CATERINA DAVINIO : "Aspettando la fine del mondo"-Nota dell’autore / Postfazione di Erminia Passannanti / Con una nota critica di David W. Seaman, Traduzione inglese di Caterina Davinio e David W. Seaman, Roma, Fermenti, 2012, pp. 126, € 12.50.
Attesa della fine del mondo: “reale” – la prevista dai Maya del 21 dicembre 2012 –; metaforica – in essere tutti i giorni nelle guerre d’Africa, per esempio, o presente nell’incontro (con la natura, con la naturalità di chi lì vive) “da fine del mondo”, prendo dalla quarta di copertina e dal secondo poemetto, vissuto dall’autrice in prima persona a Goa, uno dei luoghi più belli dell’India e della Terra –.
Fine del mondo, come limite non più valicabile essendo che tutto è ed è stato sperimentato: il dolore come la gioia, lo strazio come la leggerezza del proprio esserci. Resterà, allora, la parola per significarli oltre se stessi: da un lato testimoniare la disumanità, dall’altro l’incontro con una diversità-divinità vivificante.
Caterina Davinio “entra” nell’una situazione e nell’altra a dire la stoltezza della morte procurata per guadagni e cecità di corvi che non tacciono e la “sapienza” dell’accorgersi della possibilità contraria là dove chiamano (e si odono) solo silenzi eloquenti e invitanti.
Scrive, allora la poetessa, io vi canto, terra martoriata e miei simili dati in sperdimento: «io, il tuo deserto, / il poeta da nulla, l’ultimo , / scrivo le tue dinastie, / i tuoi auspici, / il timore, / lo spazio del tuo villaggio / e delle terre selvagge». Vi canto. Con l’amore della condivisione, perché non vada perduto il raggio della solidarietà e del comune sentire, versus armi e pieghe del potere grigio e tetro, miope e distruttivo, e in sintonia, invece, con i tramonti rosa e azzurri dei tropici, dove «la piccola onda» dice «pace», dove la libertà non è pagata in vite ma paga la vita.
Far entrare la poesia in queste dinamiche di rifiuto e di accoglienza non è né semplice né facile. I temi sono “alti”, lo sono talmente che si potrebbe rischiare l’entusiasmo di chi crede al loro rovescio sic et simpliciter: guerra / pace; infelicità / felicità; realtà / desiderio; ecc.
La poesia di Caterina Davinio, sappiamo da tutte le sue raccolte (ed anche dalle sue performances artistiche), vi entra depurando il verso dal più e dall’eccesso, consapevole di un oggi depurato anch’esso di ogni ottativo illusorio. Ciò nonostante trattiene il desiderio teso a scacciare il nero nominandone la consistenza: perché il tacere sarebbe complicità e persistente propagarsi di orrore, del dominio dei potenti della terra, di negazione di innocenza, ancora esistente là dove «batte il cuore / come il leopardo annusa il vento / come un’illusione di verità forse / mi ferisce…».
Appunto: sentirla, la ferita. E sentire il suo fiorire-finire: «…mi chiedo se sponde lontane degne di approdo / porgano al dannato naufrago una riva / degna di delirio, / e m’innalzo alle vette / e m’inabisso agli inferi / delle tue sabbie tiepide.»
Un mondo. Un altro mondo. Davvero “la fine del mondo”, auspicata nell’un senso e temuta nell’altro.
MARIA LENTI
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