martedì 9 giugno 2020

SEGNALAZIONE VOLUMI = ANTONIO DI LENA

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Antonio Di Lena – Rabbia, veleni ed altre eresie… (Mama Dunia Edizioni) 2018 - pagg. 88 - € 10,00

Versi alternativi, distanti dall’armonizzazione di un’esaltazione o di un cordoglio.

Il poeta in questione s’inabissa nelle attuali traversie indicando le tante ambiguità serpeggianti sulle condivisioni, la putredine galoppante per indole terrena, ma non perdendo tempo ad ammonire tendenziosamente.
Quest’opera letteraria vale un arnese da utilizzare nella società in modo impeccabile, affinché si possa condannare la gente telecomandata da benemeriti ipocriti.
Leggendo ti fermi a una terminologia che volge all’asprezza del privato, con voluta ironia, non essendoci cose né persone che possono scamparsela, dovendo tutti fare i conti con la verità che incarniamo.
Per distendersi tra queste poesie occorre parsimonia, una volta stritolati dai significati, o saputo d’essere delle vittime con tenerezza magari, pur sempre per avere di che rivendicare… sospinti a scandire i giorni, per cui ci vuol coraggio, scrutando apertamente delle ambizioni, con la giustizia da ricaricare con proiettili di sacrificio per attivarsi, per un qualcosa d’indispensabile da fare.

La raccolta presenta diverse tematiche, si passa dalle rinnovabili idee di salvezza al rispetto per chi migra, in una condizione di salute assurda per quant’è precaria, come se percossi da emozioni da provare e riprovare, raggiungendo delle mete con una creatività da diversificare.
Di Lena si lamenta sul serio perché ci tiene al bene comune; con tutta un’immagine propria che porge tentando di narrare una zona d’Italia, quella meridionale, ch’è divenuta sconfinata per gli umani sensi, purché non ci si rassegni all’emarginazione tutti insieme, dimenticando spesso e volentieri di nutrire delle passioni per intimare buoni propositi.
Grazie ad Antonio si armonizza il Pensiero circa uno stato di sopravvivenza che sembra che siamo costretti ad accettare, giacché impossibilitati ad alzare la testa per essere dei protagonisti nell’agone civile; addirittura incapaci di preservare le meraviglie del creato ristabilendo dei primati di puro ideale, facendo i matti per tornare in forma.
Secondo l’autore ci divertiamo facendoci del male a vicenda, conficcati in un posto incontenibile, che si espande di continuo svecchiando solo all’apparenza; specie a sud della Puglia, dove la natura dei sentimenti si è tradotta in una eccepibile forma di residenza per un pianeta che sta per esplodere a causa di persone avanti con l’età soprattutto nell’anima, miste alle nuove leve che vogliono ignorare il loro futuro come quello degli altri.
La vita viene qui poetata tra la banalità di una dedica d’amore, tanto dolce quanto popolare, e l’amaro far niente quando si ha d’aspettare il secondo tempo di una commedia brillante, in mezzo al pubblico… soffrendo nel lungo viaggio di ritorno da una sconfitta chissà se come tante.

“Scontata come un pensiero carino
in un cioccolatino famoso,
noiosa come
l’attesa durante una pausa
in un cinema d’autore,
faticosa come una trasferta persa…” .

Il Salento nella raccolta lo s’impersona con della fragilità che rasenta il crimine; sostenendo un collettivo politicamente inutile, se non una coalizione gigantesca composta da esseri che in fondo non vanno d’accordo, per sconfiggere il terrore rappresentato da un’opposizione fiera, forse, di stare in minoranza.
Di Lena non si dimentica di chi in fondo non si sporca le mani toccando la massa, e se lo fa è per iniziare a legittimare un potere ignobile, anche se probabilmente l’alternanza in vetta si sta per ricreare.

Poetando, Antonio riesce ad annusare il proibito, ma per giustificarlo servirebbero centri di sperimentazione tali da musicare la ragione e raccontare così più vite possibili… saggiamente, come lo si faceva un tempo.
La memoria ritempra in modalità underground un uomo che si è formato senza chiedere aiuto, e difatti Di Lena si sente in debito con nessun individuo per aver realizzato tutto ciò che desidera, rialzando quindi la testa dal basso di ciò che si pattuisce in certi posti del sud Italia.
I versi appartengono a una veste esistenziale che si apre o si chiude pian piano, rifiutando delle consulenze altisonanti se la verità volge altrove con storie di una povertà isolatasi, di una desolazione da aggiornare.
Il cambio di passo va sviluppato come a perdere la vista nella Storia, cosicché certi sguardi di mortificante pettegolezzo s’insinuano tra i pensieri del poeta circa un cenno d’intesa per non dire d’umanità… Antonio percepisce il fatto di meravigliare un pubblico vacante, un riempitivo per l’individuo che lacrima il proprio essere.
L’atmosfera notturna s’impossessa deliziosamente, musicalmente dell’autore, roba da sentirsi indifesi, da voler essere rigidi a scapito dell’irrazionalità che va di moda suscitando facilmente delle negatività; come a non dover più illudersi sensibilizzando patrimoni che ci riserviamo, necessari piuttosto per orientarci e vivere una rivoluzione ben pensata.
La desolazione che si riproduce anche cantando svanisce in una corrente d’aria, chi la riceve in dedica si deve svegliare per appurare un dolore e fare luce tra i pensieri, per il bello da sancire con la fragilità degli animali più evoluti, chiedendoci quale raddolcimento ci debba servire per non agire crudelmente, quale incomprensione oggettiva latita personalmente, nel vuoto… a patto che l’ignoranza non riguardi una scelta di vita, fatta guardando in faccia a nessuno.

Se la Storia presenta il suo conto al maligno, in un’atmosfera di rivalsa, allora Antonio pretende d’essere ricordato in sua assenza tenendo conto di una dignità, la sua, troppo spesso oltraggiata quando c’è da confrontarsi.
Di contro, il poeta si trova ad immaginare dell’orrore sancito poiché torna indietro, decapitandone gli artefici, col nullaosta delle forze della natura, deliziose quando c’è d’ammettere che non vi sono certezze rinsaldabili allo scontrarsi fino ad assimilarsi, giacché dimezzati dal fatto di aspettare passivamente vite contorte se temute; se non v’è modo d’informarsi coraggiosamente, per il bene dell’onestà intellettuale, per consacrare la memoria in amore, consapevoli che gli esseri umani sarebbero incontenibili, altro che la mansuetudine di cui si fan carico certi, poveri animali.

“Cosa ti è mancato di tanto tenero da divenire atroce?
Cosa non ho fatto di tanto importante da non capire il tuo malessere?
È l’esempio che ha generato un mostro
o la tua voglia di non ascoltare che ha abbandonato per primo te stesso?”.

Con la copertura democratica spesso e volentieri l’individuo detta leggi infide, immortali, da spazzare via con una spontaneità che si ottiene desiderandola, alla faccia di un Mussolini per esempio, e di tutti coloro che lo invocano, che faranno la sua stessa atroce fine, almeno secondo l’autore; che ritiene anche che l’intolleranza per quel che concerne a una sessualità particolare viene sfoderata da taluni per non far intendere quanto si è tremendamente fragili.
I versi sembrano talvolta dialogare come diavoli rinchiusi in una persona che sa però che sotto sotto serve amare per svilupparsi e debellare l’estraneità, e ritemprare lo spirito tra due e più corpi… in vista di tutto ciò che ci dobbiamo aspettare, specie se non dichiarato, pur venendo ugualmente denunciato, essendo dunque costretti a pescare dell’autostima dal rispetto che si deve avere per gli altri, per quelli che hanno capito da subito che si diventa stupidi soprattutto a forza di fare richieste schiaccianti.

“… in ginocchio non supplichi ma comandi
i tuoi occhi sono profondi e spenti…”.

Elementi nient’affatto complessi emettono quella luce su fatti delicati da poetare, quelli che emergono lavorando e cercando di stare in forma, tra ricchi e poveri lucidatori peraltro di una fede religiosa regredente la società che non acconsente all’integrazione del diverso… una società così snervante e pesante da non riuscire più ad appassionarcisi caratterizzando magari il meridione.
Fidatevi: Antonio se estremizza lo fa per delle giuste cause.
La verità sta nello sradicare da un luogo d’origine sentimenti che si complesseranno da sé, un’amara riflessione che appare e scompare spesso leggendo questa raccolta, con l’auspicio di rifarsi tenendo a bada un talento, e magari artistico, come quello di Di Lena… a dimostrazione che il silenzio andrebbe tradotto in poesia più spesso, piacevolmente.
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VINCENZO CALO'

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