INTERVENTO INTORNO ALLA POESIA = LUCREZIA LOMBARDO
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L’esasperazione dell’io e la perdita della parola”
Se è vero che il valore di un’opera d’arte deriva dalla sua originalità, è altresì fondamentale definire tale concetto. Un’idea qualitativa, quella di “originalità”, che rimanda “all’origine”, ovvero al valore fondativo dell’ opera che, in quanto tale, riesce a farsi nuovo inizio, creando nel linguaggio di appartenenza una frattura, tale da innescare una rivoluzione di prospettive. Quest’ultima, difatti, è la forza propria di ogni opera d’arte autentica, non ultima la poesia, la cui etimologia rimanda proprio “al fare” in quanto atto creativo. La creazione, del resto, è sempre “un dar vita a qualcosa che prima non esisteva”, ovvero un rendere visibile ciò che, precedentemente, restava celato. Tale svelamento assume inoltre una duplice funzione: inaugurare una nuova prospettiva del reale, che viene quindi interpretato sulla base di categorie anticonvenzionali, e dare avvio a una più profonda analisi di se stessi, sia da parte dell’esecutore dell’opera, che da parte del fruitore. E’ in tal senso, dunque, che l’opera d’arte e letteraria assume un ruolo fondamentale: essa si fa nuova categoria ermeneutica, ovvero parametro originale d’interpretazione del reale tout court, dando avvio a una relazione trasformativa di soggetto (l’esecutore dell’opera) e oggetto (colui che nell’opera si imbatte) attraverso il medium dell’opera stessa. Tant’è che l’arte che possiede un autentico valore, e’ riconoscibile in quanto, attraverso di essa, l’individuo è spinto a mettere in discussione le sue vecchie categorie, aprendosi a una nuova consapevolezza di sé e del mondo. Questo implica due cose: che tutti i linguaggi espressivi, inclusa la poesia per la sua straordinaria portata intuitiva, hanno una funzione conoscitiva, cioè, di ampliamento della consapevolezza, e che il loro ruolo e’ intimamente politico, ovvero in grado di determinare nuovi rapporti e relazioni tra esseri umani e tra costoro e il mondo che abitano. In tal senso, l’arte -e il linguaggio poetico in particolare, proprio in virtù del suo lato intuitivo e capace di sintetizzare il sentire di un’epoca- e’ qualcosa che si lega profondamente alla prospettiva filosofica di quello specifico contesto temporale. Difatti, l’epoca odierna si caratterizza per la perdita della centralità del concetto di “persona” e, dunque, per lo smarrimento del valore stesso della vita, in quanto unicità irripetibile.
A tale valore si sostituisce adesso il profitto e una visione utilitaristica, funzionale, cioè, a trarre vantaggio da tutto ciò in cui ci si imbatte. Tale visione è artefice di una mercificazione coatta degli individui, delle forme di vita tutte, nonché del concetto stesso di “bellezza”, che, lungi dal riferirsi esclusivamente all’apparire, si lega piuttosto al sentire di armonia e pace interiore, a cui solo la bellezza morale e spirituale conduce. Tant’è che il godimento prodotto da una bella poesia deriva, anzitutto, dal fatto che, attraverso di essa, si è realizzata una riappacificazione nell’io e tra questi e il mondo.
Tuttavia, nella realtà contemporanea, il valore della bellezza in quanto ricerca di virtù -ovvero di un perfezionamento interiore- crolla, e ad esso, si sostituiscono nuove categorie, oggi alla guida persino dei criteri estetici che reggono il mercato. Tali categorie sono figlie di una filosofia empiristica radicale e di una concezione materialistica e psicologistica, che ha sostituito, all’indagine dell’ interiorità, parametri del tutto volti all’esterno e funzionali all’apparenza. L’uomo di superficie odierno, del resto, odia mettersi in discussione e interrogarsi e ama piuttosto la comodità di una vita gregaria, dominata dalla ricerca di riconoscimento sociale, dalla fama e del successo economico, tramite per comprare l’altrui ossequio e per poter agire senza limiti. L’odierno paradigma politico non è che il riflesso della trasformazione antropologica innescata dalle prospettive di pensiero poc’anzi illustrate. In questo orizzonte di crisi, la poesia brancola nel buio, come ogni forma d’arte che stenta a produrre prospettive autentiche e davvero in grado di migliorare la concezione dell’uomo e del mondo, nei termini di una riscoperta della dimensione morale e coscienziale. Ed ecco, difatti, che il linguaggio della poesia oscilla tra gli estremi di un razionalismo incapace di sentire e un individualismo soggettivistico, per cui il mio io diventa il mondo stesso, dando sfogo a plurali narcisismi in versi. Ciò che si rivela perduto e’, dunque, il legame tra l’uomo e il mondo e, perciò, la volontà di parlare agli altri e di dialogare con costoro. Al poeta e all’artista pare non interessare più se gli altri li comprendano, ma, piuttosto, ciò che preme loro e’ esaltare un io autoreferenziale, mentre il linguaggio -che è di per sé dialogo e legame reciproco- implode, perdendo il proprio ruolo relazionale e uniformandosi così al mercato che tutto reifica, finanche la parola.
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LUCREZIA LOMBARDO
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