venerdì 21 febbraio 2014

DIVAGAZIONI = GIOVANNI SCHIAVO CAMPO

" DIVAGAZIONI SULLA VIA DEL CIELO"
Tutto al mondo è grato di non trovare altra misura per sussistere che per mezzo di se stesso.
Di rendere grato che a ogni cosa non manchi nulla per sussistere è la via del cielo.
Compiere e non addossarsene il merito è il modo del cielo di manifestarsi: non è forse anche il modo di ingraziarsi il cielo?
Quando il cielo assegna a qualcuno una natura affine alla propria è segno che gli mostra riconoscenza.
Riconoscenza verso riconoscenza: questo è il modo per favorire la riconoscenza ovunque sulla terra.

Il cielo è rotondo come l'occhio, la terra è cava come l'orecchio.
L'occhio tutto rende riconoscibile; l'orecchio a tutto presta ascolto.
La terra a tutto si presta senza sacrificare l'infimo per amore dell'importante: infatti il grande ha radice dall'insignificante.

Il cielo ha posto il suo luogo di elezione nel distante.
La terra ha posto la sua discrezione in ciò che è in gestazione.
Nulla è paragonabile per profondità imperscrutabile al cielo.
Nulla è di sostegno sicuro come la terra.
Che cosa di visibilmente più distante della somma altitudine?
Che cosa di più segreto di cosa la terra mantiene avvolto?
Il cielo ha lo sfolgorìo della luce degli astri sopra di sé.
La terra ha riposto un fuoco dentro il suo cuore nascosto.
Potrebbero mai non rispecchiarsi il cielo e la terra?

Cinque vie attraversano da una parte all'altra tutto sotto il cielo: quattro portano in ogni direzione ci si incammini fino all'estremo orizzonte; con la quinta si sale e si scende, come lungo una scala a pioli piantata proprio nel mezzo che conduce dal più alto al più basso e dal più basso al più alto. Salendovi al culmine delle stelle fisse, compagne dell'Altissimo, si arriva alla sua casa: si chiama il Cuore del Cielo. Giungendovi si arriva a abbracciare la rotazione di tutto ciò che ha movimento. Non trova guida più sicura chi se ne serve per orientarsi.

E' inevitabile che ogni cosa si formi, compia il suo ciclo e torni infine alla radice. Anche per l'uomo è così. Una volta però raggiunta la destinazione, se il cielo vuole, ne sviluppa la radice e ne fa un'asse di misura della distanza fra il cielo e la terra.

La natura dell'uomo è come acqua. L'acqua, dispersa in fiumi e torrenti, torna a riunirsi dopo aver compiuto un ciclo.
Dove l'acqua si raccoglie, nel punto più basso, lì è anche il posto dell'uomo: quando vi si trova in stato di raccoglimento, perché sa dove stare, nulla vi è di più fermo. E' come acqua torbida che lasciando i detriti in fondo riacquista chiarezza.

Quando l'immanifesto, che ancora riuniva in sé ogni polarità, concepì che ogni cosa assumesse l'aspetto voluto, il notturno del cielo scelse per figura il primogenito di tutti i tori: lo sacrificò e si manifestò. Dal fondo dell'oscurità apparve allora la lunata come una vacca non ancora gravida: le rifulgeva sul capo una duplice falce di corna lucenti. Il primogenito del cielo dal nero mantello della notte premeditò in cuor suo di possederla; le si accostò muggendo di profondo desiderio, con le larghe froge sbuffanti, e si unirono. Nacquero così il sole e il circolo delle Pleiadi al fisso culmine della volta con le altre stelle e i pianeti. Da un fiotto di latte spruzzato scaturì una via che attraversa, si dice, colui che torna a ricongiungersi ai predecessori.

All'inizio il cielo era come una vacca, da cui è stata ricavata un otre di pelle di cuoio.
E' sufficiente sciogliere l'otre dai lacci e allora non vi è nulla che non sia riempito: non si ha che da coglierne i frutti. Ma come si può costringerlo?

La virtù del cielo è ampia: potrebbe nutrirsi di ciò che è sufficiente all'uomo? Ciò che serve all'uomo non è nemmeno una milionesima parte; l'uomo è egli stesso meno di una milionesima parte. Ma di tutto ciò che è meno di una milionesima parte, anche a poterlo calcolare, lo si può stimare meno di una milionesima parte di ciò che è innumerevole. Eppure, ciò che si rende visibile del cielo tutto intero è ancora meno di un milionesimo dell'innumerevole.

Il cielo non ha figura

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Virtù dell'essenza si chiama "armonizzare il ritmo e il respiro": alterare il ritmo significa mozzare il respiro. Chi si azzarderà a farlo per mezzo di qualcos'altro senza correre il rischio di perdere la vita? Il mezzo si impadronisce di chi lo utilizza.

Una volta non c'erano misure né diapason per riconoscere il suono del legno; non si sarebbe saputo distinguerne note né accordi, eppure chi l'avesse intesa l'avrebbe ritenuta una musica superba. La virtù naturale del legno essicca anche se non la si comprime. Chi conosceva un tempo la virtù del legno non lo si sarebbe scalzato dalla radice, neanche se il vento avesse soffiato così forte da svellere alberi e case.
Un uomo dichiarava di averne appreso ogni segreto. Gli sarebbe bastato far cadere a terra il ciocco o il pezzo di legno tagliato per distinguerne subito, dal suono, il secco e l'umido. Si può dire non avesse altra scienza che quella delle stagioni: la pianta quando mette le foglie, si regola forse diversamente?

Progresso e regresso sono paragonabili a un pendolo: più si tende la corda dell'arco di oscillazione e più il progresso si tramuta in regresso e, al contrario, il regresso in progresso. Così ogni passo compiuto sulla strada del progresso corrisponde a una maggiore ampiezza della corda di oscillazione del pendolo destinato a riportare indietro nelle ere già percorse e ad avanzare di nuovo fino al presente, o più avanti o più indietro nel tempo lungo il moto oscillante della corda.

Oggi vi sono macchine capaci di governare le stagioni e uomini che vi si lasciano governare; macchine che impartiscono ordini e uomini che ubbidiscono. Gli uomini non si lascerebbero governare se sapessero che le stagioni dipendono dalle loro attività: non si fanno impunemente altri lavori lasciando marcire i raccolti.
Dicono che le macchine apprendono a eseguire per loro conto ciò che gli uomini avrebbero imparato a rifiutare. Questo è quello che si dice: riconsegnare ciò che si è preso in prestito. Si può riconsegnare tutto, ma non annullare il prestito. Ora si vorrebbe dare il prestito in consegna alle macchine: non è come se si volesse tornare alla natura della pietra grezza dopo essere stati dispersi in sabbia?

Ma la pietra è unita e la sabbia volatile. Raccoglierla per tentare di rifare la pietra è come mettersi a inseguire il vento. Chi insegue il vento è come un fanciullo che si diverte a gettare manciate di sabbia al vento: perché mai la sabbia dovrebbe temere che lo faccia con cattive intenzioni? Solo dell'uomo ha cominciato a sospettare che voglia ridurla in suo potere per farne strade e case.

Il Letterato s'imbattè nel giovane letterato - Proprio te stavo per venire a cercare! Ti voglio insegnare i segreti della mia arte -; e il giovane - Sono pronto, Maestro. Ma dimmi almeno prima in che cosa mi tornerà utile -. - Ti insegnerò a comandare sulle essenze sottili; imparerai a sciogliere legami e a sostituirli con vincoli, a combinare suoni e segni per creare sovvertimenti, a sovvertire l'ordine delle stagioni perché non ti trovi mai privo di credito riguardo ai poteri di cui disponi, a far credere quello che nessuno oserebbe credere. E se ciò nonostante non sarai soddisfatto, potrai sempre insegnarlo come faccio io! -.

Il buono e il cattivo sono solo effetti: tutto è davvero il riflesso di un ordinamento superiore, ed è di questo che ogni cosa è espressione, questo in base a cui si valutano anche il buono e il cattivo. Perciò il saggio non terrà in minor conto la morte rispetto alla vita, non sacrificherà il tutto per amore di una parte, non dispregerà la più piccola delle creature, ma non ne lamenterà la perdita. E' saggio, si può dire, perché è colui che ne è semplicemente a conoscenza dei cicli, come accade per lo sbocciare dei fiori a primavera o il maturare dei frutti estivi.

Trovare regola nel tutto, non è forse trovare nel tutto la propria convenienza? Si impongono forse limiti all'amore? Vi è forse altra convenienza per il singolo che sacrificarsi per amore del tutto? Se per colui che ama l'amore è tutto, l'amante che vi si sacrifica non commette una pazzia: risponde all'appello del suo essere, che è più grande di lui. Si ama infatti per amore dell'amore, che è più grande di qualsiasi cosa si ami.

Quel prendere a cui tutti possono attingere può forse chiamarsi rubare? Ciò che è aperto viene dato senza malevolenza; chiunque ne può ricevere. Di quel respiro di cui si alimenta ogni cosa si può dire che qualcuno lo trattenga per sé solo?

Bisogna essere sacri come l'oracolo. L'oracolo non parla se non lo si interroga, ma chi vuole sapere troppo dall'oracolo finisce per perdere la facoltà di ascoltarsi. E' bene comunque sapere che l'oracolo non parla per comando o su imposizione: è il cielo che conferisce gli oracoli come sta all'uomo interpretarli. Fra cielo e uomo vi deve essere dunque una profonda consonanza, perché l'uno possa dichiarare la sua volontà e l'altro possa accoglierla in riverenza. Quando qualcuno è così invasato dell'alto, così pieno di abnegazione, che nulla rimane più di sé, non vi è cosa che non possa esprimere; ma tra la coscienza di sé o dell'altro, tra l'ascoltare sé o l'altro non deve essere rimarcata la differenza: divino è ciò che consuona e che non smette di risuonare in reciproca armonia.
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GIOVANNI SCHIAVO CAMPO

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