venerdì 31 maggio 2024

SEGNALAZIONE VOLUMI = MARIA PIA QUINTAVALLA

MARIA PIA QUINTAVALLA: Saudade 2017-2022, puntoacapo Editrice, Pasturana (AL), 2024 - pag. 102 - € 17,00
È uscita pochi giorni fa la nuova raccolta poetica della nota poetessa Maria Pia Quintavalla, l’ennesima in un lungo e apprezzato percorso letterario che l’ha vista, recentemente, meritare il Premio Speciale “Alla Carriera”, conferitole nelle Marche-(1, per la sua distinta attività di poetessa e saggista all’interno della III edizione del Premio Letterario “Paesaggio Interiore” (2023) presieduto da Francesca Innocenzi.
L’opera si propone nella forma di una raccolta di testi che fanno riferimento al periodo 2017-2022 e va sotto il titolo di Saudade, termine caro alla cultura lusitana e carioca. Il libro è stato pubblicato all’interno della collana “Intersezioni” della puntoacapo editrice di Pasturana (AL) ed è introdotto da una prefazione a firma di Giancarlo Sammito.
L’Enciclopedia Treccani online fornisce, quale spiegazione del lemma straniero “saudade” che comunemente viene richiamato anche nel nostro dizionario, tale definizione: «Sentimento di nostalgico rimpianto, di malinconia, di gusto romantico della solitudine, accompagnato da un intenso desiderio di qualcosa di assente (in quanto perduto o non ancora raggiunto), che permea la poesia lirica portoghese e brasiliana dell’Ottocento e che, rivendicato nei primi del Novecento da alcuni letterati fautori di una rinascita della cultura portoghese come atteggiamento tipico del carattere nazionale, si è diffuso come stereotipo dell’animo portoghese e, per estensione, brasiliano». Il termine richiama un sentimento di più o meno sofferta malinconia per un passato o un perduto al quale l’individuo anela nel pensiero vagheggiando quel che è stato o nutrendo il pensiero di quel che vorrebbe recuperare. Saudade della Quintavalla è la voce intima che corrisponde alla chiamata nostalgica, a una musica lontana di echi imbevuta di rimpianto, una sorta di tristezza nativa che non è la sofferenza del lutto ma nella quale squarci di luce possono anche penetrare. Come sosteneva Tabucchi, infatti, può trattarsi anche di una “nostalgia del futuro” (che, dopotutto, sempre per lo stesso autore, è una sorta di “paradosso”) e può aver a che fare con qualcosa che stupisce e intenerisce al contempo.
Nella prefazione di Sammito è possibile leggere: «C’è tanta acqua in Saudade. Acque serene di adolescenziale vigilia, di veglia per una incarnazione nella parola e nel senso condiviso dei linguaggi. Ma anche di amnio e naufragio, acqua persa (buia) e rugginosa in pozzanghere di città dove la vita, la poesia, hanno trovato e trovano ancora forme di canto. E luoghi, una pressante aspirazione, come dice il titolo, a luoghi, e non soltanto interiori […] Saudade è combinazione e madre del sentimento del tempo, del desiderio, tesoro compresso tra futuro e passato: del nostos, Sehnsucht protesa al viaggio nel luogo o nel tempo del percorso linfatico, invisibile ma presente, che a maggior ragione esige dunque voce, espressione, storie».
L’opera contiene al suo interno un prima e un dopo, che si contraddistinguono dal limite di una sorta di “spartiacque” rappresentato dall’insorgenza della triste pandemia che abbiamo sperimentato. Così, all’ante Covid appartiene la sezione “Casi del mondo, case dell’amore” mentre all’età successiva, impressa al trauma del Coronavirus, appartiene la ricerca di saudade e i “Giorni come fucilazioni” dove trovano collocazione i «pensieri tortorelle» in attesa di «fucilate imprevedibili, come serenate attese».
L’Autrice ha rivelato in una conversazione privata che «Ci sono tagli in questo libro: e acque da tagliare» con particolare riferimento al rito della nascita (e di molte nascite si parla nel volume), ma anche al fenomeno dell’immigrazione rappresentato da quei passaggi delle navi libiche che fendono le acque del Mediterraneo. Sono esempi di questo taglio etico-civile le opere che evocano ecatombe dolorose e le cronache ripetitive dei nostri giorni, in una «vita di periferico abbandono» (32): “Sono una nave libica” e “Augusta, il naufragio”.
Ci sono poi le sezioni in prosa: i componimenti “La piantina”, “Dalla torretta”, “La terribile età” sono estratti da “Album feriale”. A chiudere è il poemetto “Augusta, il naufragio”, un delicato e curioso prosimetro in cui è possibile leggere: «Ora, questo immenso camposanto è marino, l’assenza di pietà umana ha scelto il colore dell’acqua per manifestarsi. Un cielo capovolto e profondo pieno di pesci, ora in frotte, ora in fuga» (74).
LORENZO SPURIO
(Matera 15 / 05 / 2024)
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1) Cerimonia avvenuta a Cerreto d’Esi (AN) nel 2023.
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Maria Pia Quintavalla (Parma, 1952) vive a Milano. Ha pubblicato le opere Cantare semplice (1984), Lettere giovani (1990), Il Cantare (1991); Le Moradas (1996); Estranea (canzone) (2000; 2022), Corpus solum (2002), Album feriale (2005), Selected Poems (2008), China (2010), I Compianti (2015), Vitae (2017), Quinta vez (2018). Tra i premi vinti si ricordano il “Cittadella”, l’“Alghero Donna”, il “Nosside”, il “Pontedilegno”, il “Città di Como”. Numerose le opere antologiche nelle quali risulta inserita tra le quali Braci (2020, a cura di Arnaldo Colasanti). Inserita nell’Atlante voci poesia, progetto curato da Giovanna Iorio. È stata Redattrice della rivista «Menabò» ed è nella Giuria del Premio Terre d’ulivi. Collabora alla rivista «Metaphorica». Conduce laboratori di lingua italiana presso la facoltà di Lettere UniMi.

sabato 25 maggio 2024

POETI DA RICORDARE = CIRO VITIELLO


CIRO VITIELLO ---1936 -- 2015

lunedì 20 maggio 2024

SEGNALAZIONE VOLUMI = GIANSALVO PIO FORTUNATO

"CIVILTA' DI SODOMA" - RP libri 2023 - pag. 128- € 14,00
"Ora, Lucilla,/ ninfa di luce,/ i tuoi seni son scandalo/ e la tua anima postilla di bocca,/ che induce ad un velo borghese acidulo". Il tono classico, i riferimenti nobili, solenni, essenziali, si schiantano e annegano dentro e sotto il velo borghese acidulo, la scialba immagine di una modernità dissolta e dissoluta. E' questa in sintesi la dicotomia che sta alla base del lavoro poetico del giovane poeta Giansalvo Pio Fortunato.
Il poeta, con la sostanza di confronti ineludibili, mostra il divario tra la belleza e l'armonia e quella che vede e descrive come degradante successioe di giorni scialbi, il tempo attuale, dediti solo ad effimere apparenze o a piaceri materialistici.
Nonostante la giovane età l'autore dimostra una conoscenza salda della tradizione letteraria e storica che utilizza come termine di paragone e come specchio per fare risatare i vizi e i peccati del presente.
Le radici a cui attinge l'autore di questo libro dal titolo volutamente forte, sono numerose e profonde. Viene in mente tra gli altri Decimo Giulio Giovenale autore di sedici satire di lunghezza diversa, raggruppate in cinque libri, pubblicati tra il 100 e il 127 d.C. in esametri. I temi trattati da Giovenale sono svariati e appartenenti al classico repertorio della poesia satirica, (già trattata in ambito latino daLucillo, Orazio e Marziale): si va dall'indignazione per la corruzione dei costumi, alle invettive contro le donne, dai discorsi sulla moralità perduta e sulla necessaria moderazione delle passioni alla descrizione delle perversioni umane (parallelo a queste, anche il già citato riferimento al titolo del libo di Fortunato).
Se la satira precedente aveva guardato ai vizi umani con un sorriso ironico ( si pensi all'oraziana "Ibam forte via sacra" o al tono salace ma non offensivo degli epigrammi di Marziale), Givenale, di fronte alle corruzioni e alle turpitudini della società del suo tempo, decadente e corrotta, opta per la poetica dell' indignatio (l'indignazione) con cui attacca frontalmente, con descrizioni minuziose e stilisticamente elaborate, la depravazione umana intorno a lui.
Per lo stile "sublime" e la loro spiccata espressività Giovenale ha avuto molta fortuna presso i posteri, influenzando autori come Dante Alighieri che lo nomina nel canto XXII del Purgatorio, Francesco Petrarca, Giuseppe Parini del Giorno, Vittorio Alfieri e Victor Hugo.
Forte di questi precedenti, Fortunato può ritagliarsi uno spazio espressivo proprio, individuale, unpercorso autonomo che egli stesso efficacemente sintetizza nella nota d'autore introduttiva al libro: "Civiltà di Sodoma è, presumibilmente, l'unico titolo appropriato per i cosmo sociale, in cui è stata realizzta tale raccolta, ma anche per gli intenti ed i contenuti trattati; è l'unico titolo che fornisca la densità, il chiasmo di furenti emozioni e la disillusa rassegnazione all'odierno presente ideologico e sociale. Fin dal titolo, insomma, si prefigura l'ingresso, tramite le porte velanti della poesia, in un'onirica visne perpetua del presente, un incubo quasi incontrollabile ed incontrollato, dove le parole fungono da freccia sgusciante le carni, svisceranti le polveri delle omologanti emozioni; i mattoni del confinato di Sodoma sono lanciati in sequenza alla percezione del lettore, aventi per fuoco di creazione l’onirico presente.
Molto probabilmente avrei potuto compiere la medesima
operazione fruendo della prosa; ma ciò che contraddistingue un autore, e nel dettaglio un poeta, è certamente l’attitudine alla moderazione: si può sostenere, per l’appunto, che la poesia funga quasi da eufemismo e della realtà e dell’indignazione poetica ed intellettuale, che caratterizza il mio giovane impeto ideologico. Se anche solo per un istante avessi permesso la corruzione della prosa, sarebbe derivata più che un’opera scrittoria, una furibonda, analfabeta accusa alla storia ed alla società odierna; con altissime probabilità si sarebbe materializzata un’arringa talmente tesa, da rompere anche le regole del periodo e della comune costituzione linguistica. Facendomi, insomma, trasportare dall’oscuro incubo in cui la società mi ha gettato senza redenzione, anche alla mia stessa produzione scrittoria ed al mio stesso specolo poetico sarebbero stati destinati i medesimi scatti d’ira e di attiva compassione verso un presente aberrante e nauseante e che, per se stesso, richiede una redenzione, contemplata nell’atto poetico”. La scelta della poesia quindi, come elemento di moderazione ma anche come ulteriore distanza da porre tra sé e il dominio della volgarità.
Soprattutto, il giovane poeta è conscio di muoversi controcorrente, contro il dilagare di un’ondata compatta di materialità fine a se stessa. Nonostante ciò con serietà e assoluta consapevolezza esprime la propria descrizione di un tempo in cui non si riconosce e da cui intravede uno scisma, una redenzione, solo attraverso la spiritualità, la religiosità autentica. “È questa – dichiara ancora lo stesso Fortunato nella nota introduttiva - un’operazione dolorosa, urticante, ma necessaria e, soprattutto, funzionale alla denuncia di una realtà apolide ed apolitica, non riconosciuta, ma tanto tirannica da reggere le sorti del mondo: il borghese medio. Una figura ideologica tanto avvilente e diffusa capillarmente da essere il prototipo di cittadino odierno, la massima alienazione del vivere sociale e la degenerazione della naturale convivenza mondiale. Si pone anche quale paradigma sogghignante dell’omicidio della lingua e come ultimo grado dell’“italietta”, ora figlia della dimenticanza del passato; è il prototipo generalizzato del capitalista perfetto: deturpatore dell’essenza stessa dell’ideologia; mercificatore di tutto ciò che conferisce un vano tentativo di elevazione o abbassamento rispetto alla linea d’omologazione; mente, solo anatomica, balbuziente e boccheggiante alla riserva del pensare comune; falso democratico, ancor più tirannico ed estremista di ogni cittadino di stampo fascista o neonazista; è l’irreligioso di moda e non di convinzione, di trama poetica e non di abiuro filosofico. L’innesto religioso è volutamente provocatorio: crasi tra il richiamo alla religiosità, d’attuale tendenza poetica, e la sconfitta religiosa per le mani del capitale, distruttore e vorace; non, piuttosto, edificante e di ragionevole dubbio quanto il nichilismo. Decanto, dunque, un necrologio al nichilista ed al cristiano autentico e filosofico, essendo vittime della commercializzazione del non commercializzabile e della mercificazione, da porcile, della massa.
Ai poeti, prestatisi a quest’abile manovra, prefiguro, con tremendo timore, il giudizio apocalittico della corte marziale della storia”.
“Non scorgo attorno a me / santi o profeti ortodossi, / né paradigmi di vita; / non odo supremazie o alcunché / di originale, né alcuno che professi / l’autenticità della salita / dell’esistere, / rintono in una morsa violenta / di cieli stramazzati, / ove il silenzio risuona / in un’ipocrisia virulenta / d’intellettuali balbuzienti. / Non odo cattolici / né atei per preconcetto / o, mitigando, agnostici / reazionari e laici; / non splende il liberale inetto / né si accendono luci / su capitalisti o servi sociali: / solo una fanghiglia / risale alle sponde e le Baccanti, nei tribunali, / burlano il senso stesso di civiltà; / sicché l’iperuranio implode”.
È un punto di vista individuale, come si è detto in precedenza, sintetizzato anche da questa lirica di pagina 30. Ma ogni componimento è ricco di richiami e rimandi, cosicché solo una lettura diretta potrà permettere a ciascuno di farsi un’idea precisa dell’invettiva dell’autore confrontandola con la propria visione del mondo.
Di sicuro questo libro è scritto con sincerità e forza, ed esprime uno stato d’animo che l’autore, con la virulenza espressiva della gioventù, manifesta in modo nitido e tagliente. Riecheggiano invettive famose, ma, è giusto sottolinearlo ancora una volta, pur avendo assimilato la tradizione Fortunato scrive in modo autentico ed individuale, con il calore di chi davvero mette nero su bianco una sua convinzione profonda.
Un libro interessante, lontano dai temi e dalle forme piane e rassicuranti, in cui ognuno potrà trovare modo di osservare un ritratto del tempo che viviamo e del mondo che vorremmo, in alternativa, in un altrove ideale.
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(Pisa,12 aprile 2024) = Valeria Serofilli

sabato 18 maggio 2024

SEGNALAZIONE VOLUMI = FRANCESCA LO BUE


**APPUNTI DI LETTURA
Francesca Lo Bue
IL PELLEGRINO DELL’ALBA - Raccolta poetica bilingue - Società Editrice Dante alighieri pp. 93 Euro 12,50
È sempre illuminante leggere le introduzioni che Francesca Lo Bue inserisce nelle sue sillogi poetiche e lo è anche in questo caso.
Con una scrittura colma di metafore e traboccante di poesia, la poetessa ci dice che il: “Libro… è l’altare di parole ritrovate… è sintesi… è il poeta che legge nella realtà ed è la realtà che si fa parola.” Per lei il Libro è la Biblioteca, in quanto la forma e la rende possibile e la Biblioteca è “ la chiave per decidere e conoscere i segreti del cuore e della terra.”
La conclusione dello scritto, poi, è perentoria e il lettore ne resta attonito, sentendosi nello stesso tempo accorto e responsabile nello sfogliare il libro che, per Francesca, e” biblioteca (che) raccoglie i segni di Dio”, un sacrario, quindi, una prodigiosa officina perché, come afferma nella poesia Stare instabile, “ l’unico che è e permane è la parola.”
Per l’autrice, un modo per ritrovare il verbum è, anche, quello di tornare “ alla casa del cuore”, quella del proprio vissuto, perché “ il vissuto è l’alone delle parole”, tutte nascoste nell’eternità e depositate nell’inconscio.
È, forse, proprio l’inconscio che l’autrice evoca nel titolo Il pellegrino dell’alba? Ma chi è in realtà il pellegrino?
È, forse, la voce primordiale, nel deserto delle voci? È il nome che illumina i significati?
Il pellegrino dell'alba è, piuttosto, colui che, alle prime luci del giorno, permette l'abbraccio tra conscio e inconscio, aprendo un regno diparole dove s'intessano e liberano dialogo e comunione, gli unici che hanno il potere di sciogliere i rapporti umani dalla prigione dell'incomuncabilità.
Nel regno sigillato e custodito dal pellegrino, sbocciano all'alba i segni e i disegni di una scrittura che compone "la poesia bianca/ del Dio gentile/ il fiore d'oro..." quello che profuma il libro e lo rende sacro, quello il cui aroma penetrante fa scendere nel pozzo emozionale di chi legge, annullndo il tempo e lo spazio e lascinado sospeso ogni dire.
Il pellegrino dell'alba, guardiano di ogni parola, permette, in fine, a Francesca, di chiudere il suo poema convocando tutte le lettere dell'alfabeto, che lei accarezza una ad una, conscia della loro forza e della loro unica, inesauribile preziosità, quella di essere capaci di far vivere e palpitare "un regno di parole", il solo che permette all'uomo e, in massimo grado, al poeta, di dare un nome alla realtà visibile e invisibile e di esserne, quindi, l'indiscusso signore.
MARIAGRAZIA CARRAROLI
(Campi Bisenzio, 8 maggio 2024)

giovedì 16 maggio 2024

SEGNALAZIONE VOLUMI = ANTONIO SPAGNUOLO


**Antonio Spagnuolo: "Futili arpeggi" - La valle del tempo - 2024 - pag.120 - € 14,00 - con un saggio critico di Carlo Di Lieto
Futili arpeggi si apre con una riflessione dell’autore centrata sulla domanda che introduce l’argomento ovvero “Cos’è la poesia?” e confessa che a questa domanda che spesso viene posta al poeta, egli non sappia rispondere o che magari ricerchi intorno a sé definizioni attendibili. Non è certo facile descrivere il momento creativo di una poesia ad un pubblico che vuole risposte esaurienti intorno a un processo intellettivo che prorompe improvviso investendo mente e cuore e ha le sue radici in un subconscio incredibilmente ricco di sollecitazioni che il poeta riesce a scorgere nel buio come un bagliore. Scrive Antonio Spagnuolo: “…la poesia è principalmente musica, ritmo che specialmente con l’endecasillabo ritorna nel segno che la penna incide” e ancora si sofferma sul mistero che è sorgente di essa e ne descrive mirabilmente il processo che la origina.
Straordinaria poi la coerenza con cui Spagnuolo ordisce le trame per questa sua nuova raccolta dove albeggia costante il ricordo dei fremiti erotici della gioventù.
Il linguaggio sempre variegato distende endecasillabi fioriti di malinconie e sussulti amorosi: versi che il poeta Spagnuolo ha eletto come forma metrica perfetta che più si presta, come per lui avviene, alla narrazione di una vicenda che perdurerà oltre la vita. Affida così alla poesia il compito di richiamare le immagini del passato da una provocazione del presente in un’alternanza in cui sono protagoniste l’evocazione dell’amore e l’angoscia dell’immaginazione di ciò che sarà attraverso gli intensi richiami della memoria:
Ormai la gioventù quasi scompare
nel molle desiderio come stoppia
bruciata che cancella l’eterno.
Compare, nell’immaginare l’indicibile, lo sgomento che afferra il poeta quando richiama un dettaglio dissolto, o evoca febbrili amplessi.
La raccolta rivela poi la sua originale voce nell’esaltazione di un paesaggio dai toni idillici- come avviene in Riflessi quotidiani-in virtù di una bellissima sestina iniziale. Compare Marechiaro in tutto il suo fulgore e la bellezza partenopea si fa sogno che si unisce al sogno d’amore del poeta. Immagini contrapposte a quelle odierne di un’epoca segnata dai conflitti come amaramente Spagnuolo rammenta nei suoi versi:
Troppe stagioni hanno il tempo/ del fragore e del fuoco, senza un come!
Ma mai nella silloge il colloquio a due si interrompe sia che l’ispirazione provenga dalla contemplazione della bellezza dei luoghi sia che lo sguardo si rivolga all’arte o che sia la coscienza a levarsi per chiedere il conforto di una preghiera.
La voce del passato torna a fiorire nelle sere di inverni incombenti, l’esistere si cristallizza adesso nei versi:
Fino al minuto che ritorna incerto
si rimane sospesi al grido del giorno
incompiuto (…)
Ma Spagnuolo non ferma la testimonianza della sua poetica solo tra sensi di ormai disincantata fermezza, ma ci invita ancora a riflettere sul senso dell’esistenza.
È giunto il tempo di chiudere i conteggi
e affido il mio bagaglio di poeta
all’illusione di eternità.
=
Futili arpeggi dunque i versi, la poesia, l’amore?
No, se ancora si affacciano
“tracce di gemme e di immortalità”
No, se ancora “qui fluttuano i colori al confine del sogno”
O se
” Abbagliano le scie dall’ampio raggio
nel brusio di quelle metamorfosi
come risacche dalle diafanie, per contorni
il cui nitore è rovereto ardente.
**
CARLA MALERBA

domenica 12 maggio 2024

POESIA = CATALDO RUSSO


**"Come folli"
Come folli abbiamo costruito
l'esistenza sulla linea fragile
della paura.
=
Inchiavardati in sottili equilibri
di morte osserviamo lo scorrere
dei giorni che ci ricordano
quanto il domani sia a tempo
e l'oggi sia scandito dall'abuso.
E così invece di riempire i granai
di cereali li stipiamo di terribili
congegni di distruzione di massa.
=
E come folli mettiamo i piedi
su appigli che si sgretolano
e ci fanno rotolare nel
vuoto senza fine per ricordarci
che tutto si ritorcerà contro
noi stessi e che ogni vittoria
ha i prodromi della sconfitta.
=
(Milano 25 marzo 2022)
******
"La forza che attirò Icaro"
Dedalo aveva costruito per suo figlio
ali forti e belle.
Con quanto amore Dedalo costruì
quelle ali d'avorio con riflessi
grigio perla!
Quando Icaro le mise sulle sue
braccia possenti
sembrava il più bel pennuto
che mai avesse solcato il cielo.
=
Si alzò in volo in direzione
del Sole muovendo veloce
le vigorose braccia per eludere
il passo veloce del Minotauro.
Non fu il sole che sciolse la cera
nè l'incoscienza di Icaro
di volersi riposare fra
le braccia dorate di Helio.
=
A vincere la sua resistenza
fu quella forza che attira
ogni cosa verso il centro
della Terra.
Quando cadde nel mare fu accolto
da una miriade di pesci.
Da allora, ogni giorno scrive note su
uno spartito turchino
e Naucrate, la madre, le intona
per tutti i giovani che precipitano
nelle profondità degli abissi
dove a stento giunge il pianto disperato
di un padre o di una madre
che invecchia aspettando invano.
***
CATALDO RUSSO

venerdì 10 maggio 2024

SEGNALAZIONE VOLUMI = ALFREDO ALESSIO CONTI


**Alfredo Alessio Conti: “Liriche scelte” – Ed. Miano – 2023 – pag.104 - € 16,00
“Un filo spinato/ scorre nella mia mente/ ho perduto il senso/ del mio esistere/ frastornato dai giorni/ inquieti e senza speranze/ che fagocitano paure/ inesistenti/ e mi trovo rinchiuso/ tra regole e imposizioni/ senza più diritti/ timoroso di esprimere/ una mia opinione.”
Come un filo spinato che espone la sua trappola pungente passo per passo ecco che Conti offre una continua catena di pensieri, che a volte appaiono come veri e propri aforismi filosofici, dettati dal perenne mal di vivere che aggancia noi mortali. Componimenti che avvolgono il privato trascinandolo in una riflessione che seduce per quel suo sottile ricamo speculativo.
Un preciso corpo etico ideale diviene sostegno dell’indagine che vorrebbe scoprire Dio nei suoi segreti silenzi, per un destino che potrebbe essere appagato soltanto dalla rivelazione. Cosa che risulta improbabile, ma che la “parola poetica” focalizza e manifesta in quei versi irresistibilmente e suggestivamente associati alla sottintesa preghiera.
Si affiancano, in questo ricchissimo volume suddiviso in tre ben distinti capitoli, le poesie d’amore, nel segno della vertigine/tormento, che avvolge la preda.
Qui metafore e scelte lessicali scaturiscono dalle intense emozioni che la passione può realizzare in rapporti che seducono e bruciano.
Il poeta sembra condurci per mano per guardare con sospensione, ammirare con delicatezza, assaporare con una malcelata benevolenza, e non rinuncia a trasmetterci quella speranza che non deve mai affievolirsi.
“C’è sempre/ un po' d’inchiostro/ per scrivere/ il desiderio di te/ in ogni istante/ che della vita/ mi resta.” “In tutti i testi – scrive Concardi in prefazione- troviamo il continuo ricercare dell’uomo, sulla sua origine, sul suo destino, sul senso dell’essere, come avviene in queste sue partiture.”
Scrittura scorrevole dove il ritmo non cede mai a interruzioni e la musicalità del verso rinchiude quel canto che accompagna il dettato.
*
ANTONIO SPAGNUOLO

giovedì 9 maggio 2024

SEGNALAZIONE VOLUMI = SALVATORE CANTONE


** Salvatore Cantone: “Morire d’amore” – Ed. RP libri – 2024 – pag. 96 - € 12,00
“Morire d’amore – scrive il poeta nella introduzione – è mistero, enigma, forza che travolge e trasforma. E’ gioia e dolore, passione e tormento, speranza e delusione. E’ tutto questo e molto di più.” Subito sgranella componimenti che rappresentano il vorticoso richiamo dei sensi, delicatamente ovattato da un incedere pacato e sostenuto insieme, capace di immergere il lettore nella veemenza e nell’energia delle pennellate, che fanno di queste pagine un rosario ininterrotto di pulsioni.
La poesia si fa “prisma dell’amore” e si presenta in questo volume in quattro sezioni che evocano una comunanza esistenziale tra “Attesa”, “Passione”, “Dolore”, “Eros”, quasi a voler segnare con precisione un itinerario da percorrere per assaporare, mordere, masticare e bere tutto quanto l’Amore riesce a donare all’amante. Un conversare poetico che intreccia immagini e parole, tratti e riflessi, impronte di senso ed implosioni di sentimenti, dall’esperienza personale e collettiva, nella quale ognuno può riconoscersi, immedesimarsi ed esprimere la propria emozione.
Dall’amore cortese e platonico “perderti più non potevo, / nel breve istante di pudore/ t’ho guardata negli occhi. / Ho capito che l’attesa/ di tutta questa vita/ era solo per il tuo sguardo.” All’amore romantico e passionale “E’ un’altalena d’amore/ la tua anima, / nuda m’attraversa il sangue/ e morde la bocca del mio cuore, / lascia il mio corpo/ tra gli spasimi e i suoni.” Dall’amore tragico e disilluso, fonte di dolore “che colpa ne ho io/ se l’inganno dei miei discorsi, / se l’inganno di queste parole/ hanno voluto donare illusione. / Non farmi martire, / non farmi carnefice, / prego te di perdonarmi, / prego te di amarmi.” All’amore sensuale ed erotico che esplode nei desideri e nel piacere: “Svuotami il corpo di te, / il tuo antico sangue/ riempie e pulsa dentro, / trapassa la mia unica arteria. / Sei nel sangue, / prosciugami tutto il tuo labbro/ e non sottrarmi al tuo giogo.”
Attraverso il chiarimento del simbolo ogni parola diviene illuminante considerazione, essenziale nel crogiuolo di qualche via praticabile senza alcuna ribellione, con un incedere che intende creare un cortocircuito all’interno della provocazione.
Scrittura, questa di Salvatore Cantone, limpida e scorrevole, senza intoppi d’avanguardia, senza difficoltà di risoluzioni.
*
ANTONIO SPAGNUOLO

POESIA = INDOVINA COME FINISCE


TACENDO IL NOME DELL'AUTORE PROPRONIAMO UNA POESIA KITCHEN INVITANDO A UN COMMENTO!
***
"L’aria"
è il sole una verza spalancata
dentro nell’orto mentre è pieno inverno,
bollita al cotechino fa contorno.
come la gente intorno ad altra gente
o il pesce ad altro pesce nell’acquario,
in cui c’è un goccio d’acqua ogni carpe
che qualcheduna, in mezzo alla penuria,
si getta fuori annega dentro l’aria
**

SEGNALAZIONE VOLUMI = MARINA MINET


**MARINA MINET, "Pianure d’obbedienza" - Macabor, Francavilla Marittima, 2023.
“Il faro della notte è il silenzio / e immersa vi rinasco alla preghiera”
Per i tipi di Macabor è uscita qualche mese fa la raccolta Pianure d’obbedienza di Marina Minet. L’Autrice (il cui vero nome è Teresa Anna Biccai) è originaria di Sorso (SS) anche se oggi vive nella provincia romana, ad Ariccia. Nel suo portfolio di autrice ci sono numerose pubblicazioni a partire dal lavoro d’esordio Le frontiere dell’anima (2006) sino alle più recenti Delle madri (2015) e Scritti d’inverno (2017). Attiva anche per il genere della prosa con racconti, romanzi collettivi e narrazioni per l’infanzia.
Il critico Silvano Trevisani nella breve nota introduttiva al volume ben apre al percorso letterario della Nostra che, con questa silloge, compie un “itinerario contemplativo”, un appassionato sentiero tra le pieghe personali affrontate con un piglio meditativo e catartico nei confronti del sentimento religioso che connatura l’intero volume. Un sensazionale ed educativo percorso di crescita e di autoconsapevolezza che la Poetessa compie mediante la rilettura e l’attualizzazione di testi sacri al cattolicesimo con chiose, rimandi, echi e insegnamenti sapienziali che ora qui, ora là salgono in superficie nel dettato poetico quali gemme rarissime.
L’atteggiamento della Nostra è quello di un essere saggio e circospetto che non osserva gli accadimenti in maniera distanziata e indifferente ma, al contrario, empaticamente partecipa alla miseria e alla debolezza degli uomini. Lo sguardo, che non è mai da lontano, ma da vicino su quel che racconta, è solidale e accogliente, teso alla comprensione dell’altro e all’ascolto privo di pregiudizi.
L’Autrice si rivela e si confessa con la sua poesia, ricerca i significati inespressi di quel che accade e che non sappiamo comprendere spesso nell’abitualità del presente così troppo legato al concreto. La raccolta prevede al suo interno una scelta ampia di testi, frutto di una cernita della produzione più recente della Nostra, e si evidenzia come un calco stratigrafico per età, momenti, episodi determinanti del vissuto, circostanze, fasi dell’esistenza e dell’autoconsapevolezza. Le opere, infatti, come ricorda la Nostra nella nota incipitaria, sono state scritte in un arco di tempo di un decennio, che va dal 2012 al 2022. Non è un caso che Trevisani parli di “catechesi poetica” della Nostra vale a dire di un insegnamento della religione: l’Autrice è andata approfondendo concetti e implicazioni della teologia filosofica cristiana come pure della preghiera e dell’agiografia, campi di studio che l’hanno progressivamente avvicinata non solo all’insegnamento di Cristo, ma al suo incontro. In “Se mai c’è stato” scrive: «Io non lo ricordo quando tu non c’eri / […] / un verbo senza frutto // […] / Se è vero che la Croce racchiude il tuo segreto / accordami un frammento che dia sopportazione» (17).
La spiritualità effusa nei versi scantona la liturgia e la professione di fede, il solipsismo e la retorica confessionale per configurarsi come tensione umana ed etica spontanea, quale ingrediente fondamento delle giornate della Nostra, è una filosofia del sentire le cose, l’afflato sensoriale e percettivo che la connette col mondo, sia quello tangibile e visibile che quello metafisico e assoluto.
L’opera è strutturata in micro-sillogi interne ciascuna dotata di un proprio titolo (“Le lodi del sentiero”, “Preghiere” e “Foglie capovolte”); incontriamo testi-preghiera nei quali l’Autrice si scopre a confronto – a specchio – con la divinità. Ci sono poesie scritte ad Assisi, spazio del sacro per eccellenza (del luogo umbro scrive: «In questo luogo / la fede è un fiume che innaffia la sua terra», 28), ma anche a Lerici e dedicate a Sorso, sua città natale, nel Sassarese. Incontriamo anche le “poesie in tempo di guerra” dove la guerra si riferisce alla pandemia per Coronavirus che tanti morti ha falciato e di cui l’esperienza è codificata in forma traumatica nel nostro DNA. La guerra è anche quella fisica, geopolitica, che si combatte in Ucraina1. In “Soldati” riflette: «Le tasche dei morti contengono niente / l’ultima preghiera ch’era in vita» (35); in altri testi la disperazione prende la forma di tentativi d’interpello verso l’Alto: «dove riposeremo stanchi / col precipizio dei cieli sulle spalle / svuotati di ogni lode?» (37).
Con un linguaggio pacato e l’utilizzo di un lessico piano e persuasivo l’Autrice affronta il problema dell’uomo contemporaneo (nella poesia che dà il titolo al libro parla delle «crepe dell’uomo», 53, ovvero delle sue vulnerabilità e lacune) spesso relegato nel vizio e disattento all’altro, lontano dall’ascolto interiore e improntato alla vanagloria e alla fame di successo. Ne è convinta quando osserva questo atteggiamento abbastanza diffuso del «chinare il capo all’illusione» (54). A tutto ciò la Nostra contrappone l’esigenza di una confidenza con Dio, l’apertura del nostro cuore, la fiducia e la speranza poiché, sebbene «il nostro credere [sia] imperfetto» (48) la vita va avanti inarrestabile e «L’esistenza è una spina che non cede» (38). Così anche dopo i peggiori drammi umani «Torneranno sempre i fiori // […] // Torneranno / come i nostri passi sui crepacci» (57). È il messaggio lucido e convinto di una certezza di futuro, della salvezza, della rassicurazione che la bellezza permarrà. Di una resilienza continua e di un atteggiamento armonico verso la vita.
Nella terza e ultima sezione dell’opera, “Foglie capovolte”, è contenuta una delle liriche forse più alte, per intensità, dell’intera raccolta: “Come si ricorda una madre” dove la felice memoria della figura materna è inscalfibile al passare del tempo, alla distanza e al silenzio: «come si ricorda una madre / se rimane ancora fiato di presenza / e il suo nome è una vigna mai appassita» (69). «È una promessa di presenza, nello spazio sospeso di «stanze vuote che attendono una visita» (73). Chiude la raccolta – prima delle preziose chiose di due Papi, Giovanni Paolo II che parla di “contemplazione della verità”, e Papa Francesco – la poesia-testamento “Quando un giorno” che contiene l’invito della Nostra ad accogliere la sua ultima volontà: «portatemi gli affanni come dono / saprò tagliarne il peggio limando le preghiere."
*
LORENZO SPURIO (21/3/24)

martedì 7 maggio 2024

POESIA = CARLA MALERBA

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**Cornamusa d'estate**
Si perdono
le note di una cornamusa
dentro un perfetto tramonto
che non conosce
sbavature di profilo.
Prevaricano
sul sospiro dell'acqua
leggero.
Inducono
all'anima assorta
un'indolenza amara.
Intridono d'universo
una scomposta teoria
di pensieri.
Perché l'estate non è stagione di cornamuse.
==
**Malastrana**
Per ignote vie
strette
stride il violino
balzano le note
contro i muri
delle case desolate
urlano alla vita
pezzi d'amore
come specchi
rifulgenti al sole.
Lo zingaro
riprende il suo cammino
mentre s'alza il canto.
E le note,
le note
sembrano non avere mai fine.
==
**Che lungo autunno**
Che lungo autunno
di nebbie e sole misto
di giorni tempestosi e di bonaccia
che strano autunno
di attese lente e grevi
nelle pause del tempo
che ci assedia
che odiato autunno
di speranze vano
mentre vorrebbe l'animo salpare
verso le terre infisse in alto mare
e da lì verso altre più lontane
dove il sogno davvero tale appare
dove non rischia il temerario
tra le braccia amorose del suo mare.
**
CARLA MALERBA (dal volume "Di terre straniere" Ed. La vita felice - 2010)

domenica 5 maggio 2024

POETI DA RICORDARE = PAUL CELAN


PAUL CELAN (1920/1970) dal volume "Svolta del respiro"-

INTERVENTO = ANTONIO SPAGNUOLO


**Per la collana "Frontiere della poesia contemporanea" edita da La Valle del tempo
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Una nuova collana di poesie, in questa società consumistica e disattenta, può apparire superflua, ma io invece credo che proprio perché insiste sul mercato una valanga di libercoli che si propongono come creatività contemporanea, sia con l’avallo di una critica non più militante ma venduta, sia con il beneplacito dell’editoria maggiore, proprio per la vacuità di tanti volumetti la presunzione di una nuova serie di sillogi si offre per una scelta severa dei testi e una presentazione di autori che riescono ad incidere nel panorama culturale del momento. Una corona di testi che si oppongono alla vacuità di alcune pubblicazioni che curano soltanto l’aspetto interessato o del fascino del nome o della appartenenza ad una casta privilegiata, lontana dalla vera e sudata cultura umanistica.
*
Non si scrive poesia, quella che io definisco Alta nel puro senso della parola e dell’elegiaco, non si scrive poesia per esibizionismo o per vanagloria, ma soltanto perché siamo esseri umani e l’umanità ribolle di sentimenti quasi sempre sopiti nelle intime circonvoluzioni cerebrali.
Nulla cambia nell’inconsapevole rivoluzione dell’inconscio , passo dopo passo nel rigore dell’esplorazione di quelle emozioni che tingono di rosso la parola, e non sopporta limiti o limitazioni, etichette o programmi, là dove viene ricreato l’ideale che aggrega e coinvolge in vertigine. Mentre il corpo nomina la propria presenza, sulla scena del mondo pur sempre densa di ombre, con il calore proprio della carne, la mente evoca il tempo che trascorre, per rincorrere le sfumature di emozioni nell’incrociare il mistero delle pulsioni e sedurre indecisioni e turbamenti. I fantasmi che quotidianamente la memoria insegue sono improvvise illuminazioni che il nostro cervello accetta nel segreto dei ricordi, incasellati disordinatamente nel segreto scrigno del buon senso, o semplici armonie che ripetono il ritmo delle scansioni come coaguli della compartecipazione. Rielaborare delle palpitanti presenze, concrete e vitali, cristallizzate nell’insolubile raffinatezza del disincanto, diviene il magico soffio vitale della illusione in una circolarità infinita che si dissolve soltanto nell’impulso che l’arte, e qui la poesia, percepisce e comunica. Ed è così che la forma poetica, rincorrendo le figure che si affacciano al nostro sguardo misterioso, è stata per me sempre connessa a quella più strettamente musicale, considerando la sillaba non solo come nesso ortografico ma anche come suono, un ritmo che si sviluppa in crescendo, per agganciare i profili che ritornano alla mente.
Così incidendo il verso nella pagina bianca il poeta succhia il midollo della vita per immergersi in un’atmosfera enigmatica entro la quale scegliere quelle figurazioni che prevedono in modo assolutamente sistematico la storia dei diritti civili e sociali, la storia di ogni individuo, la confusione delle domande, degli incontri improvvisi, delle esplosioni policromatiche dei sentimenti, che rendono unico il rincorrere del tempo.
Il poeta sprofonda in un’atmosfera di ricerca che porta diritta al cuore di chi vuole raccontare il fruscio dell’istante, per rendersi recettivo ed attento alla parola che possa divenire spoglia da qualsiasi elemento negativo o che possa distogliere il pensiero da ciò che è veramente importante.
Allora la poesia è presente, indissolubile e concreta, da millenni. Non è mai morta, sempre ben vegeta verso dopo verso sulle labbra di cantori sempre pronti a declamare un endecasillabo. L’assoluto nella sua interezza, nella sua intima coerenza, nella sua unità con il mondo che circonda, variegato e insidioso, nella sua incandescenza giunge a circoscrivere l’esistenza umana nello spazio di un’apparizione, di una emersione momentanea dello spirito, simile alla vita delle foglie che improvvisamente si staccano dal ramo all’improvviso soffio del vento. In quell’istante scocca la scintilla del verso, che offre una vertigine dalla potenza che inebria e coinvolge.
Il poeta in effetti possiede le capacità per un’indagine speculativa che poggia sempre sulle esperienze del vissuto, quasi come ricostruzione del simbolo della rinascita, per sprofondare nelle spire dell’amore, negli inganni dell’illusione, nel terrore della guerra, nel sussurro dell’infinito, nel tentativo rovente di allontanare la morte, individuando in anticipo il rapporto tra eros e thanatos.
Che cos’è Poesia?
Per delineare con precisione l’impalcatura necessaria per giudicare valida la poesia mi piace riproporre ciò che dichiarano questi nuovi pseudo poeti quando si esibiscono in testi che hanno nominato Poesia Kitchen, ossia un elenco che secondo me è perfettamente l’opposto delle nominazioni poetiche.
Un decalogo che annulla passo dopo passo quella che è veramente la concezione di poesia. – Ascoltiamo –
“La poesia kitchen è una poiesis priva di identità, priva di destinatario e priva di mittente, una poesia che si auto sospende, che non vuole essere legittimata, tantomeno da una prefazione, che non chiede niente a nessuno e non dice niente a nessuno. È una poesia di Nessuno, una poesia de-potenziata, dis-locata e questo de-potenziamento che l’autore kitchen ha di mira è qualcosa di simile al «Preferirei di no» dello scrivano Bartleby di Melville: non una mera negazione ma un sottrarsi sia alla negazione che alla affermazione, un autosospendersi. Poesia priva di qualsiasi principio gerarchico, direi che è anarchica in quanto priva di arché, priva di origine e priva di una fine, che si estende in lunghezza (ma non in larghezza) come un elastico con un metro polisillabico spesso in distici che sta lì come una sentinella disarmata a guardia di una zona neutrale del linguaggio. La poesia kitchen è costruita senza alcuna costruzione (costrizione), sembra nata già decostruita, già autosospesa, già rottamata e buona per la pattumiera. Sembra quasi che l’autore kitchen si diverta a produrre scarti non riciclabili, scarti inquinanti ma non tossici, scarti di materiali inerti e ipoveritativi che aggiungono inquinamento a inquinamento; così, l’autore kitchen «gioca» spensierato e alleggerito da tutti i pesi ontologici, perché l’importanza delle cose (non) è misurabile né ponderabile a priori o sulla base di un calcolo, l’homo sapiens di oggi se ne sta lì con la sua coorte di oggetti, a far nulla.”
Come si evince da queste dichiarazioni siamo proprio nel panorama contrario di quella che è poesia Alta.
Viviamo tempi in cui il tradizionale narcisismo indicato da Freud come malattia del secolo ha raggiunto preoccupanti livelli di bulimia, di autocelebrazione e di rischio di morte. I social hanno contribuito all’ingrossarsi di questo male, sbandierando un’idea di comunità fatta di presenze che in realtà sono fantasmi, nomi cancellabili, memorie diroccate e fragili senza neanche la possibilità di un’archeologia, di una musealizzazione. Si può dedurre che questo tipo di poetica dichiara deceduto il classico impegno del poeta.
La poesia ha sempre avuto e deve avere un interlocutore il quale leggendola riesce a fruire di quell’imput che accende sentimenti, perplessità, dubbi, certezze, illuminazioni, ansie, immaginazioni, vertigini.
Il poeta segue una strada accidentata, perché l’intero percorso del passato alberga nel suo animo ed egli si piega a meditare per esprimersi alla ricerca di un’indagine, alla ricerca di una forma espressiva che potrebbe apparire come un appello che richiede ascolto. Ed è questo ascolto che fa della poesia un contatto elettrico per energie diverse, un evolversi di pensiero che intacca le ore e scorre diventando oggetto della memoria e bagaglio che imprigiona la parola.
Io sono sicuro che la poesia nel suo germoglio è legata all’inconscio e l’inconscio è esso stesso il luogo della poesia, perché meraviglioso serbatoio di dettagli capaci di venire alla luce al solo accostamento del pensiero attivo. Luogo che attende il simbolo per urlare l’emersione di una serie indefinita di soggiacenze ed aggregare affioramenti che possono proiettare emozioni multicolori.
La poesia diviene nel ritmo delle sue sillabe, contate in scansioni ben precise, la tappa dell’informe che cerca la forma, del caos che cerca l’ordine, della speranza che cerca l’esperienza, dell’impossibile che cerca il possibile, semplicemente un messaggio in bottiglia che vive nella speranza di un possibile dialogo differito nel tempo.
Il richiamo allora vuole una creazione, tanto da essere oggetto di confronto, capace di far sbocciare una rosa dal nulla, di evidenziare un’emozione per tradurla in canto, per ritrovare una dimensione totalmente disimpegnata ed immersa in un trascendente universalismo che scopre la lirica, resa verbalmente e libera da ogni vincolo di astrazione.
“Se la nostra vita fosse in ogni momento piena di senso, se il mondo fosse un giardino dove gli uomini, godendosi il sole, conversassero tutti amichevolmente, non ci siederemmo in un angolo a scrivere”. Questa è la semplice considerazione del narratore de Il primo libro di Li Po – il poeta vissuto 1200 anni fa (701-762 dopo Cristo) che costituisce uno dei massimi classici della poesia cinese e potrebbe bastare a dare un’idea del senso della letteratura e della poesia in particolare.
Ma la poesia è un’oasi, nel bel mezzo del deserto intellettuale che circonda. La bellezza, è un’oasi, nel bel mezzo dell’incuria che circonda. La preghiera (per chi crede), è un’oasi. Essere nel deserto poeta è come una sfida contro la sordità che invade la moltitudine. Ecco il compito profondamente etico e civile che ha, secondo me, il poeta. Oggi più che mai. Farsi cercatore di ciò che sopravvive della bellezza, della luce, del canto, farsi portavoce di questi spazi in cui nasce e cresce la vita; luoghi interiori (ed esteriori) che non fanno rumore, che passano del tutto inosservati, travolti dal caos, dalle guerre, dal dolore che trasforma ormai ogni fiore in rovo. Sono convinto che il senso profondo ed indispensabile che la poesia (e l’arte, più in generale) custodiscono, specie in questi tempi, sia esattamente questo: disvelare, far l’asfissia che sta intorno, il ritmo sincopato dell’amore, il ricamare degli incontri, ma anche in grado di intravedere i fiori emergere quella sete che abita ogni uomo, accompagnandolo poi, attraverso il sentiero della bellezza, alla fontana che disseta. Una volta effettuato questo percorso, la sete tornerà, magari più intensa ed esigente di prima. Nel cammino che va dalla sete alla fontana (e viceversa) è racchiuso, secondo me, quel tratto di strada su cui ancora può attecchire la speranza, la non accettazione di una realtà composta esclusivamente dalla violenza, dall’inganno, dal dolore che uccide ogni anelito di domani. Lungo questo sentiero, ci attende e ci conduce la poesia. Capace di dire il dolore, toccare le erbe che crescono a strapiombo sul ciglio della strada, la pioggia che concima e conserva la vita, il raggio di sole che illumina il cammino.
*
ANTONIO SPAGNUOLO

venerdì 3 maggio 2024

SEGNALAZIONE VOLUMI = LEONE D'AMBROSIO


Leone D'Ambrosio: "Teorema elementare" - Ed.Ensemble - 2022 - pag. 86 - € 12
Prefazione di Elio Pecora - Postafazione di Carmine Chiodo
=La grammatica dell'amore e della memoria contro Thanatos in " Teorema elementare "di Leone D'Ambrosio=
= Vorrei prendere l'avvio, per parlare di questa silloge così tenera e, nello stesso tempo, così "violenta", per quell'impasto di "affetti, di memorie" da cui è pervasa, "di un'armonia forse impossibile, ma sempre da ricercare, da perseguire", "in un'alleanza contro la precarietà e la morte", in "una poesia che non slitta nell'addobbo e nel rovello, ma dice le giornate del mondo e s'interroga e chiede risposte agli assilli, alle paure, ai dinieghi", dalla prima lirica "Teorema elementare", che dà il titolo all'omonima silloge il cui incipit, sublime, racchiude quel desiderio di cui parla Elio Pecora nella prefazione, "quel desiderio, che è insieme sogno e idea, di un'armonia forse impossibile, ma sempre da ricercare, da perseguire", attraverso parole calde, chiare e immagini sfavillanti e smaglianti di grazia, di fuoco, di trasparenza e lucentezza d'Amore, in un attacco celeberrimo di lirica montaliana "Portami il girasole..." ma di diversa natura e matrice esistenziale, con cui pure, però, è possibile cogliere alcune analogie, di cui si tratterà più ampiamente, per ragioni di spazio, in un'altra sede. "Portami un cesto di parole/quando verrai a trovarmi,/una brace di sole/ e una carezza di mare/del mio paese, un frammento/di luna che squarcia la notte"(p.9). I versi citati evidenziano, appunto, il desiderio di assumere, in questa società asettica, frenetica, "leggera" e dedita all'avere, a tutela delle insidie, come divinità o entità protettrice la "parola", se non addirittura il Logos, il flessuoso mondo della leggerezza dell'amore, della levità (non a caso, in apertura, abbiamo l'immagine diafana, smaterializzata del cesto), il simbolo, il principio della vita (la genesi della creazione, dell'universo), accentuato nel terzo verso da due termini "brace di sole" che, se vogliamo, contenutisticamente si equivalgono ma che dal punto di vista iconico, immaginifico, amplificano il desiderio o la sete di vita o di vivere, di "stare nella vita", all'insegna della solarità, nel fuoco dell'amore come esplosione di sogni, anelito al "suo inarrestabile sognare", e dalla "carezza di mare", al quarto verso, ossia la trasparenza, la semplicità dell'acqua, immagine che, in questo caso, assume il significato e l'emblema di liquido amniotico, come fonte generatrice di vita, bagno di immersione o purificazione anche nel mondo prenatale, nel grembo materno e in quello della terra, del paese, e, nel quinto verso e nella chiusa, dal richiamo astrale simboleggiato dal "frammento/di luna", che ricopre un aspetto magico e, come detto, un motivo astrale in cui si identifica il perpetuarsi della vita "che squarcia la notte", ossia la Morte, Thanatos, il "principio" che infierisce o tenta di infierire sulla o contro la fine, il nulla, l'assenza perpetua. Dai versi successivi è come se si aprisse una tenzone dialettica ed esistenziale, metafisica, "tra il principio e la fine", "il dubbio" o la certezza del cristiano che non tutto possa o non può risolversi, finire con la morte, in quanto la vita grida o esprime il desiderio di vivere, "la vita da vivere", "un teorema elementare/come il perimetro /di una pozza d'acqua/ o l'ombra della ringhiera /incurvata sul pavimento" (p.9). L' opposizione, di cui si parlava precedentemente, si manifesta vieppiù in questi versi finali che rappresentano due paralleli oppositivi, contrastivi e che delineano il bisogno di vivere l'esistenza (o nell'esistenza) che è sì "un teorema elementare", anche se circoscritto, "come il perimetro/di una pozza d'acqua", ma flusso vitale, esistenza che deve far leva però sugli affetti, sulla memoria, sul ricordo, illusioni e realtà, nel contempo, che possono e devono allontanare o annientare "l'ombra della ringhiera/incurvata sul pavimento", con richiamo a quell'altra sublime e suggestiva silloge "Le ombre curve" (Prefazione di Aurelio Picca, postfazione di Antonio Spagnuolo, saggio critico di Aldo Onorati, Roma, Edizioni Ensemble, 2020), in cui si potrebbe vedere un'allusione alla fine della vita a cui si deve comunque resistere, pur nelle quotidiane insidie, nelle quotidiane ombre che si allungano sempre di più e ci accompagnano durante il viaggio terreno, come una "bufera". "Tra il principio e la fine/rimane la vita da vivere,/un teorema elementare/ come il perimetro/di una pozza d'acqua/o l'ombra della ringhiera/incurvata sul pavimento./A quest'ora i miei paesani/riposano in un silenzio/geometrico mentre le nuvole/si staccano dal cielo/e fanno breve sosta sopra/quelle strette finestrelle./Ma la sera, non so perché, il mio pensiero torna a te, al dubbio dell'eterno/e a questo mondo/che non è dei morti."(p.9). Il contrasto ossimorico si acuisce sempre di più tra i paesani allorché "riposano in un silenzio/geometrico", ovvero nella serena spensieratezza di quel momento, di quell'ora di ristoro, "le nuvole" che "si staccano dal cielo/e fanno breve sosta sopra/quelle strette finestrelle", in un abbandono magico, estatico del paesaggio celestiale che si fonde con quello terrestre, con il respiro di quelle amate strette finestrelle, come se si rinserrassero, aprissero pori di serenità, di tranquillità, di azzurrità, e l'inquieta pensosità o la pensosa inquietudine dell'essere umano, ancor prima del poeta, sul senso dell'esistenza, del "dubbio eterno", del mistero del Verbo; "il che significa", come acutamente, tra l'altro, coglie Domenico Defelice, "che D'Ambrosio crede cristianamente in un'altra vita, concreta, piena e senza termine rispetto a quella quasi labile, effimera, che ci tocca trascorrere su questa 'convulsa terra' che, tuttavia, 'illesa vola/dentro celeste sponda,' "più silenziosa e pura della luna", crede, dunque, paoliniamente e francescanamente, nella sconfitta del tempo fisico, della Morte, che non è cessazione, fine della vita, ma metamorfosi dell'ombra in Sole, del dolore in gioia, del ricongiungimento finale con gli amati, i cari, un perenne cantico a quel Dio, il cui respiro è nel creato, nell'azzurrità e nella nostra anima, nella nostra brama di sete celestiale protesa al "respiro eterno", ai "silenzi di Dio", al Principio Infinito: "Qui potrei morire/col cuore in tumulto/nella mutezza dei sassi/e la topografia del mare./ Nel silenzio di Dio/accartocciato/in questo azzurro /usurato dal tempo" (p.22). Il tutto in una "poesia sinfonica che richiama sempre la casa-vita dove appunto 'nasce' e 'muore' la vita. L'interno, la casa e l'esterno, le cose, i luoghi.” In una poesia "non per nulla cerebrale o scontata, retorica ma sofferta e intensa e ancora in essa si ammira una parola ben marcata e inconfondibile", come energicamente sostiene Carmine Chiodo nella postfazione.
*
Rocco Salerno
Leone D'Ambrosio, Teorema elementare, prefazione di Elio Pecora, postfazione di Carmine Chiodo, Roma, Edizioni Ensemble 2022.

giovedì 2 maggio 2024

POESIA = ANNALISA CIAMPALINI


"Cosa vuol dire che non ci sei"
Nel luogo che ti conteneva ogni mattina
così vicino a me, come limpido e vicin
nemmeno l'inizio di una forma
solo la volontà assoluta d'essere.
Non la promessa di un incontro, bensì il suo compiersi
ora, nella luce ampia del presente.
=
Visita che scendi fino a questi piani bassi,
quanta fstic trattenerti fino a sera!
E come devi sentirmi povera
tutta presa a rammendare la vita degli oggetti
curva sulla mia piccola cena.
**
" II "
Ho costruito il mio habitat
nelle piccole stanze
sistemi isolati, se vogliamo,
dove l'entropia cresce senza che nessuno lo veda.
Fuori il presente ingovernabile
forte dello spazio
e la tua esplorazione senza posa.
L'opera del vento sugli alberi
la progressiva mutazione della pelle.
**
annalisa ciampalini
dal volume "Tutte le cose che chiudono gli occhi" -- Ed.Pequod 2023- prefazione Valeria Serofilli

mercoledì 1 maggio 2024

SEGNALAZIONE VOLUMI = ANTONIO SPAGNUOLO


**ANTONIO SPAGNUOLO - “FUTILI ARPEGGI” - LA VALLE DEL TEMPO 2024 - pag 120 - € 14,00
Antonio Spagnuolo, con la sua inesauribile ispirazione, ci dona un altro volume di poesie “Futili arpeggi”, che va ad aggiungersi alla sua copiosa produzione. Il libro inizia con una introduzione dello stesso autore che s’interroga su “Cos’è la poesia?” ed esplica il suo pensiero concludendo che “La vera poesia, nel ritmo cadenzato delle sillabe, deve suscitare emozioni, sradicare illusioni, riaccendere sentimento, ravvivare la creatività, illuminare il presente, presagire il futuro”. Al termine troviamo un eloquente ed esplicativo saggio critico di Carlo Di Lieto, il quale penetra la poetica di Spagnuolo sviluppandone ogni possibile dettaglio.
Anche in questo lavoro ritroviamo in gran parte il sentire espresso nel precedente volume “Riflessi e velature”. Vi è una forte nostalgia della donna amata (la sua sposa che non c’è più), ma non vi sono toni drammatici, anzi, vi è sempre un accendersi, un tremito, un sussultare del cuore e dei sensi. E’ un sentimento senza fine che oltrepassa il limite terreno e lo accompagna in ogni istante, dandogli la forza di proseguire e di perdersi tra i sogni e i ricordi. Troviamo pure una forte propensione all’erotismo, nel ricordo e nei guizzi di momenti vissuti nell’assoluta solitudine.
Spagnuolo trova rifugio e forza nella scrittura, nella parola e nell’illuminazione poetica, che lo aiutano a procedere per una certa catarsi. Non mancano momenti di sconforto e di fatica, attorniato dal nulla e incapace di trovare pace nelle ore insonni della notte. I suoi versi abbondano di visioni, molto intense, e di metafore preziose. La mancanza dell’amata, che tanto lo ha appagato, si fa palese nella solitudine: “Cristo ha inciso per noi la parola fine / gettandoti nel sonno dal quale non si torna. / Ed io conto le ossa nel dettaglio / Cercando quella carne / che ha concesso febbrili amplessi, / dissolto là dove il segno lega le tue labbra.”. E’ un costante desiderio fisico, una carica sensuale che viene elaborata con la sublimazione.
Quando però il risveglio da un bel sogno svela la cruda realtà, il poeta prova addirittura “Furore” : “Svelarti il frastuono del respiro / è scrigno di percezioni indiscrete, / di sillabe a sgambetto fra le stelle, / dell’incoscienza che sgorga dal diniego. / Si smorza la malia e non ci sei: / un arcano furore imbriglia nuovamente / le mie vene.”.
Il pensiero di Spagnuolo si snoda in versi che scorrono fluidamente, senza nessuna pausa. Non vi sono spazi di respiro, quasi che il bianco di uno stacco possa interrompere il flusso dell’ispirazione. Sono versi avvolti da una delicata armonia, frutto di un marcato lirismo e di una capacità espressiva di massimo rilievo.
Il poeta s’ intrattiene anche con l’arte pittorica, che gli dona vibranti sensazioni, ed è partecipe alla quotidianità con tutto ciò che comporta di negativo. Soprattutto, i conflitti odierni e le diverse religioni: “Avverto le minacce di terrore / dalle sfarzose moschee che propongono / ingannevoli inviti per la pace...” ed ancora “Livida è la terra che esplode / nella fiamma di un dinamitardo, /tra impossibili fantasie / e un demone che si aggira nella fede.”.
Spagnuolo è ben consapevole del tempo che scorre e del traguardo che si fa sempre più vicino. Al tempo e all’immortalità affida la sua poesia: “E’ giunto il tempo di chiudere i conteggi / e affido il mio bagaglio di poeta / all’illusione dell’eternità...”.
In conclusione del volume, con la poesia "Danze", ci regala dei versi che imitano la poesia contemporanea, per farci comprendere la facilità di poter giocare con il dire a volte un po’ astruso dei poeti odierni.
Addentrandosi nel mondo poetico di Spagnuolo si scopre un’atmosfera quasi rarefatta, con visioni oniriche e simboliche, ricche di un’interiorità vibrante ed appassionata. Un viaggio nell’inconscio e in una matura e raffinata ispirazione.
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Laura Pierdicchi