“Quando il dolore diventa lirica o Del problema della traduzione”
Ripete in cifra lirica Francesca Lo Bue la lezione di Borges: “Todo consta en la gran Biblioteca de
Alejandría” e del mio maestro Francesco Matarrese: “Non possiamo far altro che riscrivere sempre lo stesso libro” e quello che ebbi a ripetermi tempo fa: “No hay nada nuevo bajo el sol./Los súmeros han invocado a Isthar…”
Perciò per Francesca il libro è smarrito, sbagliato, nascosto, ubriaco, errante, dei numeri, vissuto, recuperato. Ossia, un libro da correggere sempre, da completare. L’umanità cominciò a scriverlo quando era nelle caverne... lo finirà in qualche lontano futuro di là da venire.
Il libro è un atto corale, è la divinità mitica del principio che si fraziona e si dona scritta su fogli dalla minuta calligrafia, si sparge e si offre all’umanità dolente. Per ciò la poesia di Francesca
Lo Bue non narra né celebra se non la genesi della sua intima e personale intuizione poética. Non narra la strage di “A una desaparecido”. Lascia che il lettore, partecipe già dai primi righi di lettura, si senta in prima persona accusato in veste di Orco: “A quelli che gridarono il nome/quando marciavano verso le porte dell’Orco,…”
A sua volta “A una Desaparecida” è una ri-scrittura di “Susana”, poema pubblicato in “Nada se ha ido/Non te ne sei mai andato”. Un coro di respinti grida e accusa l’uomo-lettore per quella indifferenza che li ricaccia indietro negandogli il permesso d’entrata alla vita: “No nos quisieron./No nos pudimos quedar.” –“Non ci hanno voluto, ce ne siamo dovuti andare,…”
I negati, i respinti, i senza volto nelle liste dei scomparsi, gridarono il proprio nome –si mormorava che prima di ciò avevano bevuto il veleno- per affidarsi alla pietà di coloro che rimangono.
Uno stesso tema e motivo, dunque, visto e ricomposto da varie angolature. Perché definire, completare ed espletare l’idea è la problematica del poeta. Le parole non son chiare a sufficienza: “le parole vennero a me che le cercavo”, le parole sono un geroglifico, formano una calligrafia strana, esoterica.
Le traduzioni
Ho ricevuto “Il libro errant” in estate e “El libro errante” a fine 2013. Si direbbe una traduzione in spagnolo dell’originale italiano. Si direbbe…perché italiano e spagnolo non sono per Francesca due sistemi linguistici ma una sola lingua che si interseca nella etimologia e nelle immagini che suggerisce. Dunque, è ben difficile sapere, e cercare di delimitare in che lingua nasce per prima una sua composizione poetica o se sono contemporanee o se i due canali linguistici si mescolano.
Piuttosto l’autrice si lascia condurre dal suono, dal ritmo e la cadenza che il verso impone… E allora è consono parlare di due composizioni –in italiano, in spagnolo- dello stesso tema. La traduzione non è per Francesca Lo Bue un esercizio, una ricerca di parole equivalenti, ma la ricerca della parola che traduca, dica, definisca alla perfezione l’idea.
Tutt’altro se traduce versi altrui. L’avevo apprezzata in “Infinito”, eccellente traduzione di Leopardi, credo il suo primo amore, almeno letterario
Appendice a “El libro errante” sono le traduzioni di “I ritorni” di Quasimodo allo spagnolo e “Los pasos lejanos”del peruviano César Vallejo all’italiano. Chiude –ed è come se fosse la sua autobiografia: “Lì sarò con i miei compatrioti./E in greco potrò parlare per sempre.”- il breve “Epitaffio di un samio” di Costantino Kavafis.
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Francesca Lo Bue: “Il libro errante”. 2013. Edizioni Nuova Cultura. Roma.
“El libro errante”. 2013. Edizioni Progetto Cultura. Roma.
“Nada se ha ido/Non te ne sei mai andato”. 2009. Edizioni Progetto Cultura. Roma
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Aurelia Rosa Iurilli
Centro Studi di Americanistica- Perugia
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