UNO SGUARDO DI ORRORE E DI AMORE SUL MONDO -
“Cemento” di Lorenzo Spurio --
silloge di poesia inedita
con prefazione di Ninnj Di Stefano Busà
e postfazione di Fausta Genziana Le Piane
Il mondo, per il giovane poeta Lorenzo Spurio, è un ossimoro perfetto, ordine e disordine insieme, amore e odio, orrore e incanto. Questo egli ci comunica nella sua prima silloge poetica. Esso, agli occhi del poeta e nelle sue stesse fenomenologie oggettive, mentre si offre, simultaneamente si sottrae, mentre si costruisce, si destruttura. Simbolo per eccellenza di questo processo di interfacciarsi del reale e dell’esistenza è il cemento, che risulta, come nota nella postfazione Fausta Genziana, “la metafora primaria”. Il cemento, infatti, a cui si ispira il titolo della raccolta e che è nel mondo moderno il connettivo fondamentale per la cosiddetta città dell’uomo, si presenta bifronte: da una parte, promette vita, sviluppo, progresso, dall’altra, verificando su sé stesso tale aspetto, è materia che da sé si offre al deperimento ovvero all’ammaloramento, come dicono gli addetti ai lavori, e al disastro irreparabile con le sue rovine senza scampo nel futuro prossimo o remoto.
Nelle meccaniche stesse del suo porsi in essere, da parte del mondo, sono innescate e in costante funzionamento delle leggi, che si beffano sotto gli occhi di tutti e alla luce del sole delle convenzioni e dell’ordine, che la ragione tenderebbe ad assegnarci (nelle sue pretese olistiche di interpretare il reale). E’ a questo scandalo che si richiama Spurio in una delle composizioni più interessanti della silloge, Verità talmente vere da non credere assolutamente, con i seguenti versi:
“[…] L’orologio indispettito
batteva le ore
al contrario
ed era sempre presto.
Impossibile darsi appuntamento […]” (p. 32).
Di fronte a tali registrazioni, sarebbe facile pensare a tutta la letteratura fantastica e utopica, a cominciare dalla commedia e dal romanzo della Grecia antica, considerando il ricorso al gioco del rovesciamento dell’ordinario e dell’accertato come irrefutabilmente vero, che diventa uno strumento inventivo delizioso. Ma niente riuscirebbe più improprio. Perché, i modelli letterari di Spurio non risiedono né nella letteratura greca classica, né nelle letterature moderne, che concedono grande spazio al fantastico (da Ariosto e Rabelais sino a Bontempelli e Calvino e oltre), ma nella scrittura di denunzia e di mimesi della vita contemporanea con le sue insanabili aporie, con i suoi irricucibili strappi. E’ questa una scrittura di estrema attualità oggi e di grande divulgazione nei paesi anglofoni. Non è un caso che Spurio citi come introduzione al libro in originale un distico di James Laughlin:
“I never knew there was so much blood
in a man until my son kill himself”.
Nella sua poesia, però, manca ogni compiacimento per il neogotico e per l’orrido, come accade spesso in questa produzione letteraria. In lui l’orrore detta sillabe, colori, accenti, ma per far sentire che si tratta di una testimonianza patica del vivere, dove si registrano il dolore e la delusione per il mancato appuntamento con l’amore. Significativa in positivo in tal senso è la poesia Quando?
Quando non ci sarò, cosa farai?
Mi chiedevi col sorriso sul tuo volto
persuasa dall’idea
che la tua battaglia
era ormai al traguardo.
Io tergiversavo,
e più spesso mi arrabbiavo.
La tua serenità non abbandonava
quel viso ancor beato e placido
che mascherava inutile speranza.
Quando non starò più qui,
a volte ti capitava di dire,
e io subito t’ammonivo irruento
quasi avessi imprecato
illudendomi di capire
da dove prendessi tanta forza.
Quando non staremo più insieme,
intercalavi a volte senza pensare
anticipando possibili miei futuri.
Un vento caldo e accecante
t’ha portato via dall’oggi al domani
impedendomi di piangere.
Ed oggi che non ci sei più
Non so cosa fare.” (p. 22)
*
UGO PISCOPO
( Napoli, 10 Luglio 2013 )
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