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Giancarlo Baroni: “I nomi delle cose” – ed. puntoacapo 2020 – pagg. 130 - € 15,00
Colpisce, in questa raccolta, l’ampiezza della realtà che la poesia tenta di tradurre in fotogrammi originali, attraverso i quali le figure si stagliano in continui sfolgorii nell’urgenza del riflesso. L’impellenza della poesia è tangibile: tutto chiede voce, anche il frammento che diventa testimonianza o racconto; da qui la necessaria varietà anche delle forme metriche e dei toni (dal verso libero impellente al ritmo contenuto che si apre nel canto), per qualità ossimorica, per il ribollire delle denunce, per la chiusura che non lascia speranze, per la folgorazione delle immagini, per il riflettersi di illusioni, per la capacità di rinverdire alcuni dipinti di autorevoli personaggi dell’arte.
Lo scambio saltellante di incisioni offre un panorama multicolore nel quale “lanciamo proiettili di fuoco/ ciononostante avanzano/ senza curarsi delle ustioni/ come se fossero invincibili, immortali.” e “siamo la spada che ferisce/ lo scudo protettivo/ l’arco che l’ha scagliata/ la freccia che ci colpisce”.
Il lettore rimane agganciato dalle argute duttilità che smussano gli spigoli, che azzardano il verticale, che contrappongono il buio alla luce, nel gioco, in definitiva, di un deciso fluire dell’esistere.
Il gioco della parola sfiora personaggi: Beatrice, Laura, Orlando, Amleto, Emma Bovary, Oblomov, il barone rampante, negli slanci che il recupero memoriale corre intento.
Il colore affonda nei quadri di Van Eyck, Antonello da Messina, Masaccio, Tiziano, Caravaggio, Monet, mentre “il bagliore negli occhi/ il lieve rossore delle guance/ sono il nostro segreto”.
ANTONIO SPAGNUOLO
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