RITA PACILIO - La venatura della viola, (G. Ladolfi Editore), Borgomanero 2019 - pagg. 56 -- € 10,00
Cosa c’è più nobile di un fiore, per coglierne l’essenza naturalistica e dal volto profondamente umano? Con esso poter combattere l’incuria e l’abbandono, ambire a quel desiderio o destino di bellezza, non solo come atto estetico, ma traguardo imprescindibile per una più degna condizione umana?
L’ultimo libro di Rita Pacilio, “La venatura della viola” (G. Ladolfi Editore – Borgomanero 2019), interroga questo elemento: la venatura. Ossia quel complesso di segni e colori che ramificano su una superficie, con andamento ondulato, serpeggiante. In questo caso, con tutta la delicatezza possibile di un piccolo fiore o petalo, le cui venature diventano dati tangibili, intercapedini tra significato e significante del testo. Ben descrive le derive e gli approdi di una moderna condizione umana. La stessa autrice svela nella nota di apertura del libro gli indizi, lo slancio emotivo, la sacralità, da cui trae origine la sua efficace scrittura. Non importa cosa accade durante il tragitto, il percorso, anche se: Sapevano da tempo la direzione/ dell’ultimo litigio/… Di quel silenzio che irrompe, che mette la parola fine, per darsi un segno di pace, e suggellare la propria libertà. Sapevamo la direzione, che resta comunque, sottointesa e incerta.
L’uomo è colmo di speranza e ragioni, che cova in sé, come il caldo di un gomitolo, o l’intrigo di rami a seppellire gli incontri e le attese. In questo scenario anche il corpo si sente devastato, proprio come il mondo che esso abita. E il lupo, da sempre segno di potenza e maestosità, si lamenta e cede all’agonia, privo di forze ormai. Anche il lupo accarezza la morte. Ed è triste pensare che tutto possa cadere nel caos, nel frastuono, e forse solo le viole raccolte, sapranno con la forza della loro fragilità e delicatezza, indicarci toni nuovi, nuove venature, sogni e illusioni; pur nella povertà che le contraddistingue. Anzi, proprio per questo più vere e vigorose. A tratti possono insegnare, come hanno già fatto illustri pittori, con segni tenui e scoloriti come poter abitare meglio il mondo. Un atto di profonda resilienza e devozione, contro cui qualunque abbandono, potrà aprire alla purezza, alla speranza dell’incontro, per rinascere dalle macerie che ci circondano. Ci immaginiamo, forti, protetti, immortali, ma non lo siamo. Ecco perché è necessario raccogliere l’invito e rifondarci, ripensarci in nuovi modi e mondi di sopravvivenza.
Nessuno può sentirsi escluso o non responsabile delle catastrofi umane alle quali assistiamo. Ci si ammala. Per eccesso di fiducia/ per velocita, per la speranza invecchiata/. Cresce dentro senza preavviso, il ladro./ E gli parli. Devi fartelo amico.//… Ci si ammala per avidità/quando la forma del secolo non ti ha voluta. Sta all’uomo, alla sua sapienza cercare con tutti i mezzi possibili di sfuggire alla trappola, qualunque essa sia, farsi testimonianza tra sé e il mondo che circonda, attento ad infliggere, ogni pena, che ritorna, in un corto circuito. Perché: Non ha portato via niente/nemmeno il nome lasciato sul letto/il fianco o la spalla/non resterà molto del suo orecchio /grande, del naso, l’attesa prolungata/ quando ama, ama tutti, anche se stesso/… Anche la gabbia intorno a letto è rimasta intatta. Lo scudo umano potrà ora fissare solo una porta vuota, stringere il torto, lo sconforto. E non resta che affidarsi alla venatura della viola, che potrà , forse, con un guizzo estremo, indicarci la strada, prima dell’abbandono, della deriva, prima del troppo tardi.
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Lina Salvi
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