sabato 14 dicembre 2019

SEGNALAZIONE VOLUMI = EDITH DZIEDUSZYCKA

Edith Dzieduszycka, "d’orod’argentod’ombra", Genesi Editrice, Torino,2019 - pagg.126, 15,00 Euro
Prefazione di Sandro Gros-Pietro

Nelle tre sezioni che compongono questa sua recentissima raccolta poetica , d’orod’argentod’ombra, Edith Dzieduszycka compie un lungo viaggio nel tempo interno delle parole per approdare a una riflessione sulla nostra presenza nel mondo, e sulla mortalità, avvalendosi di metafore sulla frammentazione, fantasmatizzazione, perdita d’identità dell’uomo contemporaneo. Si avvale di una lingua essenziale, senza arabeschi e senza fronzoli, eleggendo il sostantivo a protagonista dei suoi versi, forte come appare di quella che chiamo la «poetica dell’istante decisivo». Edith Dzieduszycka parte dalle immagini a forza di memoria e usa le parole non per amplificare il significato della immagine estratta dalla sua mitologia personale ma per conferire alle parole stesse una sorta di nuova, inattesa interpretazione con la complicità emotiva del lettore che Edith attira nel suo tessuto poetico.
Perciò, parlerei di poesia come luogo di incontro e di poesia della meditazione attiva in cui il lettore non è meno creatore del poeta, come nella poetica di Tomas Tranströmer, secondo cui
« il poeta si ritira/ quando cresce la poesia».
Come in questi versi, tratti dalla sezione d’oro: “Prima/ non il silenzio/ e nemmeno il buio/il nulla/ quello soltanto/ All’improvviso/ cieco/ il germogliare/ il galleggiare/ dentro mari segreti/ E poi lo spalancarsi/ della porta scarlatta/ lo stupore/ il pianto/ lo smarrirsi/ in altri oceani/ più vasti/più lontani”, componimento breve nel quale i sostantivi silenzio-buio-nulla-mari-porta-stupore-pianto-oceani si fanno parole-chiave nella estetica dell’istante o dell’attimo eterno di Edith Dzieduszycka e diventano il perimetro del suo stesso interrogarsi sulla sua posizione o sulla sua collocazione consapevole nel mondo.
O anche come si verifica in quest’altro componimento della sezione d’argento: “Finalmente arriva/ quello che/ trepidante/ aspettavi da tempo/ ma non ti batte/ il sangue/ più forte nelle vene/ Esaurita l’attesa/ ha perso ogni colore/ del sogno/la sostanza/ e cosi te ne vai/ a caccia d’altra meta/ che di nuovo/ regali/ splendore al desiderio”, questa volta però tutto poggiato sull’asse nuovo-regali-splendori-al-desiderio da cui si evince la Weltanshauung dell’autrice fondata sullo “splendore-del-desiderio” come forza insostituibile del vivere perché il desiderio, anche se non ancora del tutto spento, non aiuta a vivere senza splendore. E qui la poetica della Dzieduszycka stabilisce, nelle chiare coordinate psicologiche dell’autrice, il suo irrinunciabile asse della pienezza del vivere nel desiderio, desiderio sì, ma desiderio nello splendore.
Mentre una sorta di tono elegiaco-crepuscolare si fa strada e pian piano si impone in quest’altra lirica breve della sezione d’ombra: “Al di là della vita/che pulsa/ freme/ scalpita/ al di là del baccano/ del chiasso/ del fracasso/ vibrante/ più intensa/ dentro le stanze vuote/ scenderà/ il silenzio”, dove le parole chiave vita-baccano-chiasso-fracasso sembrano affievolirsi sul piano della loro energia vitale man mano che nel componimento si scende fino alle stanze vuote dove cade il silenzio. E qui la morte appare, si impone, toglie dalla vita il desiderio e il suo splendore.
Una cifra si impone con chiarezza, fra le tante che scandaglia ed elenca Sandro Gros-Pietro nella sua Prefazione, in questa recentissima prova poetica di Edith: la forza semantica ed emotiva che viene conferita ai sostantivi, pronunciati dall’autrice in un bisbiglio denso di meraviglia, di stupore, come se si trovasse ogni volta di fronte all’alba del mondo. Come già feci a suo tempo per il poemetto Loro, anche questa volta per Edith Dzieduszycka parlerei di «adamismo poetico» per segnalarne la capacità di pronunciare limpidamente le sue parole-chiave come se nessuno prima di lei le avesse mai pronunciate, come fu per Adamo alla prima aurora del mondo, e stabilendo per ogni parola con l’occhio del fotografo quasi una foto, estraendo la parola-immagine dal flusso spazio-temporale volto verso l’abisso dell’oblio, raggelandola nel tempo privato della memoria e nel tempo pubblico della storia per consegnarla alla eternità.
D’origine francese, Edith Dzieduszycka nasce a Strasburgo dove compie studi classici. Lavora per 12 anni al Consiglio d’Europa. Nel 1966 ottiene il Secondo Premio per una raccolta di poesie intitolata Ombres (Prix des Poètes de l’Est, organizzato dalla Società dei Poeti e Artisti di Francia con pubblicazione su una antologia ad esso dedicata). In quegli anni alcune sue poesie vengono pubblicate sulla rivista Art et Poésie diretta da Henry Meillant, mentre contemporaneamente disegna, dipinge e realizza collage. La prima mostra e lettura dei suoi testi vengono effettuate al Consiglio d’Europa durante una manifestazione del “Club des Arts” organizzato da lei e alcuni colleghi di quell’organizzazione. Nel 1968 si trasferisce in Italia, Firenze, Milano, dove si diploma all’Accademia Arti Applicate, poi Roma dove vive attualmente. Oltre alla scrittura, negli anni ’80 riprende la sua ricerca artistica, disegno, collage e fotografia (incoraggiata in quell’ultima attività da Mario Giacomelli, André Verdet e Federico Zeri), con mostre personali e collettive in Italia e all’estero. Comincia a scrivere direttamente in italiano.
Proprio queste sue notizie bio-bibliografiche ci spingono a considerare l’esperienza poetica di Edith Dzieduszycka nell’alveo del translinguismo in virtù del suo transitare da adulta dalla madrelingua francese alla lingua italiana, la lingua del suo approdo. Forse anche per questo la sua poesia sul piano stilistico-metrico-formale si è sottratta a ogni influenza petrarchesca scansando la visionarietà notturna del marioluzismo e mantenendosi a distanza da certo umbertosabismo, da certo serenismo e dal minimalismo romano-milanese.
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Gino Rago

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