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Carlo Di Lieto: “La coscienza captiva in Maliardaria di Fabio Dainotti” – Ed. Sigma Libri – 2006 – pagg. 96 - € 9,00 –
Nella consueta sua agilità di scrittura Carlo Di Lieto ricama un vero e proprio saggio intorno alla poesia di Fabio Dainotti, ed in particolare per la silloge “Maliardaria”, che qui si presenta nella eleganza creativa offerta con spunti delicati di figure e vertiginosi contatti di immersioni.
“Dainotti esorcizza i fantasmi dell’inconscio, dietro la maschera della tradizione classica; – scrive Di Lieto- il poeta nella sapiente commistione di classico e moderno e nella sua “sorgiva freschezza”, come scrive di lui Marina Caracciolo, si riappropria di uno spazio, che va oltre il confine della frammentazione. Volendo tentare un primo bilancio critico di questa produzione, constatiamo, di buon grado, l’avvicendarsi di giudizi autorevoli…” Appaiono allora nella prefazione stralci da scritti di Giancarlo Pontiggia, Cesare Ruffato, Alberto Mario Moriconi, Rinaldo Caddeo, Giorgio Bàrberi Squarotti, Pietro Citati, Felice Piemontese, Dante Maffia, con estemporanei giudizi, che rielaborano notazioni, linguaggio, pensieri, nella originalità della forza espressiva.
“Come di consueto, il poeta ama i dettagli e cala il suo mondo, come più gli aggrada, nell’atmosfera del visibile, attraverso la levità della scrittura, che, talvolta, diventa respiro affannoso, quando viene colto dalla paura dell’angoscia e della disperazione”. Così i versi si alternano tra le figure di una realtà del quotidiano, agili o illusorie, e le pennellate colorate dei sentimenti, che affiorano nel sussurro o nella dichiarazione musicale. Qualche spunto filosofico fa capolino: “Questo corpo che è mio e non è mio/ è uno strumento forse un po' scordato,/ un’opera d’arte incompiuta./ Le forbici, il metro di legno,/ un manichino di gesso,/ la luce che filtra di sbieco/ nell’abbaino sul tetto.” Per ricordare che il bluff del vissuto ci attanaglia e ci rende materia duttile e plasmabile, ad ogni tentativo di esorcizzazione. Le pagine hanno il sottofondo della nostalgia, per la memoria che ricompone desideri.
Mi piace paragonare la tessitura di queste poesie al gioco delle stalattiti e delle stalagmiti, nel loro continuo aggregarsi per giungere alla fusione, e qui per raggiungere con la “parola” i tocchi che l’anima fonde nella incognita proposta dallo smarrimento.
Carlo Di Lieto ricompone il disincanto che catalizza la poesia, dal trasalimento dell’io che si propone alla proiezione delle lacerazioni, e nella sua ampia sintesi critica riesce a cogliere i vari significati, le diafane atmosfere, le gentili compostezze, i vaghi fantasmi della creatività.
Fabio Dainotti firma, nel raffinato strutturarsi del linguaggio, le agili dimensioni della musica che nel verso mimetizza l’impatto del linguaggio comune.
ANTONIO SPAGNUOLO
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