PREGHIERA---
*
In mezzo a una pianura, genuflesso,
con gli occhi al cielo, tinto di rossore
dal sole che moriva, urlava all’aria
macchiata dai nerastri tremolii
delle bocche infernali d’Occidente
un vecchio paesano. Assai robusto
e la barba giallastra fino al petto,
diceva una preghiera in mezzo ai campi.
Il Signore non prego che mi ascolta,
ma io prego il Signore che mi ascolti
in un mondo di volti indifferenti
dove spenti i cammini limacciosi
di senescenza affossano zuppati
nella palude dell’indifferenza
(carenza di parole ci avvilisce.)
Il Signore non prego che mi vede,
ma prego il Signore che mi veda
e la luce offuscata sulla terra
dalle nubi stracolme di pugnali.
Ettore nuovo fuori dalle mura
poco potrà senza l’armatura
di fattura divina. E non potrà
piegare l’uomo ormai robottizzato.
Affocava la strada del paese,
in parte in ombra in parte arroventato,
la sera. Disunivano falcate
orli rotondi con gli scabri voli
da una chioma ad un’altra e il tremolare
delle misere foglie accartocciate
già prima di cadere erano danza
col falò lingueggiante sulla proda
del campo. Crepitii. Luccichii.
Guarderemo con occhi vòlti al vuoto
di riarsi cammini impietositi
che l’aria volle impalliditi al sole?
Sarà sfuggente,
sarà lo sguardo avaro
e un mercenario senso d’amicizia
il male di pigrizia della morte?
Avrà reciso il filo già la parca
all’origine stessa dei natali?
E il sole si affannava allo stradone
frantumato dall’ombre prolungate
da ciglio a ciglio. Stavano per poco
gli ultimi verdi striminziti e vaghi
aggrappati ai seccumi; ed il sentore
odoroso di fosso sublimava
il fumido respiro ed era eguale.
Freddo il dicembre. Steccolito a terra
giocava di notte con la luna
a scrivere lettere nerastre
di messaggi nel cerchio;
oppure, se era fonda, respirava,
gemeva, miagolava, e singultava
per l’amore del gatto o per lo scatto
del gufo sulla preda. Era di ghiaccio.
O mortali caduchi resteremo
ad ammirare il sole che fa luce,
il cielo che riluce stelle in mare
e gli occhi che traspaiono la giada
sopra una strada tersa di colori.
Percorreremo insieme quella via
indicante segnali con le frecce
a fanali diretti contro oblio?
Rifletteranno ancora le speranze?
Ancora guarderemo, mio Signore,
i tramonti che si flettono nell’ acque
o su serpenti colmi di livore
rimbombanti nei cieli di ferraglie
ci assordiranno spari di mitraglie.
Se i mari varcheremo e immensi spazi
sugli arnesi impazziti di premura,
avremo il tempo e l’occhio giusto, Dio,
per mirare di primule cosparso
il calco ove lasciasti la Tua mano?
O vagheremo, con gli occhi ormai accecati,
e gli animi ripieni di parole
barcollando su cammini quali Edipi.
E senza un briciolo di sole a un sol tinnito
porgeranno le orecchie l’attenzione
o al fruscio dell’upupa testimone
del ricordo avvilente della vita.
Che non crescano intorno gli asfodeli
candidi e puri,
pietosi e soli
a prender posto presso i cimiteri,
compagni sacri ed uniche vestigia
ai marmi ormai inverditi di licheni.
Brillavano le stelle di diamante
e spiavano l’alba
che sarebbe tornata in cima al giorno
a contraddire il senso della notte.
*
Nazario Pardini- (da Poemetti onirici)
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