente libro L’ascesa e la rinuncia”.
Ma Dio può divenire anche dio, il nulla e la sequenza del limite.
Quindi in bilico tra un atto di fede e nichilismo si gioca la partita dalla quale scaturiscono i componimenti.
Sofferenza e inquietudine traspaiono in queste composizioni sempre controllate e il poeta non si geme mai addosso nel cercare comunque il senso della vita che è una cosa possibile anche se il sottopassaggio rileggendo la cronaca per lui non c’è.
Sospensione e magia connotano i versi di Pietro sempre raffinati e ben cesellati e che spesso hanno venature anarchiche.
Inevitabilmente in un contesto simile anche il tema della morte è affrontato, una morte possibile ad ogni passo, in ogni attimo anche se si rimane in vita e ogni attimo pare sottendere la possibilità della fine.
Il mistero in una sequela di immagine sempre pregnanti e affascinanti è il filo rosso nell’ordine del discorso del testo.
Tra accensioni e spegnimenti i componimenti che sono tutti leggeri e icastici e antilirici si stagliano sulla pagina e al lettore pare di affondare nelle pagine stesse in tessuti articolati, compositi e omogenei.
Arrampicarsi sugli alberi non è arrampicarsi sugli specchi.
C’è una tensione comunque ad un’ascesa che potrebbe avere il senso di una redenzione tramite la parola poetica.
*
Raffaele Piazza

SEGNALAZIONE VOLUMI = LUIGI PALAZZO

LUIGI PALAZZO : "Non raccontarmi il cielo" - Ed. Manni - 2019 - pagg.80 - € 12,00
Una variegata sospensione di versi, tra l'inaspettato frangersi di rime ricercate ed il ritmo cadenzato del breve ed incisivo frammento. Il poeta racconta una storia, anche se il "respiro affannoso di chi sta combattendo" vacilla nel colore,immerso nel magma esistenziale, o la memoria ritorna "nelle mani di un vecchio contadino". Sono pennellate sigillate con la tempera per inseguire sogni, o "immersioni di fragile insolenza, di ingenua complessità, ambizione di semplicità cosciente". Un martellare nella costellazione poetica, tra strisce e luccichii. L'improvviso riallacciare quotidianità ed illusione, desiderio e dimenticanza, pensieri ed agganci, rintocchi del sub conscio e trafitte del tormento, ci trasporta in un racconto che non cerca assolutamente l'orizzonte con arcobaleni, ma l'impeto della tensione umana, infissa tra le immagini della natura e la breve ma invasiva architettura del simbolo. Allora al possibilità di un anelito ha il senso di una sorgente, che abbandona i suoi limiti per inondare spazi, possibili o divergenti, vaghezze e traiettorie, il tutto nella rappresentazione di una fenditura del presente, per ingabbiare la promessa.
ANTONIO SPAGNUOLO

martedì 28 gennaio 2020

SEGNALAZIONE VOLUMI = NAZARIO PARDINI

NAZARIO PARDINI : "Lettura di testi di autori contemporanei" - Ed.the writer - 2020 - pagg.1034 - € 30,00
Un volumone ricco di variegate illuminazioni intorno alla produzione poetica degli ultimi anni. Un excursus impegnato tra decine e decine di autori con la capacità culturale di alto livello, tutta tesa ad evidenziare le opere e gli scritti apparsi tra il 2015 e il 2018.
Nazario Pardini cura con acume il sito "Alla volta di Laucade", presentando quotidianamente interventi che riscuotono particolare interesse presso un pubblico attento e dedito alla poesia, tra frammenti lirici ed insoliti spazi di tempo musicale. Il viaggio qui si inizia con la raccolta di "letture critiche" dei testi di Pardini, con le numerose firme che vanno da Maria Grazia Ferraris a Pasquale Balestriere, da Patrizia Stefanelli a Francesco Casuscelli, a Carmelo Consoli, a Umberto Cerio, per nominarne soltanto alcuni. Dalla pagina 231 il lettore immerge la sua fantasia nei testi di autori contemporanei da Adriana Pedicini a Serenella Menichetti, da Antonio Spagnuolo a Pasquale Balestriere, da Lorenzo Spurio a Claudio Fiorentini, da Luigi Gasparroni a Maurizio Donte,da Rosanna di Iorio a Edda Pellegrini Conte, e via via, rileggendo le pagine che sono apparse nel Blog. Interessante l'inserimento di numerosi testi poetici, alcuni inediti, che rende l'opera un elegante correre, correre, correre fra noi ed il tempo, nella visione ritmata e realistica del sogno oltre la parola. La ineccepibile struttura, che Pardini riesce a concretizzare, respira quel vento fragrante che sospinge la liricità nella narrazione, la potenza critica nella scena temporale, la culla delle emozioni nella memoria del simbolo.
ANTONIO SPAGNUOLO

SEGNALAZIONE VOLUMI = BUCCI E LIUZZI

Rossana Bucci – Oronzo Liuzzi – DNA-----EUREKA EDIZIONI – Corato (BA) – 2015 – pagg. 29

Rossana Bucci, coautrice dell’opera che prendiamo in considerazione in questa sede, è nata a Corato (BA) dove vive e lavora. Poetessa, artista e performer, da sempre ha operato nel mondo dell’arte e della letteratura. Petali di me in volo (2014) è la sua prima raccolta di poesie. Fa parte di numerose antologie e le sue poesie sono apparse su numerosi blog, tra i quali Poetrydream e Big Splash_Network Poetico. È stata protagonista di numerose mostre, tra le quali, “Rosso di donne” è Arte di facciata”.
Oronzo Liuzzi, coautore della presente opera, è nato a Fasano (BR) e vive e lavora a Corato (BA). Artista poliedrico, durante la quarantennale attività, ha esposto in numerosi musei e gallerie a carattere nazionale ed internazionale. Ha pubblicato numerosissime raccolte di poesie ed è inserito in molte antologie tra le quali In forma di scritture (2012) e L’evoluzione delle forme poetiche, a cura di Ninnj Stefano Busà e Antonio Spagnuolo (2013).
DNA è una densa e originale plaquette scaturita dal sodalizio letterario tra Bucci e Liuzzi che, empaticamente uniti nel loro poiein e forti di notevoli e raffinati strumenti espressivi, producono un testo armonico e avvertito.
In esso i materiali forniti dai due autori divengono esteticamente un unico discorso, proprio per la sintonia, sorgiva, spontanea ed estatica che li lega.
Questa si rivela nella fluida urgenza del dire, in una parola attenta e tesa a scandagliare il reale, a riflettere su tutte le situazioni del mondo esterno, partendo, e questo è un dato fondante, dalla dualità dei testi presentati, che si fa un unico ipertesto.
Perché il titolo DNA? A questa domanda sembra di trovare la risposta nelle parole di Rossana quando nello scritto iniziale, intitolato Dialogo in azione afferma che il nostro DNA è un’energia necessaria completamente nuova, originale che abbatte tutte la barriera e distanze come la poesia e l’arte vuol essere.
Se ognuno di noi ha un DNA unico, proprio nella creazione artistica il poeta, essendo in quell’atto, più che in ogni altro, autenticamente sé stesso, riesce a raggiungere la verità, sgretolando ostacoli e spazi, come dice la stessa Bucci.
La poesia deriva da uno scatto biologico connesso alle profondità dell’inconscio e sotteso per ogni vero poeta proprio al DNA: così, come afferma Liuzzi, il poeta si fa interprete del rapporto che unisce l’essere al divenire per ri-trovare un transito di appartenenza e soprattutto per vivere la vita come luogo di costruzione e di condivisione.
Si potrebbe aggiungere che proprio tra essere e divenire si situa l’attimo in senso heidegeriano, feritoia atemporale, dalla quale scaturiscono i versi, unico antidoto, nello stabile tendere e avvicinarsi all’indicibile, allo scorrere inesorabile del tempo.
In Gocce di emozioni, una delle poesie più alte del testo, il binomio Bucci – Liuzzi (in corsivo le parole di lei e in formato standard quelle di lui), realizza un tessuto linguistico suadente, luminoso, icastico e magico, nel riflettere sui temi della verità, del dire, del tempo, dello spazio e sul comprendersi tra persone.
In una chiarezza sottesa ad un uso magistrale di metafore e sinestesie, si giunge ad un livello ontologico nella poesia stessa che ricorda vagamente, che sembra essere somigliante, come da una provenienza, alla poetica di Mario Luzi.
*
Raffaele Piazza

domenica 26 gennaio 2020

POESIA = RAFFAELE PIAZZA

"Fiore di padre"



Dal cielo delle
tue mani alle mie
un fiore d’erba
azzurro sotto il sole
hai messo per caso
a sbocciare per
altre generazioni.

1
Hai attraversato
il tempo in auto e
sei venuta a dare
il senso del latte
al figlio diciottenne,
amato e non voluto
nella magia duale e

2
nella chiostra
prealbare nel movimento
di gioia dello specchio
la tua fotografia
ad entrarmi per gioco
negli occhi e
il jet che ti ha
portato nel candore
del cappotto l’anima
di vetro nel fondersi
della notte con la
visione dei pini
piantati nel primo
‘900 in Villa
Comunale e

3

qui si respira aria di
trasparenza degli occhi
incanto di sorgente
dai tuoi fianchi
di ragazza nel tendere
alla via serale e
una scala per salire alle
cose della natura è rimasta
nelle durate, incantesimo tra
i nostri genitori e i nostri
figli e sei partita per altre
navigazioni su internet
e sul bordo del Mediterraneo e

4

oltre lo squillo del
telefono e la lettera alla
portineria arrivata
o nel nuovo diario,
per accedere al luogo
dove eravamo venuti
con il bambino quando
aveva cinque anni e
ora è la stagione delle
spighe e il figlio ha
18 anni, la forza
trasparente dell’aria
nell’accadere di ore
al mio polso sottile e

a stringere la giovinezza
a respirare la brezza
di un luglio dove tutto
è fermo anche del sole
la lamina, il dischetto
che vedi alle diciannove
dall’oasi del Parco
Virgiliano e poi
la forza nelle gambe
che vengono da me
se sei l’icona a
scendere nella camera
della mente e nella
stanza fino a
di leggerezza porti
altri.
*
Raffaele Piazza

SEGNALAZIONE VOLUMI = RAFFAELE PIAZZA

Raffaele Piazza – Alessia e Mirta---Ibiskos Ulivieri – Empoli (Fi) - 2019 – pag. 51 - € 12,00

Alessia e Mirta, alias di Eros e Thanatos, vivono, nell’ultima raccolta che ci propone Raffaele Piazza, in totale pienezza e fino all’estremo le loro pulsioni. Alessia, Eros, nel dialogo d’amore erotico e tenero con Giovanni, si fa vita e canto, passione vissuta, emotivamente e fisicamente, fino a divenire quel volo che ci mostra il mistero dell’esistenza, l’osmosi di corpi e mondi interiori. Ad Alessia/Eros si contrappone Mirta/Thanatos, Mirta che amplia e dilata le sue pulsioni di morte fino ad arrivare a suicidarsi. Con il suicidio di Mirta, Eros e Thanatos prima nettamente distinti e incarnati l’uno da Alessia e l’altro da Mirta, ora si ritrovano ad amalgamarsi nel tempo e nello spazio della sola Alessia. L’Alessia straripante di Eros si ritrova, dopo il suicidio di Mirta, ad accogliere quella parte buia dell’esistenza che prima sembrava così lontana dal proprio orizzonte. Nel subconscio e nella coscienza di Alessia Eros dunque comincia a ritrarsi e Thanatos vi entra prima in punta di piedi e poi con sempre maggiore forza. Alessia sperimenta così una nuova pienezza e si scopre parte di un cosmo dove amore e morte con prepotenza si dilatano combaciano aderiscono.
Alessia e Mirta, questa nuova raccolta di Raffaele Piazza, è memoria biografica e storia personale di Alessia e Mirta ma anche disvelamento/estensione di emozioni che si fanno testo dopo testo sempre più intense, e di un timbro sempre più nitido. Piazza ancora una volta con una tecnica già felicemente sperimentata in Alessia, la sua precedente raccolta, ci pone di fronte a dei testi che per la precisione dei dettagli parrebbero essere fotogrammi, fotogrammi che si fanno cassa di risonanza perché in Alessia e Mirta riconosciamo le nostre parole e le nostre pulsioni.
Alessia e Mirta, con le loro esistenze, ci parlano e seducono e Raffaele Piazza con il suo linguaggio riesce a donarci due forti testimonianze di vita. Il lessico di Piazza è infatti un lessico ancorato al quotidiano, e, proprio perché ancorato e tattile, riesce a schiudere geografie interiori e picchi di mondi e vita che ci rivelano e disvelano compiutamente il nostro essere ed esistere, le molteplici sfaccettature dell’essere al mondo.
Alessia e Mirta. Meglio, Eros e Thanatos che con la loro presenza scolpiscono luoghi e tempi orientando e orientandoci in orizzonti di vita amore e morte.
*
Silvia Comoglio

sabato 25 gennaio 2020

POESIA = ANNAMARIA FERRAMOSCA

"Il tuo passo"

è il tuo passo che inseguo
fino a morirne
piano pianissimo mentre m’infuria
il mondo sulla nuca

è così che curo il pianto dei millenni
voglio questa lenta morte a ritroso
questa risorgenza

chiedo al mio dio dell’eros
al dio gioioso che mi preme sui seni
che mai si fermi
questo riprogrammarci ripetuto
chiedo che non mi rubi
il delirio dolce del digiuno
il pallore del tuo viso nel preludio
e questa febbre che ci muove
il gioco l’abuso l’abisso

chiedo al mio dio dell’eros
al dio che limpido vola sul caos
che non mi rubi
il ritorno ancora e ancora
al punto di partenza
il mai sazio sapore della fine

ritrovarci naufraghi
sulla feritaluce dell’origine
ancora pulsa onda dopo onda
da un ignoto mare
*
ANNAMARIA FERRAMOSCA

SEGNALAZIONE VOLUMI = PIETRO SALMOIRAGHI

Pietro Salmoiraghi – Anatomia dell’ovvio---Ed. La Vita Felice – Milano – 2014 – pagg. 71 - € 10,00

Pietro Salmoiraghi, architetto, è nato a Milano nel 1941; ha pubblicato romanzi e raccolte di poesia.
Con Anatomia dell’ovvio l’autore perviene al suo esito più alto, raggiungendo la piena maturità espressiva.
Il testo presenta una prefazione di Elena Pozzi, ricca di acribia nell’individuare le coordinate formali e stilistiche del poeta.
Il libro, ben strutturato architettonicamente, è scandito in due sezioni: quella eponima, costituita da cinque componimenti, e A passo d’uomo, composta da tredici poesie.
Scrittura del tutto antilirica e antielegiaca, quella di Salmoiraghi, connotata da una forte tendenza all’introspezione, che si collega ad un certo pessimismo, ad una ricerca del vero senso della vita, che potrebbe sembrare ovvio, nel suo consistere nella ripetizione giornaliera di un quotidiano che va stretto, ma che trova il suo etimo più profondo, per un riscatto, proprio nello schiudersi della parola poetica, nell’urgenza del suo inverarsi e della sua pronuncia.
Nella poetica di Salmoiraghi ancora una volta la parola si fa salvifica, spalanca il varco per ritrovare sé stessi nel mare magnum della realtà in cui siamo gettati dalla nascita.
Appena nati già cominciamo a morire, scrive infatti Pietro per esemplificare quanto suddetto.
E infatti il nulla, il limite, la morte sono temi ricorrenti in Anatomia dell’ovvio, che ha anche una vena, una valenza vagamente filosofica nell’indagare il destino umano nella storia, quello dell’io-poetante e quello collettivo.
A livello stilistico si riscontra una forte originalità per la maniera con la quale le composizioni sono strutturate.
Infatti tutte le poesie sono formate da segmenti tutti staccati tra loro, costituiti in genere da pochi versi o anche da un verso solo.
Nel confrontarsi con questa poesia ci si accorge subito di una sua notevole vena epigrammatica, nel suo essere assertiva per il suo divenire il risultato di immagini generate dalla riflessione, più che dalla mera descrizione.
Pensosa e vibrante nelle sue accensioni e nei suoi spegnimenti, nel restituirci la brutalità dell’esistere nel suo dolore, connaturato a quella che Pavese chiamava la ferita, dalla quale nascono i versi, Pietro Salmoiraghi,
con uno sguardo leopardiano ci fa partecipi della condizione definita da Mario Luzi, Sotto specie umana, titolo di una delle sue ultime raccolte.
Essenzialmente un dialogare con sé stessi, nel quale il dolore è dominato attraverso una forma sempre controllata.
Come scrive Elena Pozzi nella prefazione, il Nostro è un poeta della schiettezza e del parlar chiaro, che non teme in questa sua ultima raccolta di poesie di guardare, quasi esaminare le strutture dell’ovvio, la sua anatomia, come il suo calzante titolo suggerisce.
Una visione del mondo che diviene esercizio di conoscenza tout-court, che si traduce in un versificare alto ed elegante.
*
Raffaele Piazza

RIVISTA = LE MUSE

Le Muse----Bimestrale per il mondo dell’arte e della cultura – Anno XIX – dicembre 2019

Le Muse è una rivista d’arte e cultura cartacea fondata da Paolo Borruto e Maria Teresa Liuzzo diciannove anni fa e quindi può considerarsi storica nel nostro panorama letterario, scenario nel quale molte riviste di questo genere chiudono i battenti dopo poco o pochissimo tempo dai loro inizi.
Le Muse è organo ufficiale dell’Ass.ne Lirico – Drammatica Arte e Cultura Pasquale Benindende.
Maria Teresa Liuzzo ricopre i ruoli di Editore, Direttore Responsabile e Direttore Pubbliche Relazioni.
I vicedirettori sono Davide Borruto e Stefano Mangione e lo stesso Borruto è Direttore della Redazione e gestisce i rapporti con gli Istituti Culturali.
Molto nutrito il Comitato Letterario di Redazione del quale ha fatto parte la figura di spicco di Giorgio Bàrberi Squarotti.
Le Muse annovera Corrispondenti Esteri in Romania, Spagna, U.S.A. e Argentina.
La Direzione e l’Amministrazione di Le Muse sono a Ravagnese di Reggio Calabria e tra le riviste artistiche stampate del Meridione, quella che prendiamo in considerazione in questa sede, può considerarsi una delle più serie ed eclettiche.
Ricchissimo il sommario che presenta l’Editoriale di Davide Borruto.
Interessante la rubrica Gli Aforismi di Antonio Martone.
Seguono parti dedicate a poesie di poeti dei quali spesso sono inserite le fotografie e sezioni che contengono poesie di poeti italiani celebrati all’estero come Delma Cigarini tradotta in lingua tedesca.
In AUTORI ITALIANI DEL TERZO MILLENNIO il personaggio del mese è Maurizio De Giglio insegnante e scrittore.
Nel bimestrale s’incontrano saggi e recensioni di notevole livello e la sezione OSSERVATORIO INTERNAZIONALE include lo scritto di Mauro Decastelli Un percorso lungo i sentieri della scienza, della filosofia, della letteratura e delle loro interazioni, seguendo la falsariga di SALTI QUANTICI.
In chiusura LIBRI IN VETRINA e a colloquio con i lettori di tutto un po’.
Centrale in questo numero l’attenzione dedicata con tre recensioni, delle quali una molto corposa, al romanzo di Maria Teresa Liuzzo … E adesso parlo! scritti a firma di Stefano Mangione, Carlotta Casolaro e Filomena Scarpati.
Una lettura impegnata, un caleidoscopio di articoli e testi poetici connotati dal comune denominatore della qualità a dimostrazione che ancora una volta scommettere sulla poesia e l’arte in generale con espressioni cartacee si rivela una scelta vincente per i valori dell’essere che sono ancora in piedi in un mondo dominato dalla mentalità dell’avere.
Un’immersione tout-court nella bellezza che supera di gran lunga la mentalità del mero apparire.
*
Raffaele Piazza

venerdì 24 gennaio 2020

POESIA = ANTONIO SPAGNUOLO

BLUFF
Mi sembra un bluff tutta la mia vita,
sfuggita come un battito d'ali,
perchè non resta nulla oltre i ricordi
affievoliti dei giorni sempre eguali.
Mille libri incamerati nelle meningi
sono svaniti d'incanto e il mio sapere
vacilla nell'inganno del futuro.
Ho bleffato agli studi sorridendo
nel giro vorticoso degli esami,
ho bluffato per lunghi cinquant'anni
tra diagnosi d'impegno e terapie,
ho bluffato alle donne capricciose
dichiarando gli amori clandestini,
ho bluffato nel recitare i versi
di queste mie poesie oltre misura,
ed ora bleffo per non cadere invano
tra gli artigli del dubbio dell'eterno!
ANTONIO SPAGNUOLO
**
**
LA BURLA
Me parece un engaño mi vida,
huída como un batir de alas,
porque no queda nada más allá de los recuerdos
empalidecidos por los días monótonos, siempre iguales.
Mil libros encerrados en las meninges
se han desvanecido mágicamente y mi saber
vacila en el engaño del futuro.
He engañado los estudios sonriendo
en la rueda frenética de los exámenes,
he engañado a lo largo de cincuenta años
entre diagnosis di responsabilidad y terapías,
he engañado a las mujeres caprichosas
daclarando los amores clandestinos.
He engañado recitando los versos
de mis poesías fuera de medida,
y ahora engaño para no caer en vano
en las garras de la duda del eterno.
** Traduzione di Francesca Lo Bue

SEGNALAZIONE VOLUMI = STEFANO VITALE

Stefano Vitale – Incerto confine--Illustrazioni di Albertina Bollati- Ed.Disegno diverso – 2019 – pag. 65 - € 20,00

Il libro che prendiamo in considerazione in questa sede è stampato in settecento copie numerate delle quali le prime cinquanta contengono un’opera originale di Albertina Bollati.
Le poesie sono precedute dal brano introduttivo di Vittorio Bo intitolato Se alzi un muro pensa a ciò che resta fuori.
Il poiein in Incerto confine è connotato da un tono chiaro e affabulante apparentemente elementare ma intrinsecamente complesso, composito e articolato.
In La paura della gioia ritroviamo la bellissima sinestesia ad ascoltare il suono/ dell’erba crescere lontano.
Il testo non è scandito è per la sua compattezza contenutistica, tematica e semantica potrebbe essere letto come un poemetto.
Le immagini nei componimenti sgorgano le une dalle altre e una natura rarefatta specialmente di tipo vegetale e permeata da un afflato cosmico nell’essere detti il cielo e il mare pervade le composizioni.
Si amalgamano bene i controllati componimenti nell’intersecarsi con le immagini pittoriche nel crearsi una fortissima dose d’ipersegno così che diviene quasi un ipertesto l’opera attraverso le due linee di codice.
Una vena vagamente neolirica è la cifra essenziale della poetica di Vitale che raggiunge in numerosissimi passaggi una forte linearità dell’incanto.
Notevole il ritmo impresso alla parola detta sempre con urgenza che crea una musicalità suadente e sincopata.
Sospensione e una certa magia connotano i dettati linguistici icastici e leggeri.
Un amore creaturale per la vita che sa stupirsi sottende implicitamente i componimenti imbevuti di luce e veloci che trasmettono una capacità di meravigliarsi che ricorda quella che si prova leggendo le poesie di Tagore.
Nelle belle immagini della Bollati s’inseriscono efficacemente scritti tratti dalle poesie che si definiscono con la grafia dell’autore stesso.
Il piacere del testo letto s’intensifica attraverso le belle figure a colori della pittrice.
È detta la condizione umana in L’eco di Paul nei versi restiamo prigionieri dei confini/ qui tracciati avvinti al nostro corso/ poesia nella quale sono inseriti versi di Celan.
Bello il cromatismo delle immagini che sembra dare colore ai componimenti nel fondersi dei livelli espressivi.
C’è una certa tendenza alla fluidità nel versificare di Vitale nell’inverarsi dei versi in lunga ed ininterrotta sequenza, cosa che crea nel lettore stupore.
E sono toccati anche i temi politici e sociali dei fenomeni dei migranti e degli attentati terroristici dell’Isis.
Il tema del confine incerto come dal titolo è ricorrente, confine tra pieno e vuoto, essere e nulla.
Il poeta e la pittrice, intrinsecamente legati, danno vita ad un’opera che è espressione della capacità salvifica della poesia e della pittura e, tra loro, tutte le arti sono sorelle.
*
Raffaele Piazza

giovedì 23 gennaio 2020

SEGNALAZIONE VOLUMI = LORETTO MATTONAI

LORETTO MATTONAI: "Cantabili" - Ed. Bandecchi e Vivaldi - 2019 - pagg. 32 -s.i.p.
Un tratteggio musicale che si estende per il canto che ogni composizione riesce a trasmettere, con delicatezza e contemporaneamente con arguzia. Il verso, per lo più breve, avvia ad un ritmo che accarezza la parola poetica e la illumina di riflessi cangianti ad ogni pagina, tra improvvise vertigini di orgasmo "in valigia/ dove l'amore/ si pressa si pigia" o nella cucitura del buio che la notte avvolge "coi primi moduli già spenti/ oltre ruoli appesantiti". - "L'apertura alla cultura più o meno diffusa - scrive Massimo Bacigalupo nella prefazione- anche e sopratutto linguistica, rimane una caratteristica della lingua di Mattonai, che sceglie un registro appunto vernacolare, da vecchio ragazzo..." e la scrittura si addensa quando le immagini si fanno colorate e le illusioni ritornano "oltre le foglie oscure". Il titolo da il segreto al cantabile, proprio perché alcune poesie sembrano filastrocche da sussurrare sottovoce o canticchiando. Un esempio :"Giù dal cielo le sue fusa/ questo giorno è un gatto grigio/ il suo pelo sopra il mondo/ e sui topi qua nel fondo..." L'irrompere dello stupore diviene un quadro composito dalle diverse coloriture, dal tempo e nel tempo, e nella essenzialità della tensione astratta o fissata nella sintesi.
ANTONIO SPAGNUOLO

SEGNALAZIONE VOLUMI = FRANCO CELENZA

Franco Celenza – Di certi inverni della mente--puntoacapo Editrice – Pasturana (Al) – 2016 – pagg. 75 - € 12,00

Franco Celenza, drammaturgo e storico del teatro, ha pubblicato testi di saggistica, di poesia, commedie rappresentate e sceneggiati radiofonici diffusi in rete nazionale.
Di certi inverni della mente, il libro del Nostro che prendiamo in considerazione in questa sede, presenta una prefazione ricca di acribia di Ivan Fedeli.
La raccolta non è scandita ed è costituita da composizioni tutte fornite di titolo e risolte efficacemente in un’unica strofa.
Frequente in ogni singola poesia l’uso dei punti in modo tale che ognuno dei componimenti è formato da varie parti che si collegano tra loro. In questa maniera il poiein di Celenza emerge come connotato da una forte compattezza stilistica.
I versi procedono per accumulo di immagini eleganti e calibrate, leggere e nello stesso tempo icastiche, scattanti, luminose e nitide.
Cifra essenziale della poetica, che Franco esprime nel libro, è quella di una vena neolirica e affabulante, pervasa da grazia e bellezza.
Una natura rarefatta, a volte solare, in altri casi oscura, sembra essere la protagonista del testo e l’io-poetante, calato in questo contesto, subisce inequivocabilmente il suo fascino, in un percorso che va dai sensi al pensiero e alla mente.
La chiave interpretativa del testo si può ritrovare nella poesia intitolata E’ autunno improvviso: in essa viene svelato, con parole scabre ed essenziali, l’alternanza delle stagioni con il loro influsso, non solo climatico, sulle persone
Nella suddetta poesia vengono detti con urgenza gli inverni della mente, già nominati nel titolo.
L’inverno inteso qui dal poeta è vissuto come un tempo vago che, con i brividi del freddo e la neve, porta ai rimpianti di una stagione lontana quando tutto sembrava vero e gli anni che correvano erano quelli della migliore fortuna.
Tale situazione si rivela proprio nella mente del poeta, dalla quale sgorgano i versi agili e chiari
Il tema della mente è presente anche in La falena: nel suo incipit il poeta dice che ci occupò la mente una falena nel suo esistere in una casa, ambiente vago. Poi la falena stessa scompare dal vivere e con ali vistose oltrepassa lo stupore e libera la mente.
Un tono mitico si inserisce nel discorso quando vengono detti la Fenice il sole re o gli dei.
Anche il tema erotico – amoroso viene toccato dal poeta in Notturno agosto, testo nel quale l’argomento è quello dell’idillio di due amanti. Qui le menti dei due contengono pensieri simili ad ori splendenti.
Una scrittura originale, quella di Celenza, nella quale sembra d’intravedere un andamento teatrale nelle descrizioni (non a caso il poeta è anche drammaturgo).
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Raffaele Piazza

mercoledì 22 gennaio 2020

SEGNALAZIONE VOLUMI = RAFFAELE PIAZZA

Raffaele Piazza, ALESSIA E MIRTA (Ibiskos Ulivieri) febbraio 2019

Ho pensato spesso, leggendo questo libro, di trovarmi catapultata, per analogia, in uno dei fortunati romanzi di Elena Ferrante: L’amica geniale. Vuoi per contiguità geografica, essendo l’autore, e forse, la vita delle due protagoniste, accadute in quelle terre. Varie sono le poesie che testimoniano quei luoghi. Oppure per la doppia presenza nella scena e nella trama. Ma evidentemente così non è, trattandosi per Alessia e Mirta di un affresco, certamente, più contemporaneo, dove non si respira quell’ aria di miseria, stagnante putrefazione, violenze familiari e soprusi sociali di cui apprendiamo nel citato romanzo. Qui, le due protagoniste, sebbene siano rappresentate con un importante scarto di versi: più numerose quelle dedicate ad Alessia, snodano per mano dell’autore le più svariate vicende, in una sequenza di poesie istantanee, scattate all’indomani della sveglia mattutina, nelle stazioni, su un jet o lungo le carreggiate di un’autostrada. Del loro destino, l’autore, esibisce molti fiori all’occhiello, a volte tristi e malinconici, a volte ironici e riconoscenti. Dove il filo sembra sempre essere quelle delle emozioni più profonde dell’animo umano. Sensazioni senza le quali sembra non esistere vita, o cibo genuino per essa. Semplicemente la ricerca di una più pacifica dimensione da augurarci. Per Alessia: sera di plenilunio d’estasi, sfogliando una margherita rosa tutto può accadere ai blocchi di partenza… nel campo animato, in arcobaleni, di bei sogni. Sfogliando la margherita dai petali dispari. E ancora: Onda a lambirla di fianco/e di traverso di Alessia/la barca verde. Si apre il cielo/stella notturna nel guidarla, /- Alessia nel jet si identifica con una bianca scia che regala presenza e vita, in una dimensione di azzurrità. Mirta sembra avere altri destini, una presenza più discreta e oserei dire, figura essenziale del libro. È un’anima di luna che ti dice di non avere paura. Mirta è l’amica che ti raggiunge nei momenti chiave della vita o della scrittura, quando pensi a una canzone o recitando i versi di una poesia, colei o colui che vorremmo avere sempre al nostro fianco, o di cui abbiamo vivido il ricordo, forte e costante, nonostante tutto: Se sul farsi della tela/della sera firmamento/infiorato da stelle margherite/ti penso succede ancora/di fotocopiare la felicità/di quando dividemmo/l’innocenza di un gelato (pag. 37). Così il tempo passato, sembra non scalfire la solida unione tra la protagonista e l’io narrante; nel tempo si fanno largo i ricordi: Amicizia fiore raro hai ancora/per me dall’oltrecielo ora che/non sei più carne ma solo anima, /il tuo suicidio mi turba e il giorno/prima ridevi come una donna/ma eri infelice. Anche oggetti di uso comune, come un pacchetto, una cassetta, restano segni tangibili di unione e comunione, testimonianze tra noi, la vita reale e il mistero della morte, che scuote e annoda ogni vita.
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Lina Salvi

SEGNALAZIONE VOLUMI = BRUNO GALLUCCIO

Bruno Galluccio – Verticali---Einaudi – Torino – 2013 – pag. 113 - € 12,00

Bruno Galluccio è nato a Napoli. Questo è il suo primo libro. Quella del nostro è una poesia che tende a fare affiorare “il lato rovescio del pensiero” attraverso vari modi: slittamenti semantici, spazi deformati, visionarietà onirica. In questo contesto entra in gioco anche una serie di metafore tratte dal linguaggio matematico che rimandano a un mondo di certezze e di perspicuità continuamente disatteso. Come nella poesia dedicata a George Cantor, vera e propria cerniera aperta a metà del libro, dove alcuni aspetti del pensiero del grande matematico diventano l’occasione per una percezione diretta e acuta della complessità e del “confronto terreno tra infiniti”. I versi di Galluccio muovono da una ferita esistenziale che trova espressione in varie forme di linguaggio quotidiano, dilatandosi e trasformandosi in simboli capaci di spostare verticalmente le immagini, le distanze, i nodi irrisolti. Senza fare esplicitamente una poesia metafisica. Galluccio recupera tutta la pregnanza di scorie e residui della realtà interiore ed esterna, come se il prolungamento di questi dettagli potesse condurre, non tanto a risposte pacificanti, ma a nuove domande, a nuovi problemi che nessun teorema sembra in grado di risolvere. Il fatto che le poesie di Verticali siano tutte senza titolo, ne accresce il senso di sospensione. La raccolta, compatta dal punto di vista espressivo, è scandita in tre sezioni, intitolate: Piano di emersione, Proiezioni e Verticali. Tra la sezione Proiezione e quella Verticali, incontriamo la poesia intitolata George Cantor matematico, componimento, da una parte a sé stante nella raccolta, ma per altri versi, centrale e inserito in modo forte nel tessuto dell’opera complessiva. In tutte le scansioni incontriamo un “tu” femminile, al quale il poeta si rivolge, un “tu”, che, presumibilmente, è quello della figura della donna amata dal poeta, cosa che si può evincere dal tono colloquiale e anche connivente, con il quale l’io-poetante Galluccio le si rivolge. È un “tu” di una donna che non risponde al poeta, creando una zona di non detto. Quasi tutte le poesie del libro sono costituite da brevi strofe. Riscontriamo nella poetica di Galluccio, espressa in questo libro, un costante onirismo purgatoriale, fattore costante in tutte le sezioni, una luminosità lunare e non solare e, leggendo i componimenti di Verticali, pare di attraversare un territorio misterioso e sfuggente. Si può considerare del tutto antilirica la scrittura di Verticali, e, in essa, la natura, rappresentata attraverso vari elementi, soprattutto vegetali, ha una notevole importanza. Il tono della raccolta è sognante e, spesso, vengono dette “atmosfere del freddo”, che fanno da sfondo ai componimenti. In molte poesie di Verticali si avverte il senso di un’imminenza, di un’ansia controllata che pervade i versi scattanti. Galluccio ha, studiato matematica; per questo molte poesie della raccolta, hanno per contenuto temi prelevati tout-court dal linguaggio matematico. Questo insieme di “poesie matematiche” è caratterizzato da una grande originalità e costituisce un unicum nel panorama della poesia italiana contemporanea.
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Raffaele Piazza

martedì 21 gennaio 2020

SEGNALAZIONE VOLUMI = GUIDO CASERZA

Guido Caserza – Flatus vocis---puntoacapo Editrice – Pasturana (Al) – 2014 – pagg. 95 - € 11,00

Guido Caserza è nato a Genova nel 1960; ha pubblicato numerosi libri di poesia e narrativa.
Flatus vocis, prefato con notevole acribia da Marco Berisso, ritrova, nel suo titolo, le ragioni della sua progettualità.
Non a caso la suddetta espressione latina ha per significato: parole e frasi senza importanza, che non producono nessuna conseguenza.
Da quanto affermato si potrebbe dedurre la presenza, nella concezione letteraria dell’autore, di un’idea, secondo la quale, le poesie non hanno peso nel contesto della nostra società, nel nostro postmoderno occidentale, dominato nelle coscienze dai valori dell’avere, che superano di gran lunga quelli dell’essere, come già stigmatizzato da Erich Fromm negli anni Ottanta.
Se la poeta Patrizia Cavalli ha scritto la raccolta di versi Le mie poesie non cambieranno il mondo, si può intendere che anche Caserza, pur praticando la poesia, pensi che quest’ultima non abbia la capacità e la possibilità di influire su una realtà pesante e liquida come quella della nostra contemporaneità.
Non per questo si deve intendere che per Caserza, o per qualsiasi altro poeta, la poesia sia inutile a livello soggettivo, perché la scrittura stessa, a livello personale e intimo, è salutare anzi salvifica, per ritrovare sintonia e armonia nel mare magnum della quotidianità.
La poesia può anche essere un modo per lanciare un messaggio in bottiglia per relazionarsi con gli amici e i critici letterari ed è molto vitale attualmente, se non altro perché sono moltissimi quelli che scrivono libri di poesia e numerosi sono gli editori che pubblicano nomi anche sconosciuti nel circuito letterario.
Flatus vocis è una raccolta composita e ben strutturata architettonicamente.
Il libro è scandito nelle seguenti sezioni, tutte costituite da pochi componimenti: Sestini, Sonetti minimi, Scritture, Vexilla regis, Sax Suite, Imitazioni, Sic et simpliciter, Traveggole e Il libro dei morti.
Cifra essenziale della poetica del Nostro è quella di una forma delle composizioni veramente originale: infatti tutti i testi sono caratterizzati da verticalità e composti da brevi strofe.
Originalissimo il linguaggio di questo autore nel primo testo, che pare essere costituito da un impasto linguistico di italiano e latino, che produce un idioletto veramente unico nel nostro panorama.
Icasticità e velocità costellano la dizione dei componimenti, nei quali sono frequenti accensioni e spegnimenti.
Una tematica mistica connota la sezione Scritture, nella quale, non a caso, i testi sono intitolati: Giobbe, Salmi, Proverbi e Qoèlet.
Molte composizioni sono costituite da terzine dai versi brevissimi e ben modulati.
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Raffaele Piazza

SEGNALAZIONE VOLUMI = ANTONIO SPAGNUOLO

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Antonio Spagnuolo: POLVERI NELL’OMBRA
Pagg. 91, € 12,50
Oèdipus, Salerno 2019

La nuova raccolta di poesia di Antonio Spagnuolo è un ulteriore tassello di quel Canzoniere dell'assenza (per citare un libro del 2018) dedicato alla moglie scomparsa alcuni anni fa e il cui ricordo e la cui rievocazione sono ormai il motore principale della sua ispirazione poetica. Ricordo al quale in quest'ultimo libro l'autore si avvicina dapprima come sottovoce senza nominare ciò che manca ma proiettando tale innominata assenza in un contesto di mutazione più ampio: "Invano cerco la mia città dei giochi di fanciullo" è il primo verso. E se nel secondo testo si parla di "mura ormai ridotte al nudo", in quello immediatamente successivo compare una "scrivania, ormai spoglia / di ogni ricordo, di ogni dolcezza". Nuda, spoglia è la vita stessa del poeta nell'assenza della persona amata. Contro l'ormai "illogico sognare" si leva inutilmente un "urlo" che non può richiamare indietro chi ormai non c'è più (Non ritorni è il titolo di un libro del 2016). Solo a p. 11 compare lei, a sua volta come "nuda figura". Una figura evanescente ma incombente: "L'ombra frana e s'incrina nei dettagli, / nell'urgenza della tua figura, quasi fantasma immobile nelle crepe del muro, / che mi opprime ogni sera, che incombe / a schiacciare i miei muscoli invecchiati".
La tarda età raggiunta dall'uomo ormai rimasto solo - tanto che "Sono frammenti di scrittura anche le rughe" (parole che la vita ha inciso sul corpo) - questa tarda età non impedisce di rievocare la sensualità e la sessualità che ha unito la coppia: "Dolce la tua passione mi sconvolge / nell'attimo che abbaglia le tue ciglia, / tra il cuscino e il ricamo delle coltri. / [...] / Inseguo la pelle, il sudore, il tuo profumo / che tra le cosce evapora al mio tocco / e rincorrono illusioni di un amore / che non tarda a comporre melodie". Si tratta di "illusioni" perché poi la vita nel suo scorrere vorticoso nel tempo ha tolto ciò che prima ha dato. La precarietà della condizione umana, e dei sentimenti ed emozioni che pure l'animano, risulta ancora più evidente nello stridente contrasto con termini come "infinito" ed "eterno" che ritornano spesso in queste pagine a rimarcare appunto la fugacità d'ogni esperienza: "L'orizzonte incide la tua assenza, / che aleggia timorosa indecisa / nell'eterna vendetta dell'infinito".
Questo ininterrotto canzoniere dell'assenza costituito dalle recenti raccolte di Spagnuolo si presenta come una poesia perenne che nello snodarsi dei libri, e all'interno di ciascuno di essi, si dà per continue espansioni e addensamenti, lievitando su se stessa e sul tema della perdita e ricerca che la caratterizza. L'espansione produce una sezione, l'ultima, che non a caso si chiama Nuovo registro. Se la voce di Spagnuolo già da tempo (prima della perdita della propria compagna) aveva assunto toni più lirici allontanandosi da certo sperimentalismo di una fase precedente pur lunga (in una vita lunga e in una lunga attività poetica), ritenta ora una nuova modulazione che si fa da un lato più narrativa ma dall'altro anche surreale con addensamenti vertiginosi d'immagini (un carattere surreale presente anche negli altri testi per la continua partenogenesi di immagini di un poesia che pure muove da sempre dalle suggestioni della psicoanalisi). I testi di questa nuova sezione appaiono come versi solo perché, per non spezzare le parole, si va a capo quando la nuova parola non entra nel rigo. È come se il dolore del poeta allora travalichi il limite stesso del verso nel continuum del dire.
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Enzo Rega - docente e saggista
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Già apparso ne L'Indice - gennaio 2020 -

SEGNALAZIONE VOLUMI = ANTONIO SPAGNUOLO

Nuda figura

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di Enzo Rega

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Antonio Spagnuolo

POLVERI NELL’OMBRA

pp. 91, € 12,50

Oèdipus, Salerno 2019

La nuova raccolta di poesia di Antonio Spagnuolo è un ulteriore tassello di quel Canzoniere dell'assenza (per citare un libro del 2018) dedicato alla moglie scomparsa alcuni anni fa e il cui ricordo e la cui rievocazione sono ormai il motore principale della sua ispirazione poetica. Ricordo al quale in quest'ultimo libro l'autore si avvicina dapprima come sottovoce senza nominare ciò che manca ma proiettando tale innominata assenza in un contesto di mutazione più ampio: "Invano cerco la mia città dei giochi di fanciullo" è il primo verso. E se nel secondo testo si parla di "mura ormai ridotte al nudo", in quello immediatamente successivo compare una "scrivania, ormai spoglia / di ogni ricordo, di ogni dolcezza". Nuda, spoglia è la vita stessa del poeta nell'assenza della persona amata. Contro l'ormai "illogico sognare" si leva inutilmente un "urlo" che non può richiamare indietro chi ormai non c'è più (Non ritorni è il titolo di un libro del 2016). Solo a p. 11 compare lei, a sua volta come "nuda figura". Una figura evanescente ma incombente: "L'ombra frana e s'incrina nei dettagli, / nell'urgenza della tua figura, quasi fantasma immobile nelle crepe del muro, / che mi opprime ogni sera, che incombe / a schiacciare i miei muscoli invecchiati".

La tarda età raggiunta dall'uomo ormai rimasto solo - tanto che "Sono frammenti di scrittura anche le rughe" (parole che la vita ha inciso sul corpo) - questa tarda età non impedisce di rievocare la sensualità e la sessualità che ha unito la coppia: "Dolce la tua passione mi sconvolge / nell'attimo che abbaglia le tue ciglia, / tra il cuscino e il ricamo delle coltri. / [...] / Inseguo la pelle, il sudore, il tuo profumo / che tra le cosce evapora al mio tocco / e rincorrono illusioni di un amore / che non tarda a comporre melodie". Si tratta di "illusioni" perché poi la vita nel suo scorrere vorticoso nel tempo ha tolto ciò che prima ha dato. La precarietà della condizione umana, e dei sentimenti ed emozioni che pure l'animano, risulta ancora più evidente nello stridente contrasto con termini come "infinito" ed "eterno" che ritornano spesso in queste pagine a rimarcare appunto la fugacità d'ogni esperienza: "L'orizzonte incide la tua assenza, / che aleggia timorosa indecisa / nell'eterna vendetta dell'infinito".

Questo ininterrotto canzoniere dell'assenza costituito dalle recenti raccolte di Spagnuolo si presenta come una poesia perenne che nello snodarsi dei libri, e all'interno di ciascuno di essi, si dà per continue espansioni e addensamenti, lievitando su se stessa e sul tema della perdita e ricerca che la caratterizza. L'espansione produce una sezione, l'ultima, che non a caso si chiama Nuovo registro. Se la voce di Spagnuolo già da tempo (prima della perdita della propria compagna) aveva assunto toni più lirici allontanandosi da certo sperimentalismo di una fase

precedente pur lunga (in una vita lunga e in una lunga attività poetica), ritenta ora una nuova modulazione che si fa da un lato più narrativa ma dall'altro anche surreale con addensamenti vertiginosi d'immagini (un carattere surreale presente anche negli altri testi per la continua partenogenesi di immagini di un poesia che pure muove da sempre dalle suggestioni della psicoanalisi). I testi di questa nuova sezione appaiono come versi solo perché, per non spezzare le parole, si va a capo quando la nuova parola non entra nel rigo. È come se il dolore del poeta allora travalichi il limite stesso del verso nel continuum del dire.

enzo.rega@libero.it

E. Rega è docente e saggista

SEGNALAZIONEVOLUMI = MARIA LENTI


Maria Lenti: "Elena,Ecuba e altre"-- Arcipelago Itaca 2019, pagg. 96 - € 13,00

Lungo le infinite strade percorse dalle donne dei miti si snoda questa nuova, complessa raccolta poetica di Maria Lenti. Quasi cento pagine di figure femminili che, fuori dai libri di scuola, affascinano per i tratti distintivi della loro personalità, definita in versi misurati, essenziali eppure coinvolgenti. Soprattutto perché, in questi versi, queste donne vivono in piena autonomia tra amore della conoscenza e affermazione della libertà di agire, come volendo, finalmente, essere pienamente se stesse.
Leggiamo una delle liriche dedicate a Elena, ''Elena a Menelao'': ''Non tornerò a Sparta./ Quale che sia/ veloce o lento/ il verso il giro il senso/ che imporrai alla spada,/ Menelao,/ resto con la mia ombra''.
E leggiamo anche ''Ecuba a Priamo'' la prima delle poesie dedicate a Ecuba, al pari di Elena citata nel titolo della raccolta. Si tratta di una lirica lucida, forte, magistrale e attuale, che riecheggia, per la capacità di esprimere concetti profondi in essenzialità di stile, i versi di Giorgio Caproni: ''come i pensieri si sono fatti bianchi/ che sfiato mattinale attorno al cuore/ periti i figli, in mare – alto – le figlie/ i letti vuoti spente le vigilie''.
Le donne presenti nella silloge parlano agli uomini, mariti, compagni, amanti, divini o terreni che siano, in modo assolutamente nuovo rispetto all'immagine tramandata, un poco sbrigativamente, dalla tradizione scolastica e ci offrono una diversa prospettiva secondo cui considerare le loro vite e le loro storie. Una prospettiva che può perfino mostrare a noi, così lontani dal tempo in cui quei miti nacquero, un inedito paesaggio, un nuovo cammino. Come in ''Eufrosine al mondo tutto'': ''Conforto o letizia/ auguro porto spando:/ chi chiude la porta/ chi non se ne cura/ chi ha dorso girato./ Chi riconosce il nome/ si concede giorni felici''.
O anche in ''Pandora difesa dalle donne'': ''Rifiuta il divieto del coperchio/ e scopre Pandora il vaso:/ la curiosità le fa onore.// Epimeteo ha fallito, atteso alla scaltrezza/ ora non vale/ dare a Pandora l’origine del male''.
I brevi ma profondi monologhi delle donne di Maria Lenti, sempre fondati sulla solida conoscenza della tradizione, posseggono dunque la voce del contemporaneo. Le loro parole provengono da un femminino universale e incoercibile, pur se spesso negato da una storia e da un'organizzazione sociale che hanno lasciato la quasi totalità dello spazio e dell'ascolto al maschile, come è noto.
Godrà pienamente della raccolta, solidamente radicata nell'antico e sugli archetipi del mito eppure aperta a inedite interpretazioni e nuovi ri-conoscimenti, chi sa affinare l'orecchio e aprire la mente. Lo suggerisce la lirica di (quasi) congedo della poetessa, ''Io a chi ama l’arte'': ''Giocando con la gelosia/ chissà chi mi ha fatta giovenca di Zeus./ Assurda la mitologia./ Guardatemi nella pittura parietale di Pompei/ o nel Vaso di Ruvo a Maddaloni:/ quella io sono''. L'appuntamento è là, in quel passato che sa farsi futuro.
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Eleonora Bellini

lunedì 20 gennaio 2020

SEGNALAZIONE VOLUMI = NADIA ALBERICI

Nadia Alberici, Cuciture (Poesie e Disegni), Quaderni della Fondazione Daniele Ponchiroli, Viadana, 2019, pagine 116, con una Nota di Gabriele Oselini e una Prefazione di Claudio Borghi, pubblicazione fuori commercio.

C’è stupore e consapevolezza nello sguardo con cui Nadia Alberici (nata a Viadana nel 1952) osserva il mondo, sguardo che si tramuta e si traduce nei versi compresi nella sua recente e bella raccolta Cuciture. Nella Nota introduttiva Gabriele Oselini, Presidente della Fondazione Daniele Ponchiroli che ha pubblicato il volume, dice dell’autrice: “poetessa e disegnatrice, la cui ricerca sulle dinamiche esistenziali dell’essere donna in un mondo moderno e antico nello stesso tempo, l’ha portata ad esprimere una visione della vita come realtà autenticamente vissuta con amore, passione e consapevolezza di sé. In questo contesto non mancano il sogno e il desiderio di fuggire dai condizionamenti dolorosi dell’esistenza”.
Il libro è diviso in quattro sezioni poetiche, ognuna preceduta da un disegno: “Le donne e l’amore”, “La mia natura”, “Quando ci corre la vita”, “Quelle tante dentro me”. Claudio Borghi, nella Prefazione, mette in risalto la capacità dell’autrice di “armonizzare il sentimento col pensiero”, “la continua, intenzionale ricerca, spesso felicemente risolta, di assonanze e libere associazioni visive e metaforiche”, le “invenzioni immaginifiche”. La sezione finale del volume comprende invece disegni con volti e corpi femminili.
Le “cuciture” a cui il titolo allude riguardano forse il nesso inestricabile delle cose e dei fatti dell’esistenza quotidiana con un altrove misterioso che, proprio grazie al qui e ora, si mostra e si manifesta attraverso frammenti e lampi improvvisi, un fruscio impalpabile, un soffio e “leggeri tocchi”. Partendo dal particolare la poesia di Nadia Alberici ci fa intravedere spiragli di assoluto (“Non senti il fascino dell’universo che mescola e rimescola / il vaso d’acqua e zucchero?”). Le stesse cuciture avvengono fra i dolori che il destino non lesina e l’amore che dobbiamo accogliere e fare crescere; fra l’incertezza inesorabile del cammino umano (“Sono nata sto vivendo morirò”; “Quando sarà il nero limite al bianco”) e il piacere di assaporare e respirare i momenti, gli istanti e gli attimi più gioiosi e gradevoli; fra le ferite, le lacrime, i dolori e gli abbracci, i baci, le tenerezze, gli incontri. “La vita”, scrive la poetessa-pittrice, “è tinta rosa e fuliggine”.
Il mondo rappresentato non tende alla magnificenza e all’eccezionale ma all’umiltà e alla semplicità (”Ho già sentito il fagiano e visto la lepre / già raccolto prove di piccole esistenze. Semplice essere dentro”). Basta apparentemente poco per vivere nella pienezza dei sentimenti e delle emozioni: “guardare il vento e aprire i suoi odori”, “uccelletti che schiamazzano nella siepe”, toccare “la pelle delle foglie”, “avere leggerezza guardare intorno e ascoltare profumi”, accarezzare “la schiena liscia del gatto”, “e la musica, la musica, gli alberi…”.
Per farci uscire dalla malinconia della solitudine basta “un desiderio di torta, di compagnia”, il verso di un fagiano dietro a un cespuglio, “…il fiore, la gemma, / il mare caldo dell’estate, la cima innevata”, il fruscio fra le foglie di un merlo, “la tortora, la gazza, la betulla, il nido”, “…gelsi e robinie con una floridezza piena”.
L’esplorazione poetica (“l’immateriale sostanza fattasi parola che risuona”; “indago la strada che compiono le parole”) passa attraverso l’attenzione ammirata per la natura: “Amo l’esplorazione che diventa un’orazione a mano / un lavoro da contadina con lo spostare frasche ingombranti”. In veste di “esploratrice di microcosmi” si ritrae l’autrice.
Il Po è citato nel libro più volte e con affetto (“amo il Po che ho salutato oggi pieno in piena”). Riporto alcuni versi di questa suggestiva poesia intitolata “L’argine ondeggia”:
“L’argine ondeggia sul limite fra paese e golena
è un’altura di pianura
solleva lo sguardo da una parte e dall’altra
s’ampliano due valli: una di case
e l’altra di viti e pioppi
è da lassù che s’imparano gli orizzonti e l’avventura”.
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Giancarlo Baroni

SEGNALAZIONE VOLUMI = FERNANDO LENA

I quaderni dell’Ussero - a cura di Valeria Serofilli

Fernando Lena - La quiete dei respiri fondati--puntoacapo Editrice – Pasturama (Al) – 2014 – pagg. 47 - € 8,00

Fernando Lena è nato a Comiso in Sicilia nel 1969; ha pubblicato diversi libri di poesia.
La raccolta del Nostro, che prendiamo in considerazione in questa sede, include tre poesie edite e testi tratti dal poemetto La quiete dei respiri fondati.
Il poemetto presenta una prefazione a firma di Valeria Serofilli e una nota dell’autore.
Nei tre testi editi già si evince la cifra distintiva della poetica di Lena, caratterizzata da una grande forza visionaria e da una scrittura spesso anarchica, che, a volte, sfiora quasi l’alogico, sottesa ad una forte dose di pessimismo individuale e collettivo.
Sensazioni materiche s’incontrano in il brivido del primo temporale, che apre il libro.
In questo componimento, dal carattere quasi programmatico, si parte da una suggestiva descrizione del mare e dello scirocco migratore, che porta con sé i ricordi fuori dal gioco; segue un inciso nel quale viene detta una rivelazione affiorata nella preghiera che consiste nel fatto che i nostri antenati hanno soltanto raccolto il sangue rappreso da una delle tante inutili guerre; nei quattro versi dell’ultima strofa il poeta parla di un oratorio della notte infame e del desiderio giustificato come semplice rottame dell’amore.
Predomina una grande crudezza nelle immagini di Lena, che emergono, attraverso i sintagmi, con una notevole icasticità e una stupefacente lucidità.
In Nota dell’autore Lena parla del motivo occasionale che ha portato alla stesura del poemetto La quiete dei respiri fondati.
Fernando ci rivela il suo tragico passato, la sua permanenza in un reparto del manicomio criminale di Aversa avvenuta tra il 1991 e il 1992.
Il soggiorno in quel luogo è definito un incontro tra menti disilluse.
Convivere in quel posto ha generato nell’autore uno sguardo poetico e crudele, il quale, a distanza di vent’anni lo ha ispirato a riemergersi in quel buio con la stessa rabbia che gli aveva concesso già un motivo in più per credere alla libertà.
La quiete dei respiri fondati ha come incipit il componimento lungo Manicomio di Aversa, nel quale il poeta, con uno scatto memoriale, rievoca
la sua degenza nel tristissimo luogo tentando di ritrovare serenità, nonostante siano detti l’elettroshock e i cadaveri.
Seguono trenta frammenti senza titolo, che costituiscono l’opera vera e propria.
In essi il poeta si rivolge ai suoi compagni di detenzione nominandoli come nulla o come bestie.
Per la brutalità delle descrizioni pare di intravedere la presenza di una vena tipica dei poeti maledetti in questo autore nel suo pronunciare con forte urgenza frasi che hanno per oggetto il peggiore dei mali e l’abiezione.
Un’opera originale per l’idea che la sottende, un coraggioso e riuscito tentativo dell’autore di salvare sé stesso e la sua storia affidandosi alla parola poetica.
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Raffaele Piazza

domenica 19 gennaio 2020

SEGNALAZIONE VOLUMI = PAOLO RUFFILLI

PAOLO RUFFILLI : "Le cose del mondo" - Ed. Mondadori - 2020 - pagg. 204- € 18,00
La prefazione:
Nel suo percorso poetico, Paolo Ruffilli ha praticato strade diverse, sempre confermandosi in una coerente, limpida solidità di pronuncia pur nella varietà di tematiche e argomenti. Questo libro Le cose del mondo (Mondadori) permette di seguirne il cammino per un arco di tempo pressoché quarantennale, trattandosi di un’opera unitaria composta a partire dagli anni Settanta, un ampio work in progress arricchitosi nel tempo. Un’avventura poetica ed esistenziale che prende il via con la metafora del viaggio e degli incontri che il viaggio offre, della quotidianità onirica e a volte sgradevole di chi comunque si trova «straniero tra la gente». Fino al ritorno, dal quale riparte la meditazione turbata sul senso delle cose e della vita, nelle incertezze e negli equivoci degli umani rapporti, tra vuoto, amore e violenza, mentre felicità «sempre si confonde / con la dissolvenza». Nel capitolo che dà titolo al libro, Ruffilli si muove a diretto contatto con gli oggetti di cui si popola la vita, e che si impregnano del nostro passaggio, trovando il senso non banale della loro presenza, si tratti del cappello o del bicchiere, della barca o di un diario. La sua fitta narrazione è affascinante, minuziosa, affabilissima, una sorta di insolito canzoniere dedicato a una realtà tanto essenziale nel vissuto quanto raramente indagata, come in queste pagine, con la concretezza maniacale dell’osservatore sensibile. Del poeta, appunto, che perlustra oltre la semplice superficie delle cose, e che qui prosegue con apparente orizzontalità il suo viaggio in un “atlante anatomico”, dedicandosi alla bocca o alla caviglia come al cuore o al cervello, non senza ironia delicata, producendosi nell’esercizio acuto e antiretorico di un corpo a corpo con il corpo stesso. Nella sezione conclusiva, infine, il poeta pesca nelle profondità e negli anfratti del dire, nella formidabile, paradossale e «visionaria immaginosa verità» della parola, alla quale chiede risposte, ben sapendo, nella sua saggezza, che troppi interrogativi rimarranno inesorabilmente aperti.

Maurizio Cucchi

sabato 18 gennaio 2020

SEGNALAZIONE VOLUMI = VINCENZO MORETTI

Vincenzo Moretti – Terra di salute---puntoacapo Editrice – Pasturana (Al) – 2016 – pagg. 67 - € 10,00

Vincenzo Moretti è nato nel 1947 a Casale Monferrato. Ora vive tra Piemonte e Sardegna. Ha pubblicato (in riviste letterarie, atti congressuali e miscellanee accademiche) studi sulla letteratura italiana moderna (Alfieri, Manzoni) e contemporanea (Montale, Saba, Pavese). Alcuni suoi saggi sul secondo Ottocento sono stati ripresentati nel volume Scapigliatura e dintorni (Milano, 2005). Ha pubblicato due libri di versi: Il troppo e il vano (Torino 1992) e Il segno dello scorpione (Novi Ligure 2005).
Terra di salute, il libro di Vincenzo Moretti del quale ci occupiamo in questa sede, è scandito in quattro sezioni; Privacy, AFeVA (Associazione Familiari e Vittime Amianto), Terra di salute e Primi poemetti.
La raccolta è preceduta dal testo esauriente e ricco di acribia di Emanuele Spano intitolato La poesia di Vincenzo Moretti tra salute e malattia.
Cifra essenziale della poetica di Moretti, espressa in questo libro, sembra essere quella di una intelligenza notevole, sottesa ad una forte ed avvertita coscienza letteraria, nel creare immagini sempre icastiche, debordanti e sensuali, nelle quali ingrediente fondante pare essere una notevole e garbata ironia, secondo la quale il poeta, apparentemente scherzando, prende le cose seriamente.
È capace Moretti, con un linguaggio chiarissimo, cristallino, quasi narrativo, ma anche articolato e complesso, antilirico e antielegiaco, di farci vivere, tramite le immagini che sa produrre molto bene, situazioni che tutti noi abbiamo vissuto ma che, attraverso il suo poiein, ci sembrano nuove, rinnovate dall’afflato e dalla bellezza della poesia stessa.
Il poeta possiede gli strumenti stilistici e formali per affrontare efficacemente i temi davanti ai quali si pone, come un pittore dinanzi a un paesaggio, un oggetto, una modella, tematiche poliedriche, varie ed eterogenee che sa tradurre in versi.
Tale abilità dell’autore è stata raggiunta incontrovertibilmente anche per la sua multiforme ed efficace attività di critico, che gli ha permesso di formarsi, in un secondo momento, come poeta.
Traspare dalle composizioni, tutte ariose, raffinate e ben risolte, sia che il Nostro si cimenti in un poemetto, che parli della sua privacy, relativa al suo privato o che si occupi degli sfortunati ammalatisi per colpa delle radiazioni dell’amianto, una vena sorniona, critica, irriverente, divergente che è tipica della migliore produzione poetica italiana e straniera.
Un’ amore per la vita che è salvezza, auspicio di rifugio per l’anima e per il corpo, nel cercare una terra di salute, come dal titolo, è il messaggio che ci trasmette, appunto, Terra di salute, una terra promessa, utopica ma possibile che ci fa venire in mente Frasi e incisi da un canto salutare del grande Mario Luzi.
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Raffaele Piazza

SEGNALAZIONE VOLUMI = EMILIA BARBATO

Emilia Barbato – Capogatto----puntoacapo Editrice – Pasturana (Al) – 2016 – pagg. 75 - € 12,00

Emilia Barbato, l’autrice del libro che prendiamo in considerazione in questa sede, è nata a Napoli nel 1971, ha pubblicato le raccolte di poesia Geografie di un orlo, 2011 e Memoriali bianchi, 2014 ed è inserita in diverse antologie.
Il testo è preceduto da una nota ricca di acribia di Elio Grasso intitolata Il rigore di un assedio.
È interessante per entrare nel merito di un’analisi del lavoro che la poeta ci presenta, nel riferirci al titolo, che l’espressione “far capogatto” è impiegata in agronomia per indicare la tecnica della riproduzione delle piante a rami rigidi e inflessibili con cui si conduce un ramo della pianta madre nella terra allo scopo di utilizzare la sua capacità di emettere radici all’apice.
Capogatto è una raccolta scandita nelle seguenti sezioni: Bastìa, Capogatto e Via dei transiti.
Tutti i componimenti sono provvisti di titolo e sono quasi sempre risolti in lunga ed ininterrotta sequenza senza nessun punto che interrompa l’elegante fluidità del dettato.
Poetica vagamente e intensamente intellettualistica, quella che ci presenta qui la Barbato, che supera ogni residuo delle tradizioni liriche ed elegiache, pur non presentando mai delle strutture anarchiche o alogiche.
Si potrebbe affermare che una viva vena di neo orfismo connota i testi di Capogatto, nella loro notevole icasticità, nel loro essere gridati ma nello stesso tempo controllati, esprimendo i doni del turbamento e di un forte e sentito stupore per tutto quello da cui la poeta è circondata e che diviene di volta in volta poesia.
Infatti vengono detti a volte un “tu”, al quale Emilia si rivolge, presumibilmente l’amato e del quale ogni riferimento resta taciuto, mentre in altri casi vengono nominati paesaggi esteriori ed interiori, sempre in maniera lucida ed esatta, con una grande densità metaforica e sinestesica che si realizza nel notevole scarto dalla lingua standard.
I versi procedono sempre per accumulo scaturendo gli uni dagli altri nell’inverarsi di un ritmo cadenzato e sincopato che crea musicalità e anche una certa magia che si realizzano in ogni composizione. Si avverte, nella parola sempre raffinata, avvertita e ben cesellata una certa coralità, conferita dal tono incalzante che caratterizza ogni poesia che diviene comune denominatore del discorso in atto.
Anche una forma di visionarietà non manca nel discorso di Emilia e la poesia, a volte, può diventare anche un ripiegarsi su sé stessa, un riflettere sul poiein medesimo, come in Mediana, che è uno dei testi più riusciti.
Sembrano versi che germogliano dall’inconscio, per divenire poesia, che “fanno capogatto” nel loro avere per tematiche tutte le situazioni che si possono cogliere nell’esperienza quotidiana della vita.
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Raffaele Piazza

venerdì 17 gennaio 2020

SEGNALAZIONE VOLUMI = ELLA CIULLA

Ella Ciulla : “Bianco naturale” – Ed. Morrone – 2019 – pagg. 126 - € 12,00
Poesia incisa con il ferro rovente dell’urgenza, il vortice dell’affabulazione, la luminosità della musica. La poetessa, vivacemente sostenuta da un bagaglio culturale notevolmente ricco, riesce a realizzare nella pagina l’incendio che sentimenti, memorie, illusioni, sussurri, speranze, profumi, offrono alla quotidianità, vissuta nella consapevolezza che il fuggevole tocco delle ore affonda la lama nella carne, mentre cerchiamo di allontanare Thanatos con il canto della solitudine.
Nella prefazione scrive: “L’artista tenta una comunicazione oltre i silenzi e gli insondabili misteri, avvicina l’Essere sconfinato e conversa con le potenze ctonie che ritrova negli angoli del sogno, nei bagliori e nei fossi del giorno trasfigurante, affrancando l’Uomo dalla sua condizione di passività e presunta impotenza…” Una dichiarazione che apre orizzonti da scrostare per ricercare quella che potrebbe essere una vertigine del vivere per scongiurare la menzogna. E tutte le poesie di questo volume hanno un sottofondo corposo che con il simbolo, con la metafora, ricuce le tensioni emotive che immagini e visioni fondono panicamente nella natura.
Il ritmo che ogni verso accoglie cerca di riprodurre quelle dimensioni metafisiche che la poesia alta celebra nella universalità del canto.
“Neve d’oblio sulle passate storie,/ sulla mancanza, sul freddo dell’indifferenza,/ sull’indecenza dell’assenza./ Dove mi hai dimenticata?”
Attraverso il dialogo “…forgiano i filtri dell’anima il futuro/ fino al punto in cui sfumano i confini/ nell’eterno dell’emozione.” per impreziosire l’abbraccio che vivifica, la passione che alimenta la “parola”. Per la poetessa la luce può avere i riflessi dell’ossidiana, la verità può nascondere le forme, il tempo può sospendere la sua corsa, il destino può affannare negli inganni, la rugiada celeste può intaccare anche le ossa.
ANTONIO SPAGNUOLO

SEGNALAZIONE VOLUMI = PIETRO CARDONA

Pietro Cardona – L’ascesa e la rinuncia---puntoacapo Editrice – Novi Ligure (AL) – 2012 – pag. 57 - € 12,00

Il libro di poesia che prendiamo in considerazione in questa sede è costituito da venticinque sequenze numerate precedute da un componimento senza titolo che ha un carattere programmatico e nel quale prevale la verticalità.
Segue dopo le scansioni uno scritto in prosa intitolato “Agli addetti e ai non addetti ai lavori” nel quale Cardona fornisce la chiave interpretativa per la comprensione del suo poiein.
Nella poesia iniziale serpeggia una fortissima inquietudine che si realizza nell’iterativo sintagma “sono caduto” che resta indefinito e carico di fascino perché non è detto dove è avvenuta la caduta e il suo motivo.
La caduta stessa indica un presunto commiato dalla vita e nella poesia il poeta nomina con urgenza la dignità e affronta la spirale del dolore tra luci e ombre kafkiane in una sintesi che esprime nitidamente il turbamento tra birre bevute e sigarette fumate che simboleggiano lo stato di disagio.
Differenti per intonazione i 25 componimenti che sembrano denotare un atteggiamento ottimista del poeta del tutto antitetico da quello della composizione iniziale.
Infatti in Via Sant’Antonio il poeta scrive:/ mentre percorrevamo svincoli vertiginosi/a capofitto/ io non avevo paura/.
Nel dichiarare di non avere timore l’io – poetante molto autocentrato dimostra il suo sentire fiducioso nei confronti della vita, sentimento che diventa il filo rosso di tutta la raccolta.
Fortissima la densità metaforica, sinestesica e semantica. Il dettato è chiaro e luminoso e ha qualcosa di affabulante nella sua leggerezza ed icasticità.
Cifra distintiva della poetica di Pietro è quella di una vena intellettualistica che genera una sorta di esistenzialismo nel rapportarsi e relazionarsi dell’io – poetante con la realtà a lui esterna in tutti i settori della quotidianità.
Tutto l’ordine del discorso del poeta è permeato di magia e sospensione.
È presente un tu femminile del quale tutto resta presunto e taciuto, tu che potrebbe essere quello dell’amata.
Le venticinque composizioni potrebbero essere lette come un poemetto compatto, articolato e composito.
Una certa visionarietà si nota nei dettati permeati da un certo onirismo purgatoriale.
Un senso di mistero si staglia sullo sfondo delle composizioni mentre sembra al lettore di partecipare con il poeta all’atto di abitare poeticamente la terra.
Ottimo il controllo della forma con i versi che attraverso il ritmo elegante raggiungono una certa musicalità.
L’ascesa e la rinuncia del titolo possono essere viste simbolicamente come la gioia e il dolore del poeta nel suo credere nei valori fondanti dell’esistenza.
Anche una natura rarefatta è presente nel testo e i tessuti linguistici sono tutti raffinati e ben cesellati e costituiscono tout-court quello che può essere considerato un esercizio di conoscenza.
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Raffaele Piazza

giovedì 16 gennaio 2020

POESIA = RAFFAELE PIAZZA

"Alessia e l’osservatorio"

E l’amore nel bosco di Capodimonte
e nel rivestirsi Alessia nell’auto nera
come del cielo l’inchiostro infiorato
da Venere e da satelliti.
Poi con una sgommata frena la vita
Giovanni e scendono i fidanzati
nell’entrare nell’osservatorio
e Giove, Saturno e Plutone
a contemplare da lenti memorabili
senza paura dell’esistere.
Sguardi ad accadere oltre il sembiante
di Napoli che ancora esiste.
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Raffaele Piazza

mercoledì 15 gennaio 2020

SEGNALAZIONE VOLUMI = CINZIA DEMI

Cinzia Demi – Ero Maddalena---puntoacapo Editrice – Pasturama (Al) – 2013 – pagg. 71 - € 10,00

Cinzia Demi è nata a Piombino (Li), lavora e vive a Bologna; ha pubblicato numerose raccolte di poesia.
Ero Maddalena, che presenta una prefazione di Gabriella Sica e una postfazione di Rosa Elisa Giangioia, è un interessante silloge non scandita in sezioni.
Tutte le composizioni che costituiscono il testo non hanno titolo e l’opera in sé stessa può essere considerata un poemetto.
I componimenti, ad esclusione del primo, sono formati da quattro terzine libere e iniziano con la lettera minuscola, elemento che dà il senso di un’arcana provenienza.
Alcune delle poesie sono riportate in corsivo, come se fossero espressione di una voce controcampo.
Costante è la leggerezza del dettato e l’io poetante è molto auto centrato.
La poetica della Demi è connotata da chiarezza, nitore e luminosità che creano un’armonia formale e tutte le strofe sono bene controllate e compatte
Il linguaggio della poetessa presenta generalmente un leggero scarto dalla lingua standard, anche se si riscontrano accensioni e spegnimenti attraverso metafore e sinestesie molto icastiche.
Si avverte, leggendo il testo, un anelito verso un varco che porti ad una forma di salvezza da ricercarsi anche nel quotidiano, tramite una parola pronunciata con urgenza e precisione.
L’azzeramento della punteggiatura produce un’ansia controllata nel fluire dei versi in lunga ed ininterrotta sequenza e tutte le poesie sono felicemente risolte.
Poesia vagamente neolirica quella di Cinzia Demi, che ha anche venature neo orfiche che producono un tessuto originale nel quale il lettore s’immerge con inevitabile coinvolgimento.
Tematiche dominanti in Ero Maddalena sono quelle dell’erotismo e della corporeità che si coniugano ad un vago misticismo.
Attraverso il titolo sembra che la poetessa faccia riferimento ad una sottile provenienza, ad un passato che si riattualizza consapevolmente e necessariamente attraverso la parola.
La Maddalena diviene simbolo di un peccato misterioso e lontano che cerca espiazione e la redenzione si raggiunge attraverso il mezzo sublime della poesia stessa, che diviene tout-court esercizio di conoscenza.
Come scrive acutamente Gabriella Sica nella prefazione la Maddalena protagonista della raccolta è l’autrice stessa nel suo tendere ad uscire dalle tenebre della coscienza per giungere alla luce in un processo praticabile solo attraverso la parola.
Testo composito e intelligente nella sua originalità, frutto di consapevolezza di intenti che portano ad un risultato raffinato.
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Raffaele Piazza

SEGNALAZIONE VOLUMI = SILVIA COMOGLIO

Silvia Comoglio – Via Crucis---puntoacapo Editrice – Pasturana (Al) – 2019 – pag. 31 - € 6,00

Silvia Comoglio è nata a Chivasso (TO) nel 1969.
Ha pubblicato diverse raccolte di poesia e suoi testi sono apparsi in vari blog e riviste.
La poesia religiosa è un genere poco praticato nel panorama letterario della nostra contemporaneità e trova un suo esempio importante nell’antologia Poesia di Dio, edita da Einaudi nel 2005.
Nel suddetto testo, sul tema della trascendenza, si possono leggere le poesie di un vario campionario di poeti italiani, dai cattolici Luzi e Turoldo, da Montale, Ungaretti e Quasimodo, fino a Carifi e Merini.
Lo stesso Mario Luzi e anche Alberto Bevilacqua hanno scritto i testi della Via Crucis, destinati alla cerimonia della Chiesa Cattolica, che si tiene in Piazza San Pietro il Venerdì Santo prima della Pasqua e che viene trasmessa in televisione.
La Via Crucis stessa può essere considerata come riattualizzazione di eventi storici avvenuti circa duemila anni fa, oltre che come dogma fondante della Chiesa.
Costituisce un argomento che può dare fertili spunti non solo ai poeti ma anche a scenografi e sceneggiatori, quando il primo attore è spesso il Papa stesso.
Silvia Comoglio, in Via Crucis, si fa acuta interprete dell’evento, traducendo in quindici testi, in lunga ed ininterrotta sequenza, le varie stazioni, i vari momenti, vissuti dal Cristo, che divengono rito in una manifestazione, un’epifania estetica.
I quindici componimento sono preceduti da una breve e toccante lirica che ha per protagonista la Vergine Maria che culla Gesù Bambino, che nasce e fa della terra qualcosa di sempiterno.
Vengono detti qui l’alba e l’abisso, come l’alfa e l’omega che si concentrano ontologicamente nella figura di Gesù, con la quale non si finisce mai, come espresso da Benedetto Croce in Perché non possiamo non dirci cristiani.
Sono vibranti nella loro plastica e fluida icasticità le poesie di Silvia, ricche di un pathos leggero e controllato.
Non manca l’inserimento delle vicende in uno scenario atmosferico misterioso ed evocativo, quando vengono nominati il plenilunio e l’alba che fanno da sfondo alle vicende umane del bacile dove Ponzio Pilato si lava le mani e dell’urlo della folla crocifiggi!
Le immagini evocate dalla poetessa si fanno specchio deformato degli avvenimenti e sgorgano le une dietro l’altro, esempio di poesia neolirica e vagamente elegiaca.
Una tensione verso l’assoluto si traduce nei versi rarefatti e debordanti carichi di streben e magia.
Le figurazioni s’inseguono per una voce sola, che appare una polifonia nel manifestare il mistero.
Fino al suono perpetuo, alla luminosità soprannaturale della natura risvegliata dopo la notte, simbolo della resurrezione.
Un poemetto riuscito, quello della Comoglio, che si sintetizza in un chiaroscuro verbale di grande suggestione.
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Raffaele Piazza

martedì 14 gennaio 2020

SEGNALAZIONE VOLUMI = NAZARIO PARDINI

Nazario Pardini: “I dintorni della vita” – Ed. Guido Miano – 2019 – pagg. 92 - € 10,00
Accattivante la proposta nel sottotitolo “conversazione con thanatos”, per la quale ogni sospetto di avvicinamento della falce finale diviene un semplice atto di scongiuro, un anelito alla liberazione da ogni vincolo costrittivo che la quotidianità può incatenare. Senza alcun dubbio il viaggio che intraprendiamo può narrare quanto il trascorso sia determinante nel passo che ogni poeta accenna, ricamando il motivo della rassegnazione o svincolando i legami del rimorso, “prendendo dalla luce solo il sole” o abbandonando alla sorte ogni illusione.
Nazario Pardini sa rinsaldare il verso con la bravura del cesellatore, fra i contrasti che la memoria accende e i desideri che ogni alba propone, così da rincorrere con garbata prospettiva il sussurro che ogni segreto accenna nel periglioso tragitto verso la fine. E la fine è ben salda nelle attese! “Innanzi alla tomba vibrano le carni” ed “impassibile assiste allo scempio”, sottoscrivendo a volte il “contrario della gioia”, aspettando “la brezza pellegrina che vibra con l’odore di stagione.”
Rincorrere Thanatos per il poeta diviene motivo dominante per reagire e sentirsi vivere nel pieno della esplosione sia dei sentimenti, sia degli improvvisi bagliori dell’eterno. Una specie di lunghissima preghiera che si intreccia tra verso e verso, con la consapevolezza che tutto ciò che narcotizza acquieta un misticismo nascosto, sincero ed entusiasmante disincanto, capace di dar vita ad una inquieta filosofia, che cerca di identificarsi nell’amore e nella pura essenza della rinascita.
Puntuale la parola ci avvolge sia nella musicalità della poesia, sia nella policromatica incisione del verso.
ANTONIO SPAGNUOLO

SEGNALAZIONE VOLUMI = MICHELE PAOLETTI

Michele Paoletti – Come fosse giovedì---puntoacapo Editrice – Pasturana (Al) – 2015 – pagg. 47 - € 8,00

Michele Paoletti, autore del libro di poesie che prendiamo in considerazione in questa sede, è nato nel 1982 a Piombino dove vive e lavora.
Si occupa di teatro per passione da sempre. Come fosse giovedì è la sua raccolta di esordio.
Il testo, che non è scandito in sezioni e che, anche per questo potrebbe essere letto come un poemetto, presenta una postfazione di Mauro Ferrari ricca di acribia.
All’attenzione di chi scrive balza subito agli occhi il titolo Come fosse giovedì.
Se, come affermava Marcel Proust, la superstizione è una forma di religiosità, rientra nell’ambito della scaramanzia il fatto che il giovedì sia per antonomasia il giorno della settimana fortunato.
Infatti non è un caso che, dall’immaginario popolare, che ha profonde radici antropologiche, emerga il detto: giovedì si ride.
Credo che, alla base di quanto suddetto, l’autore abbia denominato in questa maniera la sua opera, proprio per conferirle una valenza ispirata alla natura beneaugurante del giovedì stesso
Poetica, quella di Paoletti, che potrebbe considerarsi vagamente neolirica e che ha per cifra essenziale il carattere della visionarietà.
Da mettere in rilievo che l’io – poetante è molto autocentrato e che la vena della scrittura e affabulante.
Le liriche hanno il carattere di una grande compattezza e la loro musicalità è raggiunta tramite un ritmo incalzante e sincopato.
Il tono delle composizioni, che fa da filo rosso al libro, è riflessivo, filosofeggiante e gnomico.
Al centro del discorso poetico si colloca il tema della corporeità e la fisicità è sempre al centro dello sgorgare dei versi, quasi come se Michele seguisse la massima che afferma: niente è nell’intelletto che prima non sia stato nei sensi.
Un corpo quindi cogitante, quello che s’incontra spesso in questi componimenti, una fisicità vissuta intensamente che fa da filtro ai pensieri, nel loro tradursi in versi.
Emerge dal tessuto linguistico un forte senso di magia e sospensione, attraverso una forte densità metaforica e sinestesica.
Un tono orfico connota questa scrittura, fattore che crea il senso di un vago mistero.
Avviene spesso, nelle composizioni,, una ricerca semantica che si realizza spesso attraverso il penultimo verso che fa rima con quello delle chiuse, creando un effetto di ridondanza:-“ … non ha massa.// Come il pianto che mi sconquassa/”.
Le composizioni sono dense e ben strutturate e da esse trapela spesso una forte sensualità.
Tra le righe o, a volte, anche in modo evidente, serpeggia il tema del male e l’io – poetante esprime spesso la sensazione di doversi difendere da qualcosa o da qualcuno insito nell’alterità che lo circonda.
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Raffaele Piazza

lunedì 13 gennaio 2020

SEGNALAZIONE VOLUMI = SIMONETTA LONGO

Simonetta Longo – Notturlabio-Previsioni dall’ombra--puntoacapo Editrice – Pasturama (Al) – 2019 – pagg. 123 - € 13,00

Simonetta Longo, l’autrice del testo che prendiamo in considerazione in questa sede, è di origine salentina e vive e insegna a Milano dove gestisce un laboratorio di poesia.
Una prima versione inedita di Notturlabio si è classificata quarta al Premio Città di Castello, 2012. Sul sito ufficiale www.simonettalongo.it è possibile trovare, tra l’altro, le immagini delle ecfrasi contenute in Notturlabio.
Notturlabio non è solo una raccolta di poesie, ma è un libro compiuto, scandito in sei sezioni, composito e bene strutturato architettonicamente.
Per comprendere il senso del titolo è necessario mettere in rilievo che il Notturlabio stesso è lo strumento antico usato dai navigatori per orientarsi nell’oscurità.
Il suddetto oggetto sottende un’idea di ricerca in campo esistenziale dalla quale il testo è pervaso.
Le scansioni sono precedute dalla poesia eponima che ha un carattere programmatico e un andamento neolirico, icastico e leggero.
Il Notturlabio stesso diviene simbolo della tensione verso un viaggio che è la vita stessa che si fa poesia.
I versi sono cesellati con raffinatezza e la forma è sempre elegante e controllata.
I nomi delle parti dalle quali il testo è composto sono legati a previsioni sui cinque sensi e a un “quinto senso e mezzo”.
La poeta realizza nella scrittura una gradevole linearità dell’incanto e il linguaggio presenta una forte densità metaforica e sinestesica.
Il dettato è venato da una magia legata a levigatezza e domina un senso di mistero evocata dalla sfera di berillo per predire il futuro e dal labirinto che viene nominato.
Il versificare della Longo è veloce e scattante e i sintagmi procedono per accumulo.
Elemento originale di questa scrittura sono i richiami dal mito, come quando sono detti il minotauro, Teseo, Medea, Andromeda e Medusa, per fare qualche esempio; ciò crea un’immersione nel mondo classico con una patina arcaica ed è presente il tema della metamorfosi.
L’io-poetante è molto autocentrato nel suo riflettersi nello specchio che ne rimanda un’altra identità
Fondamentale è il senso del’esoterico che serpeggia in tutto il testo, per esempio nell’immagine di una lettura di premonizioni letta sul fondo di una tazza di te nero.
A volte l’io-poetante si rivolge ad un tu del quale ogni riferimento resta taciuto, tranne quello di essere la figura dell’amato al quale la poeta si rivolge in modo accorato.
L’atmosfera che si respira nell’insieme dei componimenti è quella dell’epicità di un quotidiano che si proietta nel passato e si avverte spesso la presenza di un erotismo dolce e sensuale.
Spesso le poesie sono ispirati da opere pittoriche di autori famosi, come Dalì, Morandi e Boccioni.
Nel sottotitolo Previsioni dell’ombra è sotteso il richiamo all’ombra in senso junghiano da intendersi come lato oscuro e inconscio dell’anima.
Il viaggio, l’orientamento, l’uscita dalla notte, nel farsi esercizio di conoscenza tout-court.
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Raffaele Piazza

domenica 12 gennaio 2020

SEGNALAZIONE VOLUMI = CELINE MENGHI

CELINE MENGHI - Dire Mu - Genesi Ed.- Novembre 2019 - €18

Ho appena finito di leggere Dire Mu di Céline Menghi e sono rimasta affascinata e soggiogata, trascinata per tutto il tempo della mia lettura dal flusso impetuoso del suo molteplice racconto, ballottata nei meandri delle parole, pensieri, ricordi, ritratti, citazioni, amori, amicizie, atmosfere, che alternativamente lei sfiora e approfondisce nell'ambiguo gioco della sua ubiquità e duplicità, nel suo rappresentarsi una e duale, Clelia e Vera, attrice e spettatrice.
E' davvero un libro straordinario, fitto denso ricco, il cui titolo enigmatico rimanda alla lettera greca e alla magia della parola, che dice e non dice, esibisce e nasconde. In Italia esiste soltanto la parola "parola", mentre in Francia esiste anche il "grugnito", la parola "mot, che viene dal basso latino muttum, da cui il verbo muttire, dire mu, come fa la mucca!"
Ho fatto anche fatica, lo confesso, perché si tratta di un libro da attraversare piano, forse da rileggere, un libro a cui non importa il lettore... va per la sua strada... le sue multiple strade... senza preoccuparsi del fatto che venga seguito o no. Va meritato, conquistato, capito, elaborato, abituandosi al suo ritmo caotico e frenetico.
Sembra di assistere dal buco della serratura ad una seduta psicanalitica, - questo per me soltanto sensazione, non avendone mai fatto! -, all'analisi dolce ed insieme feroce di una mente colma di "cose da dire" che premono sull'uscio della coscienza, di un'anima complessa che si dà e si nega. Evocano la famiglia, nonna molto speciale, fratello, madre e padre ormai anziani e inafferrabili, amori sfumati nell'ombra o nella morte, lunghe amicizie, viaggi e luoghi incantati come i paesaggi delle favole.
Si spera nello sviluppo d'un racconto ma si rimane spesso "sur sa faim" e "sans fin"! Così non sapremo che fine ha fatto il musicista Gi, sempre in tournée ai quattro angoli del pianeta, e il cui ingresso nella vita di Clelia sembrava averle impresso un'impronte importante e durevole. Ma soprattutto, irruenti e spesso a zig-zag, come lampi illuminanti presto ripiombati nella notte, sbocciano sguardi e considerazioni intime sulla vita, sullo stare con se stessi e in mezzo agli altri. Sembra di avere acchiappato il bando d'una matassa ingarbugliata, ma subito ti sfugge dalle mani o si ritrae o apre a nuove strade. Si tratta di un libro irritante e frustrante ed insieme ipnotico e accattivante nel vero senso della "parola" perché approda a dei punti che credevi fermi, forse punti di partenza di una storia compiuta con un inizio e una fine, ma ti accorgi poi che non è così e che scappano in altre direzioni. Così a volte ti arrabbi, ma ti costringe ad un'attenzione costante e a fior di pelle: un ottimo esercizio di attenzione e percezione.
Libro intelligente, raffinato, colto, pieno di citazioni e rimandi, che va meritato e goduto fino in fondo. Lascia il lettore con la sensazione di aver percorso una strada accidentata, passando sotto gallerie oscure, riemergendo alla luce di un sole accecante per ritornare al buio. Caleidoscopio, puzzle insieme cupo e luminoso e coloratissimo di cui ti tocca raccogliere le tessere variegate per ricostituirne il disegno, una tappezzeria preziosa dalla quale riannodare fili e fila sparsi per ricomporne la trama sottile e slabbrata.
Non poteva essere stato scritto che da una persona intenta a frugare nelle anime, sua ed altre... Infatti Céline Menghi è psicoanalista a Roma, membro della Scuola Lacaniana di Psicoanalisi e della Scuola Mondiale di Psicoanalisi, docente dell’Istituto freudiano per la Clinica, la Terapia e la Scienza. Scrive su «La Psicoanalisi» e altre riviste italiane e straniere. Ha collaborato alla traduzione di alcuni seminari di Jacques Lacan: La relazione d’oggetto (Eini, 1996) e Il Sinthomo (Astrolabio, 2006).
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EDITH DZIEDUSZYCKA

SEGNALAZIONE VOLUMI = MARIO LOPEZ

Mario Lopez – Il filosofo osceno-- Puntoacapo Editrice – Pasturama (Al) – 2013 – pagg. 101 - € 11.50

Mario Lopez è nato nel 1966 a Genova dove vive; ha pubblicato due raccolte di poesia.
Il filosofo osceno, la raccolta del Nostro che prendiamo in considerazione in questa sede, è scandita in due sezioni: Exit e quella eponima Il filosofo osceno.
Il testo è preceduto dallo scritto introduttivo Lopez e l’oscenità del pensiero di Emanuele Spano.
I componimenti del libro hanno come cifra essenziale una forte verticalità, anche quando sono costituiti da più di una strofa; questo elemento porta ad una rarefazione del dettato e ogni segmento è felicemente risolto in lunga ed ininterrotta sequenza.
Lopez ci presenta una poetica del tutto antilirica e pratica una scrittura intellettualizzata e vagamente filosofica, nella quale predominano la riflessione e l’interiorizzazione di un io-poetante molto autocentrato.
È uno scendere nei meandri dell’inconscio quello dell’autore, nel suo emergerne portando alla superficie le immagini e le sensazioni dette attraverso la parola poetica, nel suo pronunciarsi con urgenza.
I componimenti, connotati da chiarezza, nonostante l’apparente oscurità, sono carichi di significati e presentano una forte densità metaforica e sinestesica.
Il poeta, attraverso la sospensione e lo straniamento arriva ad esiti alti, con un linguaggio originale sotteso ad un’idea dominante.
A volte il gioco dei versi oscilla tra erotismo e misticismo e c’è un “tu,” presumibilmente femminile, al quale Mario si rivolge.
I versi a volte sono costituiti da un’unica parola.
Il tono è assertivo ed epigrammatico, scabro ed essenziale e minima e l’aggettivazione mentre è forte lo scarto poetico dalla lingua standard.
Quello che si nota subitaneamente è la velocità dei versi, scattanti e icastici, nel loro fluire neobarocco.
È un pensiero che riflette su sé stesso, quello che s’incontra in Il filosofo osceno, un vero e proprio filosofeggiare in cui l’oscenità diviene l’approccio disarmante con il quale il poeta si rivolge a sé stesso e al “tu”.
Nella prefazione ricca di acribia Emanuele Spano, per illuminarci sulle ragioni di questa scrittura, parla di un nuovo etimo della parola osceno, ben diverso da quello del significato usuale.
Osceno è quello che letteralmente è “fuori scena”, che è estromesso dal palcoscenico, gettato fuori dal contesto: ciò che la scrittura deve
interpretare, riportare a galla per addentrarsi nella selva del reale e coglierne le contraddizioni.
Eppure accanto a questa accezione persiste una traccia latente di quell’oscenità, intesa come sacrilegio, come spergiuro, in un mondo in cui ogni gesto sottratto all’automatismo perfetto del conformista è bollato come equivoco.
Il pensare stesso è “osceno” e la stessa poesia, sottesa al pensiero può divenire “oscena”
In realtà, se la poesia può diventare addirittura bestemmia, può essere anche preghiera, come insegna Mario Luzi, e questo nella sua acuta coscienza letteraria Lopez lo sa molto bene.
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Raffaele Piazza

sabato 11 gennaio 2020

SEGNALAZIONE VOLUMI= MARA ZANETTI

Mara Zanetti – Ricordi--puntoacapo Editrice – Pasturana (Al) – 2019 – pag. 31 - € 7.00
Mara Zanetti è nata a Mantova dove vive; Ricordi è la sua opera prima.
La plaquette è una raccolta non scandita, connotata da una forte immediatezza.
Il tema del passato, non vissuta con nostalgia, ma attraverso lo scatto e lo scarto memoriale, è la cifra distintiva di questo testo.
La poetessa vive i ricordi come una provenienza da un limbo, che può essere anche salvifico, una materia costruttiva, attraverso la sua attualizzazione nel presente, tramite una parola detta con urgenza.
Quella dell’autrice è una poetica neolirica, sottesa ad una forte eleganza formale.
I versi sottendono chiarezza espressiva, nitore, luminosità e leggerezza.
Le parole nominate con grazia e bellezza riescono ad esprimere una forte linearità dell’incanto, in controtendenza rispetto ad un panorama poetico, come quello della poesia italiana contemporanea, costellato spesso da una grande oscurità e complessità dei linguaggi, adoperati nelle singole raccolte.
L’autrice riesce a creare atmosfere cariche di sospensione e magia, con subitanee accensioni liriche e metafore folgoranti.
Le parole si articolano sulla pagina in modo scattante e veloce e, figura dominante e iterativa, è quella di un t, u al quale la Zanetti si rivolge, del quale ogni riferimento resta presunto, tranne il fatto di essere, o di essere stato, una persona fondamentale nella vita sentimentale della poetessa.
S’intravede una certa vena narrativa a livello stilistico, che si coniuga ad un’ispirazione sorgiva, che produce risultati fortemente icastici.
Per essere Ricordi la prima raccolta dell’autrice, è importante sottolineare che è già connotata da una notevole maturità e, quindi, attendiamo di leggere le opere successive, che mostreranno la continuità di una ricerca che ha già dato buoni risultati.
A volte traspare lo sfondo nel quale si svolge la vita amorosa dell’io-poetante, che è la città di Milano, che con il suo sembiante, il suo paesaggio, condiziona la vita e gli stati d’animo di chi l’abita.
La stessa Milano viene descritta come un riflesso di noia, celato, una città che d’inverno ha un sapore assopito.
I componimenti sono in massima parte brevi e hanno tutti un titolo e sono spesso divisi in strofe.
Più complessa e articolata delle altre la composizione che chiude la raccolta intitolata Incrocio il tuo sguardo; questa poesia è divisa in sei terzine libere e irregolari.
Nella suddetta poesia con grazia e pathos, nel loro mescolarsi, la poeta si rivolge all’amato in tono molto accorato, affermando che dalla sua mente e dal suo cuore sgorga una vita da respirare insieme.
La scrittura procede per accumulo e diviene sia effusione elegiaca dell’animo, sia esercizio di conoscenza.
Centrale la poesia dal carattere vagamente intellettualistico intitolata La memoria cos’è? In questo componimento si realizza una serrata riflessione sul tempo, lo spazio, la solitudine e il dubbio.
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Raffaele Piazza

POESIA = BOMBA CARTA

"Lettera in versi" dedica il numero 72 alla poesia di Antonio Spagnuolo - La lettura cliccando :
https://bombacarta.com/wp-content/uploads/2020/01/n.-72-ANTONIO-SPAGNUOLO.pdf -

SEGNALAZIONE VOLUMI = MARIA TERESA PELLEGRINI RAHO

Maria Teresa Pellegrini Raho – Il nodo alle radici---Puntoacapo Editrice – Pasturana (Al) – 2014 – pagg. 177 - € 16,00

Maria Teresa Pellegrini Raho è nata nel 1954 a Olivadi (CZ); ha pubblicato due raccolte poetiche: Respiro Pieno, 2002 e Nel Silenzio delle Note ho Consumato il mio Furore, 2006.
Il nodo alle radici è prefato con notevole acribia da Pina Mandolfo, che, con le sue parole, ci illumina sulle ragioni profonde del testo, composto sia da parti poetiche, che narrative.
La Mandolfo scrive di quella felicità di cui parla Karen Blixen: “Riuscire a trasformare le vicende della propria vita in racconti è una grande gioia, forse l’unica felicità assoluta che l’essere umano possa provare in questa terra”. L’itinerario sentimentale di chi, solo attraverso la scrittura, possiede occhi per vedere e ascoltare.
La pratica letteraria, quindi, si potrebbe aggiungere, intesa come unico varco salvifico per riuscire a raggiungere, tramite l’urgenza della parola, un riscatto, una catarsi, una redenzione.
Del resto già Donatella Bisutti, nel suo saggio di carattere divulgativo, La poesia salva la vita, ha messo in luce gli aspetti positivi della stessa parola poetica nel suo dirsi, intesa come terapeutica per ritrovare, sia a livello di stesura, sia di fruizione del testo, sintonia tra fisico e psichico, conscio e inconscio.
Anche lo scrittore tedesco Heinrich Boll, autore di Opinioni di un clown, ha parlato della gioia dello scrivere.
Bella la poesia di apertura del composito libro, intitolata Olivadi, che è la località calabrese in cui è nata l’autrice.
Nella suddetta composizione, con uno scatto ed uno scarto memoriali, la poeta rievoca la sua infanzia e si rivede la bambina dai capelli castani e gli occhi grandi spalancati su una storia, che può essere intesa come la vita stessa.
Nella poesia si parla di una lotta nella quale un tu, del quale ogni riferimento resta taciuto, vince sull’esistenza della bambina stessa giocando.
In questa gara tra bambini si può intravedere anche un proiettarsi in una dimensione temporale successiva della vita, il rapporto sentimentale donna-uomo, nel quale c’è chi vince e c’è chi perde e nel quale la partita può finire anche patta.
Nel caso in questione è l’io-poetante stesso a perdere nella gara tutto ciò che possedeva.
Il questo proiettarsi nel passato, attraverso una proustiana memoria involontaria, che non è nostalgia, ma felice riattualizzazione, c’è tutto il senso contenuto nel denso titolo del libro Il nodo alle radici.
Se noi esistiamo nell’attimo heidegeriano, feritoia tra passato e futuro, sia visto come un fatto costruttivo il nostro riannodarci alle nostre origini, la tensione verso lo spaziotempo dal quale proveniamo, soprattutto quello dei momenti felici.
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Raffaele Piazza