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Pierpaolo Mingolla – La penna è la mia voce (Terre Sommerse Edizioni)--: 2013; Pagg. 140; Prezzo: 15 euro
La ricostituzione degli elementi, ossia il rinvigorimento universale, è come se avvenisse in questo poeta che sa di vivere nell’epoca corrente, avente negatività tastabili, da un capitale umano che non si concentra sul proprio contenuto, con guidatori di un lusso sproporzionato al ribasso, difficile d’amministrare.
E sembra quasi ridicolo darsi alla lettura, significare un atto di fede nei riguardi di bestie in grado di riflettere per rendere originali, interessanti dei racconti, pur prediligendo in genere la faciloneria per nutrirsi.
Ci si gusta mentre prepariamo con cura qualcosa da fumare, tra il convenzionale e il suo esatto contrario che si avvicinano, non riuscendo a dormire serenamente, ad affidarsi a un ideale che volga all’insù, dovendo puntare sulle intime paure, fino a intuire nient’altro che della sconcezza in movimento, sotto una tenerezza quasi del tutto inarrivabile, con una passionalità che filtra di nascosto.
Ci vorrebbe prontezza di riflessi nel comprendere da soli condanne fagocitanti, vedendo oltre, senza mai demordere, come se si cuocesse un finale di giornata prelibato, convinti di non morire di stenti, per raffinare gli eventi; nonostante ci si senta chiusi nel sacro.
Più di una personalità che comportiamo viene sporcata eternamente da domande distinte da ragionamenti di sola teoria, risiedendo in un posto che a osservarlo insorgono gli splendidi alti & bassi dei buoni propositi, con l’indipendenza totalizzante.
Il poeta si lascia illuminare da una fermezza primordiale, ottenuta se messi a nudo, da mantenere in buona, fragile sostanza, riaprendo gli occhi in un presente navigato con l’anima, consapevolmente.
Appurando l’agire con una persona affianco ricominci a preoccuparti del moto sentimentale, interiore; giungendo così all’aldilà, salutando per sempre ciò che serbi, avendo versato preziose emozioni, scaturite dalle libere sensazioni provate dall’altra metà.
L’esperienza che ingrossa l’Io viene sepolta e offesa dagl’irresponsabili, tra i punti di vista che abbandonano la pelle per salire in vetta, nella mente spalancata, per udire il colorato mutismo nel richiamo spontaneo.
Ci tocchiamo l’acidulo di assicurazioni alimentate da melodie che non smettono di discendere (“… pelli salate, aride e secche le vostre certezze, nutrite dalla musica che incessantemente piove …”), dovendo essere consci delle divertenti prese in giro, di una mentalità d’assumere con umiltà, non giudicando per principio, in una maniera falsamente educativa, poiché è con le piccole aspirazioni che si diventa dei giganti.
Pierpaolo si alleggerisce componendo parole (“da un poeta spensierato”), fintanto che il sentimento in pratica lo irrigidisce in trasparenza, per preghiere incolori.
Dal suo inverno si scrolla, con l’immaginario che lo pressa, contattando la natura quando dà l’idea d’essere ottimista, nonostante persistano le riproduzioni farsesche di una sincera, pura decadenza; ignari dei numeri in crescendo, dei crimini che commettiamo vivendo per chiunque sia incapace di trasmettere sensibilità.
D’altronde coloro che si dichiarano perfetti non dovrebbero avere problemi a stabilire ciò che si pensa…!
I timori non si bevono umanamente, e quindi si debellano le disfunzioni reali, d’incanto curiamo le nostre doti morali, a rischio di possederci, con la delicatezza spacciabile per violenza in luoghi deprimenti, di miseria e d’offerta; respirando dignità con orgoglio, durante lotte strenuamente attuali, aventi un’aria sofferta con eterna debolezza, fissando gl’ingranaggi di un tempo che si riproporrà, a forza di danzare per difetto ed essere processati dai persecutori di un’innocenza svuotata, nient’affatto solidali con gl’indifesi.
La commozione deve farsi dolce, per tornare a distribuire un dono agli aridi dentro, che hanno dimenticato peraltro di alzare lo sguardo, di perforare una massa atmosferica in sospeso, nonostante la fretta di stare bene, che decreta la fine dell’essere umano, piacevolmente.
In mezzo alle ristrettezze di un popolo, con l’intelletto a plasmare la persona acculturata e quindi disabile, perlopiù sollecitata all’improvviso alla raccolta parsimoniosa delle esperienze, le necessità dunque si mettono a nudo, per lasciarsi assorbire dalla desolazione di coloro che si ritengono soddisfatti.
Si definisce unicamente l’originale riproposizione di vecchi passatempi d’impareggiabile grazia, tra versi senza tempo.
Ammiriamo animatori di un contesto sacro, imbiancato, acceso una volta riposto dentro uno scaffale appariscente, per ritrovarlo, distruggerlo, trasgredirlo.
Serve badare a chi ti cerca, perché ciò significa essere legato a te, nella totale estinzione che decreta costanza nello spaziare tra le possibilità di mutare anche se per poco, dinanzi alla comune caparbietà.
L’asessualità è una questione caratteriale, da cui trarre beneficio, purezza d’animo per amori spezzati, che pulsano.
Ti devi far perdonare la decisione di accudire il buonsenso, errata; i sogni divorati, che s’è provato a realizzarli, l’effusione scambiata vedendosi in quel dato momento, il fatto di restare amici, che non occorre giustificarsi, e allora tanto vale…!
“Scusa, se ho scelto il giusto sbagliando, se le illusioni sono il tuo piatto preferito e sebbene non sia cuoca sia riuscito a cucinartelo; se quando ti baciavo non chiudevo gli occhi, se invece di amarti ti voglio bene… non ci sono scuse… meglio così, grazie”.
Si scruta, mentre gli altri dormono e sognano, la dimensione generica, naturale; tanto da emanare calore, l’adeguatezza del sentirsi protetti per meritare delle dediche che sono in fondo desiderate, circa qualcosa da offrire pur avendo sofferto, e non importa se di piccolo o di grande.
Il poeta si rende immagine, sapendo di non riuscire a riflettere, bensì d’essere bersagliato da occhiate languide ma prossime all’indifferenza, pur essendoci una bevuta da dividere, senza un futuro da incorniciare.
Perciò ti distendi con troppa difficoltà, per rifiorire e appassire piano, insistendo a seguire il proprio volere; e non v’è cura, perché bisogna assolutamente emozionarsi, esserne all’altezza per poi distribuire amore, e conquistarne le prede.
Essere convincenti significa scegliere quale passione intraprendere, guardando al di fuori, assistendo a coperture artificiali per strumenti a percussione più che utilizzati, con l’olfatto catturato da percorsi urbani; magari inghiottiti dal maltempo risaltato da un fluido aggressivo, illusorio.
Il distinguo dai maestri elementari, sott’accusa, per mentalità decorate con candore, autolesionistiche, lo si ricava sensibilizzando in veste tossica, puntando altrove con la capacità di risparmiarsi, bestiale, che risuona al margine della lucidità, nelle tenebre, invitante perché si è solo, ragionevolmente, curiosi (“E voi, professori della vita, sedete al tavolo degli imputati, cervelli ornati di gelsomini bianchi picchieranno con martelli sé stessi… E tu, poeta dell’assenzio, che tendi e ululi silenzi alla luna, come armoniche bottiglie vuote di notte, riempi il calice vuoto del mio intelletto”).
Includendo senza poter imparare, oppressi dai complessi d’inferiorità, il significato della parola volge all’armonia, brilla la faciloneria carnale nel suo cammino al buio, dovendo sparare alla stella fissata, con la speranza sempre più indurita per far passare il dolore.
Il corto circuito avviene scambiandosi le anime, immaginando di smettere di parlare, corteggiati da un cielo sereno ma elevati alle melodie di un discorso nuovo, abbandonato in un tempo attuale, per cogliere prospettive.
L’illusione commuove, dolorosa, ti arresta fino a sanguinare, a un’accezione di sorte inconsciamente nutrita, con la libertà d’esprimersi da studiare ancora, per essere travolti da misteri che insorgono, sentimentali, in una forma d’investimento suggellata.
Le vette del poeta, appena possedute ripresentano il conto dell’attrazione fisica, perforante.
Una veste sottile cela l’esistenza da mantenere forte, i dubbi in un’inquadratura superflua, il distacco da storie, virtuosismi e oggetti diversi; da riunire amorevolmente.
Lievi sussurri d’amanti rigenerano un percorso propositivo, con la ferocia per avvertire la coscienza.
La chimica te la porti affianco, inconcludente, dato un caro, impellente prurito, fin troppo giusto per venirne a capo.
La forza di donare sta tutta nelle origini terrene di un uomo imperturbabile, che si scioglie negli abissi di un’esistenza parentale; ed è come se un arbusto essiccandosi sprigionasse l’essenza della condivisione più sofferta.
Provando a masticare l’indole diversiva del poeta, si gusta la felicità di colui che si emoziona, infinitamente vulnerabile nella pelle delicata, per desiderio dell’altra metà.
Quello che s’acquisisce lo si deve ancora ottenere, con una concretezza che si profila in maniera andante, conseguendo a un estro creativo, impegnato coraggiosamente, per sentirsi bene, sicuri.
La dipendenza dalle pretese di un superiore, per trasparire nuovamente con la dannata ragione da illuminare, non smette d’impigrire; le aspettative intervallandosi impreziosiscono quanto accadrà.
Occorre saper tenere a bada le passioni, appartenere a questo principio di teoria senza darlo a vedere, al contatto che si rende paesaggio da ripianare con altrettanta sensibilità.
Le riflessioni si ottenebrano nelle ore piccole, come se rassegnati al fatto di non sincerarle alla luce del Sole, con la speranza che luccica, ultraterrena, a mo’ di strumento armonico, funzionale.
Le ferite del passato si acuiscono selvaggiamente, perché si era bambini elevati a una dote qual è quella di liberare le proprie volontà.
Il poeta cerca di possedere la sua vita purché avvincente; rappresentando la gente che sogna un obiettivo da raggiungere fissandoti negli occhi, che si alimenta con parole fondamentali.
Osservando il firmamento impari tanto: come perdere, giustappunto per riprendere a vivacizzare, cambiando così le prospettive; qualcosa che succede d’estate, quando l’agio si evolve in un irrefrenabile moto ondoso, romantico.
La natura è fertile rendendocene conto, distribuisce proprietà che ti apparterranno sempre, per accomodare la vita, improvvisamente…!
Richiedersi è un’impresa, e ti porgi con le debolezze strutturali di una stagione fredda, ti lasci circondare d’amici a riprova della comunicabilità che non fai altro che custodire intimamente, in loro assenza.
Pierpaolo vuole bene a chi gl’insegna come musicare, a un giovane normale all’apparenza; con quella delicatezza richiudibile in un organismo umano, ghiacciante, per esigere flebili sussulti, al fine di spostare l’attenzione dal nulla alle lezioni da seguire col profilo basso, con la sana paura di non farcela.
Per suonare piano, riaprendo gli occhi fantastici dinanzi alle tradizioni più appetitose, melodiose, nella pancia della gente; come se rapiti (ma senza essere ingannati) da un’eterna sostanza stupefacente.
*"Un ringraziamento speciale all'editore, Niccolò Carosi, che da sempre ha creduto nelle potenzialità dell'autore, dandogli un'occasione per esporsi, come poche, viste le difficoltà di questi tempi".
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VINCENZO CALO'
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