Francesca Lo Bue : "Itinerari" - Ed. Dante Alighieri, Roma, 2017-
Circolarità e verticalità.
"Il libro emerge dall'oblio... è ricapitolazione... La storia, di per sé obliata, si vivifica quando c'è un
lettore". Così dice la poetessa Francesca Lo Bue nell'introduzione alla raccolta "Itinerari" (Roma,
2017), suggerendo che la propria opera cercherà di riannodare le fila di un discorso dimenticato,
seguendo un percorso di continuo ritorno. Del resto il titolo "Itinerari" non può che portare in
rilievo un desiderio cinetico. E i moti tracciati saranno di due tipi, circolare il primo, come si
diceva, verticale il secondo, ascendente per la precisione, dalla terra al cielo, come si scoprirà.
Rimaniamo per ora sul primo, cerchiamo di comprendere quale la traiettoria imboccata. Un
problema subito si pone: la poetessa dice che la storia è "obliata" e che necessita di un lettore. Ma
cosa mai si può leggere nella massa informe della dimenticanza? Nella introduzione già citata la
soluzione è porta nell'incipit: "Il libro è ritorno e restituzione, ripete miti, leggende, profezie e
ammaestramenti per restituire vite".
Il poeta dunque deve disegnare un'architettura di simboli e segni. La poesia è vaticinio, come nel
testo appunto intitolato "Mantica" che inizia con "Voce di poeti, voce d'alberi" e continua "Dalla
terra brumosa la voce d'un ritmo... quando la Pizia risponde al segnale". Simboli e miti e profeti. Il
testo successivo è "Artemidoro" in cui "i tuoni cercano la casa dell'oracolo. Pith, sveglia nella
radura della roccia, vede un'ora del Tutto".
D'altra parte riferimenti al mito, in specie greco-latino, sono un segno distintivo della raccolta e, in
genere, di tutta la poetica di Francesca Lo Bue. Così abbiamo Endimione, Antigone, l'Anabasi; ma
anche testi ispirati a suggestioni diverse, orientali, come "La chimera di Enkidu", o moderne come
"Gulliver".
Chiarito il metodo, spetta capire il punto d'arrivo del movimento, ovvero di inizio se moto circolare
è. Molti sono gli spunti, uno però illumina poderosamente. In "La forza" prima si invoca un "poeta
effimero" le cui "parole abbiano regno nella carne breve", poi si dice che "se prima nemmeno
sapevo di essere, né speravo di essere e non ero, ora sono un ammasso che parla, gioca e mangia".
L'esistenza nella sua spoglia realtà. Come in "Amicizia" ove "la virtù del dolore è la perdita, e la
perdita è nudità. E la nudità è libertà".
Tornati all'inizio possiamo ora volgere lo sguardo al moto retto, da giù in su. Una linea verticale,
dal terrestre all'uranico. Se l'essenza materiale, concreta, scabra sembrava prima il punto d'arrivo,
ora è oggettivamente correlata a una serie di termini ricorrenti di natura terrestre. Molto frequente è
il lessico legato agli elementi del suolo e del sottosuolo: parola frequentissima è "pietra", in tutte le
sue declinazioni e relazioni. Cippi, dolmen, iscrizioni, minerali preziosi. Ricchissimo poi il
vocabolario ispirato agli animali: le poesie sono popolate di draghi, pernici, leoni, lucciole; e
soprattutto colombe. Questo gentile uccello è esplicitamente apostrofato in "Le porte azzurre".
"Colomba.. Alza la voce verso il monte, verso la luce dell'arcobaleno... alzati, Colomba, dal ripudio
delle greggi, verso l'eredità del libro del Mistero". Ecco il desiderio di innalzamento, di
sublimazione. Di converso infatti fanno eco i vocaboli circoscritti nel campo del cielo e della luce.
Forse il colore più comune nella raccolta è l'azzurro.
Sempre alla colomba si rivolge nella poesia successiva, "L'acqua dell'aurora". "Colomba senz'ali...
Anela l'acqua dell'aurora, prendi forza dalle ali tarpate verso il regno dei fiumi celesti... Sorgi...
verso l'allegrezza dei nomi".
Così siamo giunti al termine. Dopo il ritrovamento dell'essere terraneo e corporeo, la purificazione
che decanta i puri nomi.
*
Dott.ssa Rosa Rempiccia
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