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Michele Miccia, Il ciclo dell’acqua – Parte di sopra, Prefazione di Paolo Briganti, casa editrice L’arcolaio, 2020, pag.115
Ad ogni nuovo libro si definisce meglio l’insolito, impegnativo e originale poema che il parmigiano Michele Miccia sta componendo da diversi anni e che forse non è ancora giunto a conclusione. Ogni raccolta di versi costituisce una parte, una fase, un momento di un progetto più ampio che ha come tema generale quello del vitale e indispensabile ciclo dell’acqua. Dal 2011, quando uscì Il ciclo dell’acqua – Parte di sotto (prefazione di Giuseppe Marchetti), al 2020, quando viene stampato Il ciclo dell’acqua – Parte di sopra (prefazione di Paolo Briganti), sono trascorsi nove anni e hanno visto la luce sei libri.
L’acqua è assolutamente necessaria alla vita e i nostri corpi ne sono in prevalenza formati. Il corpo occupa una posizione centrale in questo come nei precedenti libri di Miccia. L’autore ne nomina esplicitamente e a volte ripetutamente le singole parti, i liquidi, gli organi: urina, sudore, viscere, muscoli, tendini, ossa, denti, pelle, palpebre, vertebre, ossa, cuore, polmoni, vene, pupille, bocca, fegato, braccia, gambe, “sangue fecondo”… Il corpo è un rifugio (“È dentro di me tutto quello che / posso capire…”), una clausura, un luogo in cui rintanarsi. L’io non può prescindere dal corpo ma aspira anche ad altro: carne che si fa spirito, “corpo non ancora anima”; l’io si contrae e si dilata, assecondando quasi un respiro cosmico.
In questa raccolta Miccia si confronta soprattutto con la “Parte di sopra”, con il cielo; lo sguardo si dirige e volteggia verso l’alto (“I miei occhi volti verso l’alto”), cerca una luce che a volte acceca, incontra comete, astri stelle, nuvole che “devono sempre correre / per liberarsi dell’acqua di cui / il mare le ha dotate”. Ascendere, staccare “da terra i piedi”, salire, scalare, significa confrontarsi inevitabilmente con il divino che sta nell’alto dei cieli e che spesso si sottrae e sfugge alla nostra comprensione allontanadosi. Lo ritroviamo comunque, scrive Miccia, dentro di noi (“Unisco parte umana e divina”, “Dio è una parte di me”, “è un luogo interiore”) finché “Per un momento cielo e terra / s’incontrano nei palmi / delle mie braccia spalancate…“ .
Il rapporto fra spirito e materia, fra anima e carne, fra “scorie di corpi” e “una scintilla d’assoluto”, si rivela complesso e instabile, contraddittorio e inquieto: “forse che la salvezza avvenga / sempre dentro al marasma”.
Ci troviamo di fronte a una poesia bruciante (“dalle mie parole di fuoco”), ispida, irrequieta, eccentrica. Il critico Paolo Briganti chiude con queste parole la sua Prefazione al volume: “Ciò che ne scaturisce è un “poema” (o come lo si vuol definire) degno, degnissimo di attenzione e considerazione”.
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Giancarlo Baroni
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