ANTONIO SPAGNUOLO e l’eros dopo la morte
**
-- La poesia si intitola In memoria di Elena: “ Non è più marmo il tuo ginocchio adesso / che la bara distrugge ogni fattezza. / Ho cercato la pelle nel distacco / ed ho mancato la presenza, intrappolata / nel pallido impossibile. / Silenzi e distanze raccolgono le ombre / nelle quali dissolvi inconcepibile ricordo. / Starmene qui nel segno dell’abisso, / nel gelo dei fantasmi che hanno rubato la luce, / uno dei molti illusi della Croce / in angusti sentieri, senza posa… “ . Non batte il cuore, perde colpo il battere del verso.
Antonio Spagnuolo, poeta da sempre sensuale e mortuario, ha pubblicato recentemente un libro intitolato Il senso della possibilità (Kairos edizioni, Napoli 2013, pag.104, 14 euro). Tra la sua produzione precedente –accompagnata negli anni, a certificarne il valore, da una crescente e via via consolidatasi messe di contributi critici– e questa ultima prova si stabilisce un evento terribile, se pure iscritto ineluttabilmente nella storia di tutti: la perdita di una persona molto cara. Si tratta della moglie Elena, compagna di tutta la vita, donna che puntualmente compare in molte delle sue poesie, accompagnandone gli svolgimenti e le declinazioni nel tempo: tempo della carne e dell’anima; della passione dei sensi e degli annunci della perdita; della richiesta –e illusione– della durata e dell’insistere, via via più ravvicinato e lugubre, dei rintocchi che annunciano l’evento finale. Sulla scena di questo teatro, le cui voci hanno mirabilmente ritualizzato, ritratto e stilizzato un corposissimo canzoniere amoroso, cala di botto il sipario. La scena crolla, ma non si alza la polvere. Nessun eco rimbomba. Il silenzio prende stanza, la voce è estromessa, la pronuncia si fa sotterranea. Nella discesa agli inferi il cuore cessa di battere, il battere del verso perde colpi.
In paradosso d’amore, la fantasia rammemorante non porta a figurare il corpo perduto nell’evidenza di vita della sua carne, nella morbidezza elastica che sapeva compiacere il tatto, nella carezza: il ginocchio di Elena non è più marmo, non è più, dunque, fredda perfezione delle forme. Il disfacimento della morte è fine della durata, del sogno di immortalità che è il biglietto staccato da Eros nel momento in cui accoglie gli amanti nel suo regno. La ricerca del contatto, nel momento di più drammatico teatro in cui il contatto termina per sempre, non può che farsi mimesi dell’antica scena orfica di impossibile salvazione: Euridice è imprigionata, intrappolata nel pallido impossibile dell’Ade, dal quale non vi è redenzione. La distanza, sancita, rende lo stesso ricordo inconcepibile: al poeta resta la stazione intollerabile, resta lo starmene qui nel segno dell’abisso, dove il freddo è perenne, mentre il corpo della morta conosce il calore terribile e inconosciuto delle trasformazioni chimiche posteriori; vero addio, vero salpare le ancore ed avviarsi in una dimensione altra rispetto a quella che trattiene quanti le sopravvivono.
Nel gelo dell’enunciazione, questa poesia trova versi di grande purezza, che scorrono come acqua in alveo ristretto.
La poesia che racconta non può mai essere religiosa, e se cita la Croce non può che pronunciare la disperazione della salvezza: “Starmene qui nel segno dell’abisso, / nel gelo dei fantasmi che hanno rubato la luce, / uno dei molti illusi della Croce / in angusti sentieri, senza posa… “.
Ai santi, ai veri credenti, la voce altra dell’annuncio di fede, che disprezza la figurazione e raccomanda l’abbagliamento della luce, opposto di ogni umana rappresentazione, abbigliata di finitezza.
*
EUGENIO LUCREZI -----
Straordinaria immortalità della carne fatta ANIMA congiunta.
RispondiEliminaSicuramente comprerò il libro,appena fuori dalla tempesta di sabbia d'un presente in addivenire,(spero) aria fresca. Grazie,Mirka
Eugenio Lucrezi, medico come Antonio, come lui curioso della poesia e praticante dubbioso, vuole abbracciare l'amico: auguri, auguri, auguri.
RispondiEliminaUna suggestione che vive ed intende vivere per sempre e fin dove è possibile....credere! AUGURI
RispondiEliminaMiriam
Riceviamo e pubblichiamo :
RispondiEliminaCaro Antonio,
ho ultimato la lettura del tuo nuovo libro di versi "Il senso della possibilità", che ho trovato di particolare interesse, intanto per la capacità di coniugare densità di pensiero e intensità del sentire alla chiarezza di dettato poetico.
Sono stanco di leggere sillogi di poesie sostanzialmente vuote, i cui autori (più o meno autorevoli) cercano di darsi tono con varie, variegate, astruse (spesso risibili) cerebralità, per così dire. Sono l'altra faccia della medaglia di sillogi di poesie di diversa natura,più 'dimesse', che cercano di coprire (in fondo) il medesimo vuoto con una serie di ovvietà e di usualità linguistiche. Quando ci si imbatte in uno di questi libri (dell'una o dell'altra risma), ci si aliena una parte del tempo di cui è possibile disporre (ormai sempre più prezioso, data anche l'età che avanza) e alla fine non resta nulla, se non la spocchia e la supponenza degli uni o l'infantilismo degli altri. Spesso, comunque, i primi e i secondi sono bravi nel suonare la propria grancassa. Ogni tanto, per fortuna, capita fra le mani un libro di poesia, come il tuo, che ripaga pienamente del tempo dedicato.
La tua poesia si fa strumento alto di acquisizione della consapevolezza del nostro essere, con le sue complessità e i suoi mysteria. Con le sue presumibili certezze, più spesso con le sue irrequietezze, con i suoi umori e tremori. Nella dimensione del presente (vale a dire del vivere e dello svivere, con le esaltazioni, le cadute, gli acciacchi del giorno che segue a un altro) e in quella dell'oltre («un passaggio per l'eterno»), nell'esigenza irrinunciabile a «riallacciare i nostri giorni al passato», in una notevole ampiezza di visione.
Grazie del gradito dono e complimenti, come sempre.
Lucio Zinna
Auguri vivissimi e complimenti per le opere letterarie, senza età.
RispondiElimina