Daniela Raimondi – Entierro – monologo in versi--- Ed. Mobydick – Faenza – 2019– pag. 55 - € 9,00
Daniela Raimondi, con Entierro, prosegue il suo iter di poetessa, confermandosi una delle voci più vive e degne di attenzione del panorama attuale italiano. A livello stilistico e formale Entierro prosegue nella scia della precedente raccolta dell’autrice, intitolata Inanna. In entrambe le raccolte la cifra distintiva è la presenza di una forte corporeità al femminile, plasmata dall’io poetante. Come scrive Bianca Madeccia, nella precisa prefazione, Entierro è la quarta prova letteraria pubblicata dall’autrice e la sua prima opera teatrale in versi. La vicenda viene presentata nell’incipit attraverso una scena impersonale fortemente drammatica. Una giovane donna scalza con i capelli sciolti, palesemente scossa, tiene in braccio una bambola. La ragazza stacca rabbiosamente le membra del neonato e le sparge a terra. Pochi secondi dopo, quasi in un gioco di pentimento amoroso, la donna s’inginocchia e inizia a raccogliere gli arti di plastica uno per uno, cercando delicatamente e inutilmente di ricomporre il piccolo corpo. La narrazione in prima persona inizia nella scena successiva. La stessa giovane donna è ora in un istituto mentale o tra le sbarre di una prigione. Entierro è un’opera originale: raramente incontriamo nel panorama della poesia attuale, la forma del monologo in versi. Entierro può essere considerata un’opera teatrale in versi ed ognuna delle due scene, quella iniziale breve e quella lunga, che costituisce in massima parte il corpus dell’opera, sono fornite di due accurate didascalie che descrivono lo sfondo, lo spazio scenico in cui avviene la vicenda che è detta da un’unica voce, che, pur usando un tono quasi gridato, riesce sempre ad essere controllatissima a livello formale. Il sipario si apre e sul palco è buio e c’è gran silenzio e poi dall’oscurità nasce una voce di donna; è una scenografia efficace ed evocatrice di un grande senso di mistero e di forte onirismo purgatoriale, quella che la Raimondi ci presenta. I primi versi evocano una nenia materna e antica, che si usa per cullare i neonati: - “Ninna oh, ninna oh, / il mio bambino a chi lo do? Lo darò al suo angiolino /che lo tenga in sul mattino…-” In questa nenia, ovviamente, c’è una forte dose di musicalità, elemento, la musicalità, che pervade tutti i versi della poetessa in questo efficace monologo. L’atmosfera, caratterizzata da una luce che sale lentamente ed è vagamente macabra. La donna è seduta per terra e culla in grembo una bambola di plastica. Di colpo tace. La luce puntata dal basso dona al suo viso un aspetto sinistro. La donna fissa la bambola e poi, con gesti di estrema violenza le stacca un braccio, una gamba, la testa. Forte la drammaticità in questo smembrarsi dei pezzi di un corpo, seppure di bambola, un infanticidio virtuale, virtuale perché non muore un essere umano, ma un essere inanimato, seppure un essere inanimato possa morire, frutto di una maternità virtuale: tutto ciò è simile a ciò che può accadere in una forte crisi isterica di una donna. Dall’uccisione della bambola della prima scena prende le mosse la trama del monologo di Entierro: quasi una nemesi: quello che accade nella prima scena ci fa intendere che la infanticida sia una malata di mente e, quindi, subito dopo, a partire dall’incipit della seconda scena, l’ambientazione diviene quella di un ospedale psichiatrico o di una prigione. È il dolore connesso alla patologia mentale uno dei temi fondamentali dell’opera di Daniela Raimondi dolore che scaturisce dalle parole dette dall’io poetante, verbo di un corpo lacerato e di una psiche femminile frantumata e scissa. La Raimondi anche in Inanna ha messo in scena, per usare una metafora teatrale, un io femminile inquieto, ma, mentre in Inanna c’era la possibilità di una redenzione dell’io poetante, di un riscatto connesso ad un’espiazione, in Entierro non c’è varco salvifico, uscita dal tunnel di un dolore atavico, in cui, si potrebbe dire, un essere innocente, una donna, viene annientata dal male della follia. C’è una forte chiarezza nel dettato della Raimondi, connessa ad una grande grazia misurata dei versi, icastici e leggeri, nello stesso tempo. Il monologo, avvicinabile, vagamente ad un poemetto, è strutturato in strofe molto brevi, segmenti in cui si estrinseca il dolore rarefatto dell’io-poetante che si rivela con una grandissima forza espressiva. La donna si è rifugiata in un angolo ed è visibilmente sconvolta. Parla concitata, le braccia allungate in avanti come stesse respingendo qualcuno. Tutto il disagio della follia viene detto con efficacia in versi nitidi e veloci: - “Via! Andate Via! Cosa volete? / Cosa cercate ancora? // State indietro! / Non mi toccate ho detto! / Lo vedete Là Là in fondo/ L’ombra che grida per le strade…/ Pietà, pietà vi prego! Chiudete quell’imposta, spegnete quelle luci! Le voci, le voci…/ quei bisbigli mi spaccano la testa…” - Qui l’io-poetante si rivolge ad alcuni interlocutori probabilmente immaginari con toni forti e gridati al limite della disperazione più totale e non è facile creare simili atmosfere, cosa in cui l’autrice riesce molto bene. Purtroppo ci sono molti casi di infanticidi da parte di madri, nella quotidianità che noi viviamo, spettacolarizzati perversamente soprattutto dalla televisione, che non possano lasciare indifferenti e il testo della Raimondi, per usare una metafora musicale, vista la materia trattata, potrebbe diventare un requiem per tante vite di neonati o bambini uccisi: in situazioni dove il male prevale e la televisione istiga a ripeterlo; solo la parola poetica può fare uscire dal silenzio sbigottito e salvare; come nella tragedia greca.
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Raffaele Piazza
Grazie a Raffaele Piazza per questa sensibile lettura di un libro a cui sono particolarmente affezionata. Grazie anche ad Antonio Spagnuolo per l'ospitalità nel suo bel blog. Tanti Auguri a entrambi per un Lieto Natale.
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