venerdì 23 febbraio 2018

SEGNALAZIONE VOLUMI = DANIELE PIETRINI

“LA VITA IN PIÙ” DI DANIELE PIETRINI
Ricordo di essere rimasto attratto dalle poesie de “Il fortino dell’invisibile”, una raccolta di Daniele Pietrini per la quale mi venne chiesto di stendere una prefazione, come in fatto accadde. Quei versi, nell’assenza di una conoscenza diretta o anche indiretta o solamente occasionale (una lettera, un biglietto, una telefonata) del loro autore, furono il terreno culturale e morale su cui misurarne la personalità e mi indussero piuttosto a legare le determinanti simboliche di quella singolare scrittura a un’immagine, sia dei luoghi che dei paesaggi frequentati ma anche di lui stesso, della sua anima. La mia attenzione si concentrò per un verso sulla peculiare prospezione dei percorsi e dei viaggi, dall’altro guardava all’aspetto filosofico e intimo: che mi colpì molto e che lessi allora – si era nel 2013 – quasi alla stregua di insopportazione attiva della vita, o almeno della realtà. Come se Pietrini tentasse di scampare al quotidiano non meno che a un’equazione destinale.
Adesso – dopo la prematura scomparsa intervenuta nel 2016 – è apparsa di lui un’ulteriore raccolta, “La vita in più” (Lieto Colle, 2017, a cura di Maria Grazia Calandrone), che con le due precedenti, "Il viaggiatore che non vuole sapere" (2003) e appunto "Il fortino dell’invisibile" (2013), compone una sorta di trittico poetico ed esistenziale, tanto in essa la vita si fonde con la scrittura (e anzi è quest’ultima che la sussume). Quel titolo, "La vita in più", parrebbe rinviare alla riaffermazione dei principi dell’esistere – e in fatto la materia del libro investe quella parte di esperienza che antecede la morte. Ma, intanto, il libro non vuol affatto essere il diario di una malattia, né è l’epicedio per una vita che si vada perdendo, quanto l’inizio di un cammino entro uno spazio che solo si possa conoscere (e descrivere) per prova, dantescamente: quello della vita oltre la vita quotidiana ma prima della morte. Svincolati da se stessi e avviati alla volta di un fortilizio misterioso e però vasto e accecante.
La prima sezione, posta sotto l’egida e la dicitura di "Poesie chemioterapiche", potrebbe mettere sulle tracce di una condizione estrema e infelice, ma si muove entro una frazione di realtà tangibile e straniante al contempo, corporale e mentale. C’è ovviamente il dato concreto, diciamo così il referto dell’accadimento. Ma la direzione della scrittura è alla volta di una zona intermedia, diastematica, che si compendia in quel richiamo avanzato nel titolo verso il tratteggio ulteriore che si aggiunge alla vita.
Il tema implicito, o lancinantemente immanente, sguscia al di fuori di un quadro prevedibile proprio perché si immette in altra densità attivando suggestioni avventurose (com’era ne "Il fortino dell’invisibile") ma anche conoscitive. Questo in ragione della forza propulsiva delle immagini e dei versi: grazie a quanto si è potuto determinare nel processo poetico. Così l’attacco conosce un suo controcanto e la voce lirica tende a una successiva implicazione, adagiandosi negli spazi limitrofi, lavorando sulle rincorse, le ripetizioni, le illuminazioni: inseguendo le visioni e le cose accorrenti alla volta del soggetto.
Giusto in quei momenti qualcosa interviene. Il corpo per il fatto di rimare con le emozioni, anche quelle della mente, stilla immagini nelle sue varie vicissitudini e postazioni, tra un pensiero e l’altro. Richiama un proprio punto di consistenza ma anche il suo disvanire nel nulla e nel luogo al cui interno il nulla sembra divenire qualcosa.
È questa la parte accennata, o magari solo intuita, della scrittura pietriniana: un "terrain vague". Che però tende a farsi materia, vaga e fluente ma con una propria densità. Una materia che è tale perché si rivolge al cuore e, attraverso questo, può anche farsi “perfezione”.
“In te un’orma, / sorriso”, recita la chiusa di una lirica. Il cammino alla volta dell’invisibile reso percepibile presuppone un alfabeto di ricerca, una lingua che persegua non il convenzionale ma quella nuova dimensione verso cui s’era incamminata la poesia di Pietrini. Se una morte dolorosa non l’avesse fermata, chiudendola nel suo mistero, nella sua lattea separatezza.
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Gualtiero De Santi

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