Francesco Terrone è nato a Mercato San Severino (SA); è autore di numerose raccolte di poesia.
Amalia, la raccolta di poesie del Nostro, che prendiamo in considerazione in questa sede, presenta una prefazione di Marcello Teodonio esauriente e ricca di acribia intitolata Mongolfiera al vento. Il volume per la sua unitarietà formale, stilistica e contenutistica e anche per il fatto che non presenta scansioni, potrebbe essere letto come un poemetto. Come scrive il prefatore c’è un filo che lega le 61 poesie che compongono questa raccolta: il filo che collega il Titanic del primo componimento alla mongolfiera al vento dell’ultimo, da un naufragio alla leggerezza del volo. In un certo senso la raccolta potrebbe essere considerata un canzoniere amoroso nel rivolgersi stabilmente di composizione in composizione il poeta ad un tu femminile, presumibilmente l’amata, in modo trepido ed accorato che sottende l’eros, il pathos, le gioie e i dolori sottesi all’amore stesso e pare che il poeta ne sia conscio e scriva pure per migliorare la propria capacità d’amare. Cifra essenziale del libro pare essere una vena neolirica e neoromantica tout-court che a tratti sfiora l’elegia.
In un panorama poetico dei nostri giorni dove sono frequentissimi gli orfismi e gli sperimentalismi la poetica di Terrone esce a trecentosessanta gradi dai canoni consueti per la sua chiarezza e per il raggiungimento della linearità dell’incanto, poesia vera nella quale l’io-poetante chiede in maniera determinata e ansiosa all’amata di restituirgli il vero senso della vita nel corrispondere e ricambiare il suo sentimento fortissimo e struggente. Potrebbero apparire elementare la scrittura di questo autore che va controtendenza e l’amore è detto come categoria fondante non solo a livello della sua esperienza personale e soggettiva, come nella maggior parte dei casi, ma anche come sentimento in sé stesso, esperienza vissuta da ognuno di noi. Infatti scrive il poeta nel componimento Notti: /Cantono gli angeli/ nei cieli/ al nascere/ di un nuovo amore…/”. Immagine suggestiva che ricorda le parole di Goethe che ha scritto che gli dei si compiacciano per le coppie d’innamorati che si amano, nella concezione personale del poeta che in epoca romantica recuperava un ideale neoclassico. I versi, nella loro esemplare chiarezza e luminosità che sfiorano il prodigio, decollano con leggerezza sulla pagina e sono densi, compatti e icastici e fanno venire in mente i poeti classici greci e latini per la loro immediatezza e vaga bellezza nel loro essere raffinati e ben cesellati.
Anche il ricordo di momenti legati all’esperienza amorosa trapela nelle pagine e alcune immagini potrebbero essere considerate nerudiane come per esempio in Il colore nei miei occhi: Nei tuoi occhi vedo il colore degli aquiloni, / vedo la vita che corre verso il mare/ vedo la strada che si restringe e si allarga e profuma di rose/. Sempre in bilico tra gioia e dolore il poiein di Terrone che non affronta solo la tematica amorosa con pennellate aeree ed eleganti ma anche quella della solitudine, forse una solitudine a due. **
Raffaele Piazza
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