martedì 4 marzo 2014

SEGNALAZIONE VOLUMI = BENEDETTO CACCHIONI

Benedetto Cacchioni: “La morte mi ha salvato la vita” - Fermenti Editrice, Roma, 2013, pagg. 89, € 14,00
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Benedetto Cacchioni è nato a Subiaco nel 1959 ed ivi risiede da sempre. “La morte mi ha salvato la vita” è una sceneggiatura che, per i suoi caratteri, tra i generi teatrali, potrebbe definirsi una commedia.
L’autore, con questo testo, ha vinto il Premio teatrale “Angelo Musco 2000”, sezione Teatro inedito.
Come è scritto nella motivazione del premio il nostro gioca la sua carta vincente utilizzando un canovaccio ricco di possibilità che rendono fresca e friabile l’opera sin dalla prima scena, che si avvale di un prestigioso gioco di equivoci ben dosati.
I Personaggi sono anch’essi ben delineati, figure di un oggi che evidenzia virtù e vizi del nostro tempo.
L’autore ci fa soffermare su un tema abbastanza serio quale è la morte che tuttavia viene trattato in modo accattivante al punto di farci sorridere e ridere.
Le battute sono cesellate con naturalezza e versatilità, il gioco di parole è ben dosato e sa colpire al momento giusto.
Le varie scene sono precedute da precise e accurate didascalie e tutta l’opera è pervasa da una forte ironia, che la potrebbe far definire tragicomica.
Protagonista è La Morte stessa, che nella sua raffigurazione e rappresentazione in forma umana, può ricordarci quella del film in bianco e nero del regista svedese Bergman Il settimo sigillo.
Nell’atmosfera semiseria della messa in scena La Morte stessa, viene caratterizzata come goffa e maldestra.
Lo stile è connotato da grande chiarezza e il tono della scrittura è colloquiale e immediato.
Uno dei personaggi fondamentali dell’opera è Sor Antonio, un usuraio di mezz’età, un uomo senza scrupoli, che si avvale anche della violenza, per riscuotere il denaro prestato a povere vittime della sua avarizia.
I molti personaggi sono delineati con fine introspezione; è esilarante il rapporto tra l’usuraio e sua madre Immacolatina, che è una donna molto bigotta, che prega ogni giorno inginocchiata per terra fino a ferirsi.
La dialettica tra madre e figlio si basa su discussioni sulla fede e sull’esistenza di Dio, nel quale Sor Antonio non crede.
Buffo il personaggio della badante dell’anziana signora, che parla russo e che capisce poco l’italiano; alla badante Immacolatina vuole impartire un’educazione cattolica e il miscredente Sor Antonio, invece, è convinto che la ragazza debba per prima cosa imparare l’italiano.
Molto suggestiva l’entrata in scena della Morte che penetra dalla finestra nella casa dell’usuraio.
In una delle didascalie leggiamo che Sor Antonio, rimasto solo, si mette a scartabellare le sue pratiche apostrofando il suo rammarico per essere costretto a vivere con una madre decrepita e bigotta e con una extracomunitaria.
Vicino alla scrivania c’è un bicchiere pieno. Il personaggio lo prende e sta per berlo, quando all’improvviso si sente un rumore proveniente dalla finestra. A questo punto l’uomo salta in piedi spaventato.
La triste figura si presenta impacciata ed esitante e Sor Antonio, inizialmente, non la prende sul serio, pensando che sia una persona qualsiasi, in realtà del tutto innocua, mandata dalla madre per farlo convertire: questo crea uno dei vari fraintendimenti presenti nell’intreccio.
Avviene nella sordida camera un dialogo tra l’usuraio e La morte ben diverso da quello che accade nel suddetto film di Bergman tra la triste immagine e il cavaliere Block, tornato nel Medio Evo dalle Crociate.
Se nel film la figura della Morte appare spettrale e crudele, La Morte, nella sceneggiatura di Cacchioni, è maldestra e spaventata e presenta tratti di umanità, come quello del gesto di chiedere un bicchiere d’acqua.
Molto diversi tra loro anche Sor Antonio, uomo ateo e insensibile e il cavaliere Block, figura vulnerabile e tormentata dal problema dell’esistenza di Dio.
Al termine della storia Sor Antonio fa una partita a carte con La Morte e vince una forte somma giocando d’azzardo; a questo punto La Morte esce di scena e, paradossalmente, per sbaglio, l’usuraio beve dell’arsenico e muore. La Morte ha quindi di nuovo vinto come quella bergmaniana nella famosa partita a scacchi.

Raffaele Piazza




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