lunedì 18 novembre 2019

SEGNALAZIONE VOLUMI = LETIZIA LEONE

Letizia Leone, Viola Norimberga,-- Edizioni Progetto Cultura, Roma, 2018, pp. 98, 12 euro, Prefazione di Giorgio Linguaglossa

Entriamo in medias res leggendo insieme una poesia di Letizia Leone estratta da "Viola Norimberga": “Mi fermo./ Aspetto il buio./Il sole ai piedi e le tenebrose lucertole.//Questa Storia / non si può scrivere a mezzogiorno.” Perché tanto difficile è scrivere questa storia a mezzogiorno? Perché forse l’autrice avverte la difficoltà di uscire dalla mezzanotte dell’umanità trattandosi questa storia come Letizia Leone stessa ci avverte del « “Processo dei medici” di Norimberga per Crimini contro l’Umanità si svolse dal 9 dicembre 1946 al 19 luglio 1947. Nei 18 volumi degli Atti si parla anche di esperimenti disumani come il trapianto di ossa e le iniezioni di pus».Credo che per una piena comprensione di questa opera poetica di Letizia Leone torni utile ai lettori di Viola Norimberga mettere insieme alcuni frammenti, soltanto in apparenza dispersi e quasi estranei, accogliendoli tutti come antefatti necessari al clima, all’atmosfera dei temi laceranti che questo libro affronta, visto che l’autrice si confronta con il Processo di Norimberga contro i criminali nazisti: Elie Wiesel (“Auschwitz non può essere spiegato perché l’Olocausto trascende la storia”); Agnes Heller (Inadeguatezza della scrittura di fronte ad Auschwitz. Il genocidio degli ebrei come salto nel Male, gigantesco ma del tutto irrazionale);– Jankélévitch (Silenzio su Auschwitz, perché indicibile); – Levinas (“Il solo senso di Auschwitz è che non ne ha”);– L’opera di Peter Weiss, fondata sui verbali del processo di Norimberga ad aguzzini nazisti, nella quale un sopravvissuto rivela una verità che nessuno ha osato né osa respingere:«Se eravamo in tanti nel Lager / e se furono tanti/ a portarci dentro/ il fatto si dovrebbe capire/ ancora oggi[…]//quando lo sfruttatore potè / esercitare il suo potere/ fino a un grado inaudito/ e lo sfruttato/ dovette arrivare a fornire/ la cenere delle sue ossa». Si ottiene come risultato nella scrittura poetica di Letizia Leone ciò che realmente è stata la storia dell’umanità ad Auschwitz, come in altri campi di sterminio: una storia unica, indicibile, incommensurabile. Esemplari dunque appaiono anche questi altri versi «senza anestesia» come Letizia Leone stessa li definisce:”L’archivio ardente:/ Dodicimila pagine di febbre/ I fogli s’assottigliano in fessure/ Di fatti in controluce: esperimenti/ Mentre l’inverno ci divora./ In risalita rantoli e lamenti./ Questa parola spacca gli schedari./ I documenti di Norimberga sono le ali/ del più vorace voluminoso orrore.” Sulla qualità della stessa scrittura che Letizia Leone adotta e sul suo stile come scelte lessicali e tono linguistico-espressivo, molto ci dice la Prefazione al libro di Giorgio Linguaglossa, specialmente quando il prefatore segnala a sé stesso, segnalandolo a tutti:«[...] È ancora possibile scrivere poesia. Letizia Leone lo fa con un senso di orrore e di disappunto, come un senso di colpa, con un linguaggio rigido, irrigidito da quella da quella immane tragedia per l’umanesimo europeo e per la cultura...». Ma misurandosi con questa tragedia che linguaggio occorre adottare? Ecco il grande dilemma che Letizia Leone ha dovuto affrontare e sciogliere. Nella consapevolezza che la parola è importante soprattutto per chi la usa, Letizia Leone ripudia ogni inclinazione al canto, ogni tentazione elegiaco-crepuscolare e fa ‘parlare’ i frammenti di uno specchio ridotto in frantumi raccattando in ciascuno di essi le immagini. E Giorgio Linguaglossa in prefazione proprio su queste cifre linguistiche di Letizia Leone in "Viola Norimberga" giustamente rivela che saranno le immagini, le successioni dei fotogrammi, i montaggi dei frammenti dell’orrore a farsi poesia. E in ogni fotogramma è inscritta la morte. Letizia Leone fa della scrittura di Viola Norimberga un continuo interrogarsi sul rapporto antropologico tra immagine fotografica e morte, del tutto simile a quello intrattenuto da Roland Barthes con la fotografia in La camera chiara. Oltre l’istante raggelato della foto, oltre l’attimo che nella foto congela il tempo, ma anche oltre la morte del soggetto fotografato si inscrive la morte di chi guarda, la morte di ognuno. Nel rapporto dinamico parole-immagini i versi di Viola Norimberga tengono uniti i due tempi del poeta quando si confronta con il Male assoluto, un male affidato a uomini banali: il tempo della clessidra o dei calendari e il tempo interno-creativo nelle parole stesse dell’autrice di fronte alla indicibilità, alla unicità, alla incommensurabilità di questo Male. Con un solo desiderio: che affrontandolo con la forza della parola giusta di poesia il Male non si ripeta mai più.
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Gino Rago

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