Ninnj di Stefano Busà : “Eros e la nudità” - Ed. Tracce - Pescara - 2013 -
(“MIELE D’ARNIA”: IL SIGILLO DELL’AMORE )
È la relazione che m’interessa, ciò che rilevo attinente - nel senso di non estraneità - sia all’amore sia ai filtri che sembrerebbero, nel bene e nel male, coercitivi nei confronti della libera espressione dell’eros.
La nudità, allora: rispettiamola, subito, senza porre in mezzo nient’altro che quella che non esito un istante a considerare una piena assunzione di responsabilità dell’autrice di questi versi, della sua poesia e della stessa passione amorosa coinvolgente i sensi quanto la mente.
Ecco, a seguire, il testo integrale della lirica che - a mio parere, ovviamente - può essere la chiave di lettura della raccolta:
“Tutto è rimasto a quell’ora,
a quel luogo che decantava l’amore
come acqua di deserto.
Un corpo è sempre un corpo,
anche nel sorriso che esprime il possesso,
l’alterità di un sogno che vi cresce dentro,
quando con naturalezza ci attraversa
veloce un altro sangue,
e rifiorisce nelle vene il senso del mondo,
nudo e segreto.”
Cosa si percepisce? Intanto, appunto, che la voce recitante (e - si badi - non ho detto chi scrive) consapevolmente professa un suo sacrosanto diritto accettando, in nome della verità, l’onere, con tutto quello che comporta, di essere ciò che è; no, nessuno scandalo, nulla di cui doversi vergognare ma bellezza, sublime bellezza del rischio.
Poi, i polisensi: segno di confusione? Esattamente l’opposto: bisogno di fare chiarezza, di sgombrare il campo dai malintesi, di amare veramente.
Chi ama non si veste, si spoglia, fino a togliersi persino la pelle, a provare dolore, quindi, la cui soglia - lo sappiamo - è a così stretto contatto con quella del piacere che diventa impossibile, al culmine, discernere l’uno dall’altro.
Che venga, la nudità, che ci porti l’orgasmo più alto, ci riconsegni pure la sofferenza del godere purché, con lei, si palesi l’amore.
Ho parlato di varie accezioni o - meglio - di significati contrapposti del termine perché, non soltanto per fini esegetici, sia totale la sua comprensione, ma anche e soprattutto perché il fruitore possa identificare la propria aspettativa di felicità nel senso stesso di attesa, nell’ “evento/avvento”, di cui scrive la Busà, e tramite il quale esorta a dare “un nome all’amore” nonostante “i suoi travestimenti”, indispensabili alla tutela del mistero: “diamo loro sembianza di purissimo azzurro, / tra carne e sogno, senza ingannare / la castità”, terminano così, con questa splendida chiusa, i versi che ho desiderato sostenessero il mio pensiero.
Mi sovvengono questi altri, ad esempio, che supportano quell’idea minima, eppure estrema di benessere, di appagamento: “Felicità dell’attimo o del niente, pegni / lasciati in fondo all’anima / . . . . / Tutto poi si compone e si scompone, / attorno a quel dettaglio che è la vita.”.
Già, la vita, il luogo dove, in fondo, si consuma il tempo del “letargo”, e “delle molte stagioni d’oblio” non resta che la primavera dell’amore, il vero risveglio.
Dello schiudersi ed appassire del fiore “permane / l’aroma inebriante dell’ultimo dono”.
È l’Amore, che brucia come fuoco di paglia nell’unione dei corpi e s’eterna in quella stessa fiamma, il “miele d’arnia” che sigilla “alveari di silenzi”.
Nelle loro celle - e concludo, associandomi all’auspicio, per il quale non trovo parole più adatte (mi perdonerà) di quelle della poetessa - “possano le voci continuare / a cercarsi al di là della fusione momentanea, / come la sete l’acqua.”
SANDRO ANGELUCCI
Grande Ninnj che istintivamente conosce il viatico per l'anima su l'adulterato corpo pur NON sottraendosi al prezzo del tumultuoso sangue.Bianca 2007
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