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Evaristo Seghetta Andreoli: “In tono minore” – Ed. Passigli – 2020 – pagg. 160
Corposa raccolta di poesie proposta garbatamente con la pressione del ritmo, che sorprende e avviluppa nella molteplice luminosità tematica, variegata e vigorosa allo stesso tempo. Le immagini scorrono come fotogrammi riusciti nelle inquadrature più diverse, dalle “mani squarciate dalla tramontana e dalle mietiture”, a “l’invocazione, il grido di Erasmo, che si perde nel buio della nostra cecità”, dal “temporale che chiude i conti con l’estate” al “jazz che ha la densità della notte, il colore delle insegne al neon”, dal “limite estremo del paradosso” al “grido del dannato che trascina la pietra per le Malebolge”. Nella delicata flessione del dettato l’introspezione ha il suo filone in un senso determinato e cognitivamente penetrante. Affiora sotto la superficie della leggerezza, ma ha una connotazione raffinata sia di stile che di pensiero, nel racconto che accarezza le memorie o richiama la sensatezza di ciò che accade sotto i nostri occhi.
“La natura circonda il poeta – scrive nella postfazione Fabia Baldi- avvitandosi al suo stato d’animo e compenetrandolo nella complessità del correlativo oggettivo: può essere una casa accogliente («Agli angoli del cielo pendono festoni»), talvolta può mostrare all’opposto una connotazione “matrigna” («e il frangersi dei flutti non dà tregua», «le stelle trapassano il petto con punte d’acciaio»), ma la sua cifra assoluta è l’innocenza, da preservare ad ogni costo”. Una visione dal sapore leggermente raffinato che scorre facilmente nel colloquio per il quale la condizione umana, nel suo perpetuarsi, conserva quel suo perpetuarsi, germe universale nella frammentazione del quotidiano.
Il poeta si dichiara nella finitudine, ma si aggancia anche all’illusione di uno strappo spazio temporale destinato a non diventare cenere della fragilità.
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ANTONIO SPAGNUOLO
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