< 1 >
Questo poi è il limite, l’assunto
appena orbato di pensiero,
un canzone stonata che urta come ferri vecchi.
Tu annotti con la rosa, ti schiudi alla rugiada.
Talvolta è un artificio di sintassi,
una parola oscura, fuori rotta
che ostinatamente insegue il suo silenzio.
La residuale forza grida alle perdute forme,
al bene e al male oppone resistenza:
si fa fuscello in preda all’uragano.
E scinde in mille specchi il suo riserbo,
il fiore che vi affonda e la pietà.
Forse un angelo stanco e senza ali,
caduto chissà quando e chissà dove
si dondola ancora su liane d’aria,
in equilibrio instabile, dentro sfere di cristallo.
E il cielo si fa ramo.
**
< 2 >
Se potessi riparare a quell’argine,
dove l’acqua non tocca la sete,
chiedere alla sorgente di cambiare rotta,
di sorprendere sotto la foglia
il sonno delle primavere, la dolce aria
o il segnale più luminoso.
La danza della sera
ancora serra una fronte di luce
che misura il sonno dei mattini,
il fiore che smuore negli accenti
sempreverdi dell’erba,
quando il mondo tace o s’inabissa
nel suo letargo,
come un feto dentro la madre.
***
< 3 >
Non è stata la nota stonata
a impigliarsi alle corde dei violini.
Sotto mentite spoglie, angeli all’addiaccio,
con ali insufflate di letarghi
dormivano sulle quiete rive.
Mentre il mondo nutriva di parole
le piccole natività, le luci della ribalta,
gli accenti sospesi a mezz’aria,
come bandierine al vento della sera.
Fummo lesti ad attraversare
di corsa tutto il fiume, fermarci alla riva,
poi come angeli migrare in cieli estremi.
NINNJ DI STEFANO BUSA'
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