martedì 19 gennaio 2021

SAGGIO PER ANTONIO SPAGNUOLO


***Il comportamento della parola nella poetica del sempre di Antonio Spagnuolo***
a cura di Carmen De Stasio
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Nel solco dell’invalicabilità tra la vita e l’essere invisibile della morte, il poeta rilancia la parola come assunto di amore – passaggio meditativo oltre una concretezza irrigidita sul disfarsi della realtà conclamata nel giogo di illusione e disperazione, che pure traspare nell’irrequieta consapevolezza di un esistere oscillante tra i costrutti della memoria e la sensazione di esser parte di un percorso destinato a perdersi.
Malgrado la persistente imperturbabilità di un presente sotteso all’inganno e al tranello dell’illusione, la rielaborazione dei ricordi ci porta alla poesia che con Antonio Spagnuolo si fa promessa fertile di un’intelligenza che, riprendendo un’affermazione di B. Russell, induce l’ambiente a trasformarsi in continuità. Così nell’esistere del poeta affiora una parola che è comportamento e che non si maschera di narrazioni dissidenti, ma si attiene alla selezione di richiami perché diano forma alla visione cosciente di un esserci vero senza assunti solutori. L’obiettivo è sempre un richiamo di amore; un implicito richiamo etimologico che trova l’inizio là dove il poeta avverte il senso stringente di uno squilibrio procurato dallo strazio dell’assenza; non ultimo, è il passo che accompagna il figurarsi nella visione di un intorno contratto in una pavidità che ne disturba lo svolgimento fino ad annichilire in un non-rumore oscillante come non-vita (In questo mondo senza più timori, / lontano da ogni meraviglia, / vagamente inseguente ombre senza forma / senza costrutto, senza più filosofia, (-1) – scrive il poeta), oppure adagiato flebilmente in un campo visivo d’inganno impudente e per il quale la mancanza è segno inequivocabile di perdita. Una siffatta modalità non si contrae nel tempo; vieppiù, Spagnuolo ricrea nell’essenzialità del verso lo scatto del proiettarsi, di un comprendere rintracciabile sul versante totalmente opposto rispetto al facile appiattimento umorale, andando infine a dilatarsi in una territorialità combinatoria di elementi – o condizioni (La sciarada è negli anni, / ci scompone gli spazi / ad insidiare scenari.(-2), sarebbe opportuno dire – tra le quali incisiva è un’emozione tutt’altro che casuale. È quanto distingue la poetica progressiva del pensiero, dalla quale Spagnuolo trae il vigore della variazione e non potrebbe che essere così: se, talora, l’antropomorfico «introspettivo» tende a deteriorarsi per l’esattezza della propria assenza, il contrario avviene nel caso del poetare logico, in virtù del fatto che il poeta viva il suo tempo e il suo spazio portandoli a livello di vicenda (lo scorrere del verbo è destino / e tributo. -(3) – leggiamo con il poeta). Diversamente sarebbe inganno: in fondo, l’esserci della parola – in senso pienamente heideggeriano – prevede che il poeta viva completamente all’interno di quel che (af)ferma nella sua visuale, sicché all’intelaiatura attitudinale di queste parole – che hanno il giogo dell’edera, / strette ai rami, irrequiete al vento per ricordi, (…) che Lungo il tempo hanno un palpito delicato / inseguono il rumore della gente / che non conosce la soglia del cielo / e cede all’ombra dei frammenti -(4) – si lega il dire di un approfondimento che può soltanto provenire da studio (ricerca, cioè) per esserci-in-divenire, pertanto, e non già consacrarsi ad un’isolata, disorientata idolatria. Arriviamo quindi agli effetti combinatori intratestuali che animano la poesia di Spagnuolo, effetti il cui musicale accento sembra promanare nell’immediatezza dell’ordine del verso, là dove esso si delinea in una forma intima di dialogo senza filtri in grado di estendersi in una tale inattesa coralità da sfrondare qualsiasi incedere occasionale (Qualcosa modella la malia che hai abbandonato / e incanta la scrittura nel rigore di altre ombre (-5). In questo modo, alla stregua di un organismo di non separazione tra tutte le componenti (dalla struttura verbo-visuale alla struttura lessicale, fino agli spazi e le cose, immersi simultaneamente nella variabilità delle intonazioni pensative) l’azione stessa del poetare si conferma nella traduzione del motivo-significato portante nei nuclei tematici d’amore e d’esistenza, di memoria e di condizioni osservabili, tutti impressi nella sagoma del vertiginoso silenzio del presente (-6), senza alcun cedimento alla possibile dissoluzione (è lo stesso Spagnuolo a farsi portavoce dell’intensità tattile della poesia quando afferma: Il luogo della poesia è nel pensiero che vorticosamente illumina l’istante.-(7). Libero dalle intercapedini del fulmineo, quanto dall’ovattato melodico sfuggente, Spagnuolo elabora la complessa trama di un territorio analogico e, pertanto, mutevole, dove il dire-scrivere ha le caratteristiche di una narrativa che nel neo-morfico paesaggio partecipa della pienezza diatopica del ricordo (germogliando alfabeti per l’inattesa assenza, / per non dimenticare la nebulosa dei tuoi gesti,-(8) pur tra le strettoie e le inclinazioni di un presente pericolante, ma pur esso efficace e illuminante (giacché, riprendendo T. S. Eliot, l’oscurità decreta la gloria della luce-(9). In questo spazio di riconversione – amplificato da ascendenze memorabili e appuntato da affidamento semantico e formale – si approda all’essenzialità di una pronuncia autentica e pienamente rigenerativa (Vorrei che la penombra diradasse il mio dubbio / nel nuovo inganno della seduzione, / rabbia e fantasia delle occasioni mancate.- (10): assorto a sfuggire alle conclusioni affrettate della breve scala cromatica che noi percepiamo, (…)-(11) – come scriveva G. Piazza poco più di cento anni fa – e agendo quindi sia sul fronte esterno della modalità interattiva e intramodale (plastica), che, simultaneamente, sul fronte interno (le emozioni), il linguaggio di Spagnuolo si staglia in una forma di tipo esometrico, ovverosia, esistente nell’interezza immaginale di un organismo vivente in grado di traslare l’uso creativo della ragione nell’azione poetica con una sensibilità che trascende l’ordinario, malgrado alla struttura ordinaria si leghi in virtù di un vocabolario condiviso, per poi combinarsi in un’amplificazione multisensoriale e, di fatto, di natura epistemica (e che rammenta da vicino il significato dell’essere attraverso l’esplorazione come indagato da H. Bergson: Non ci sarà nulla di nuovo nelle nostre azioni se non grazie a ciò che di ripetitivo avremo trovato nelle cose -(12). Da qui la sensazione che il verso di Spagnuolo riesca a realizzare l’assonanza dittologica di una narrazione fatta di impronte che infine legano il verso singolo del sentire a una vasta scena di radiale investitura. Si consideri i versi di «Azzurri»: qui l’assonanza interna al tensivo ordine fertilizza il dire moltiplicandone la traiettoria nella vitalità ultra-temporale e scansando da sé qualsiasi artificio che possa intorpidire tanto il segno, che il pensante rinnovato (Là dove c’erano glicini o soltanto / segni di una possibile scomparsa, / compaiono le orme delle nostre scansioni, / compaiono i giorni del giardino / che ripete il mio gesto.- (13). Poiché Agire su qualcosa significa, in qualche modo, entrarvi dentro -(14) – concordiamo con W. James –, anziché di forzatura rispetto all’ovvietà figurale, andiamo a scoprire la modalità che permette al coinvolgimento tissutale di aderire deitticamente al quadro della complessità non soltanto riportando in superficie le impronte delle quali ho riferito, ma pure attraversando la reinvenzione ipotattica di un linguaggio poetico pensante e nella quale reinvenzione la riflessione e la vastità dell’esperienza individuale convergono senza cristallizzarsi nella morsa della dispersione. Così la parola sarà non semplicemente segno e né tantomeno simbolo, ma agirà quale metatesto di suoni e di suoni nelle impronte (L’arteria batte il tempo irrequieto / in questa solitudine perfettamente incisa / nel ricordo e nei segni, che permangono ancora -(15).
Siffatta estensione porta a riflettere sull’interezza compositiva di una fisicità che, nell’accompagnare la visuale concepita nelle sue intonazioni, suggella altresì fotogrammi del sentire di memoria nell’armonizzare il ritorno / anche se il tempo scade senza scampo -(16), senza, tuttavia, sollecitarne la dualità oppositiva: è questa una scelta che mette al centro della poetica di Spagnuolo l’amore nella dimensione mitica, una dimensione che dissolve l’assenza e pone l’articolazione delle parole al di là di un realismo atteso, così aderendo ad una cromia che, sconfiggendo la vaporosità del ricordare, quanto il cerchio accecante di rabbia scoscesa e incompresa nel tumulto solitario della voce, si manifesta in un comportamento che, del tutto declinato a creazione di sensazioni visive, lascia libero il sentiero dei pensieri e consente al tratto mitico di sfondare le asperità di un presente tormentato e dove la memoria si stringe nell’amalgama semiotico delle attuali visioni in tenebra (…) tra le figure / sbiadite dell’infinto splendore del niente -(17). Oltretutto, con consapevole intraprendenza le percorrenze immaginali attraversano quanto è noto e lo recuperano affinché il poeta forgi le assenze in una vastità di rappresentazioni, procedendo dallo spazio intimo a uno spazio che sceglie di adagiarsi nell’unicità, là dove la potenza immaginativa della memoria (memoria del trascorso coniugata con la memoria visiva dell’attuale momento in una propensione che non prevede scarti) supera gli squarci localizzati del paesaggio e tinge questo di un’universalità per mietere, infine, la folla di rifrazioni che un tempo assai distante – e consegnato all’attivismo del presente senza supposizioni – diviene tangibile molteplicità di significato. Non è, dunque, obiettivo la parola convincente, adeguata, quanto la duttilità della parola, che esiste in virtù del forte legame con altre parole e così, nell’impossibilità di inventarne di nuove – al pari di come a suo tempo aveva compiuto V. Woolf – Spagnuolo inventa un ordine che consegna le parole in un significato che è sintesi di molteplici significati e in una realtà composta da molteplici realtà. In questi termini, l’ordine reinventato dal poeta rimanda esattamente alla vitalità di un particolare modo di elaborare i «contesti» delle parole affinché da esse non si distraggano quelle impronte «fatte» in grado di dar vita all’equilibrio cromatico di un vedere senza contrapposizioni (L’assurdo poema dell’illogico sognare / ha raffiche di vento, dal profondo sospetto / del nulla, che il ventre apre al sussurro. / Smisurata presenza quella sfida violenta / che incatena l’ultimo precipizio / agli assalti dell’eterno.(18).
Decisivo per la parola-avvenimento è altresì il tempo poetico di Spagnuolo, un tempo che interviene ad elevare l’amore a neomorfico territorio mitopoietico, dove il sentire pregnante forgia un privatissimo processo di esplorazione, ma anche di corrispondenza tra caratteri visivo-tissutali al fine di ricomporre un’azione che non lasci nulla in ombra, sebbene all’ombra talora il poeta si riferisca con l’intento a scrutare le trame incrostate e fatiscenti di un presente che nella visuale abbraccia il declivio di una prorompenza dissuasiva, dove insiste (…) un domani già ieri tormentato dal dubbio19. L’esistente e l’esistito vengono così a ricomporsi, non già all’interno di un’icona paralizzata (che soltanto rimarcherebbe la presunzione di imitatio nel momento prima della grave perdita), tutt’altro: l’esistente e l’esistito si sottraggono all’evaporazione nel movimento assai ritmato – ora lento e assorto, ora prominente e aspro – di un vivere-scrivere comprensivo del dilemma oltre i limiti di una rigida formalizzazione, quant’anche da una diegesi regolamentata per traduzione nel disegno sbiadito di quella stessa realtà attuale, dalla quale la parola-ambiente del poeta estirpa qualsiasi insinuante abitudine al pleonastico mascheramento; in più, ponderata e a misura di quanto sia in particolare velocità, essa congiunge l’evanescente e la concretezza del dolore in un livello che è superiore poiché non si lascia affatto alterare da alcuna trappola che ritenga l’imponderabile nella geometria eroica del rimpianto. È da questo scenario che si ravvisa il modo in cui il significativo enjambement non solo si attivi all’interno del nucleo poetico (e che rinvia, per certi aspetti, al sonetto shakespeariano), ma si dilati in una continuità argomentativo-narrativa che nell’unire ciascuna poesia viepiù formuli uno scenario di incessante scoperta e che conduce a ritenere la poesia di Spagnuolo nell’evidenza di un’autonomia assai innovativa; per il fatto di essere sinonimo di costruttiva territorialità nei complessi rapporti che richiamano in tal senso la ritualità di un pensiero che (…) Improvviso smaglia il nostro durare, / tra i polsi e gli specchi, anche stupore / di lontane credenze, di armonie / che hanno dissolvenze senza presagi, / immersi come siamo nell’inquietudine / di giorni sempre eguali. (…)20. Ed è una ritualità che, vediamo, pone nella giusta luce anche le forme del paesaggio esistenziale e naturale nel quale il poeta ricompone gli intermezzi concedendo alla vita e alla morte, all’amore come atto di continuità e alla morte come impraticabile sconnesso di conclusione, il riverbero di una tanto semantica che semica, quanto fortemente intrisa di un’effettiva cromia capace di consolidare l’ergonomia artistica della poesia di Spagnuolo nel continuo accedere alla richiesta di sapere ed esplorare quel che vive nell’occhio perché nel significante visuale l’accadimento poetico risulti di rilucenza totale. Nei secoli, la poesia d’amore osa dirigersi su più versanti narrativi, uno dei quali è il versante compiutamente destinato ad accogliere la molteplicità non soltanto delle idee che pure nel tessere il verso d’amore incontra lo spazio vasto delle intuizioni quale incessante scaturigine per la successiva e pure intra-modale struttura a piani convergenti, senza che questi vengano contraffatti dalla rigidità delle sovrapposizioni essenzialmente ego-riferibili ed edonistiche. Un siffatto assetto comporta una lettura interpretativa all’interno della materia generata dalla poesia ed esige il concepimento di una fisicità tutt’altro che contemplativa, , assorta a investire con attitudine di tipo flâneur le minimalità che assurgono dalle vestigia creative dei ricordi distanti ma anche prossimi a suggello di una parola che, pertanto, è sì mediana dei pensieri, ma che è essa stessa spazio d’indagine e luogo di co-azione. È il versante di quelle gallerie della mente21 dove si concentra la sonorità multiforme e variabile di trame riconducibili agli effetti delle complessità della parola pensante e di tal padronanza è il mezzo linguistico da non lasciarsi corrompere dalla frantumata realtà che si presenta impavida e, talora, sprezzante nelle sue manifestazioni. Come si sviluppa, dunque, la poesia di Spagnuolo se non attraverso una dicibilità in contraltare alla mimetizzazione con un atteggiamento che per sua parte riconquista l’esser vero, e che di contro alle visioni imperfette-22 e concluse in un’intimità periferica, riprende la semantica biografia (esattamente nella scomposizione del termine in quanto grafia vitale) di tempi individuali, di tratti di chiaro riferimento storico e di spazi rivissuti nelle intonazioni, nel privilegio di un’etica vocazionale tendente a ricomporre le rifrazioni di quel che in superficie pare atrofizzato in un’indecifrabilità aporica e tutt’altro che appagante (Ho paura per quelle sillabe perdute / tra i versi ancora incerti, che lasceranno una cifra / per comunicare astrazioni, o l’incognita / traccia di una soffice preghiera neicolori-23. Ed è, infatti, nell’onni-comprensibilità in continuo spostamento che incontriamo il carattere complessivamente dianoetico della narrazione poetica di Spagnuolo: nel mondo delle cose egli si ritrova non già inerme e sprovveduto o intento semplicemente a bloccare fotogrammi memoriali in un’erosione continua, tutt’altro: il suo impegno sintetizza una reciprocità maieutica quanto esegetica dell’Io partecipe del linguaggio, là dove si concilia la frequenza temporale con l’approssimazione fisica nel rapporto di costruzione, un rapporto crescente e, pertanto, dianoetico, quanto strutturante di una neo-morfica etimologia. Sicché nulla sfugge alla reciprocità che nel suono piano distingue le tensioni che animano tanto la struttura del verso che la struttura dei sensi nell’intensità talora inafferrabile di simbiosi eteroclita quanto duttile e che nella composizione visuale si protrae prendendo la forma dell’orientamento meta-espressivo del poeta, un orientamento che, infine, sovverte l’«oramai» per diffondersi in un congiungimento nel quale vediamo prospettarsi con garbo e onestà di pensiero la poetica del sempre. *
1 A. Spagnuolo, La tua poesia da «Poesie», SEN, Napoli 1974 in LETTERA in VERSI Newsletter di poesia di BombaCarta n. 72 Dicembre 2019 - Numero dedicato a ANTONIO SPAGNUOLO, p. 17
2 A. Spagnuolo, 43, da «Rapinando alfabeti», L’assedio della poesia, Napoli 2001, in LETTERA in VERSI, ibi, p. 22
3 Ibi, p. 21
4 A. Spagnuolo, Parole, da «Canzoniere dell’assenza» ed. Kairòs, Napoli, 2018, in LETTERA in VERSI, op. cit. p. 24
5 A. Spagnuolo, Smerigli, Ibi, p. 25
6 Ibi
7 Cfr. intervista a cura di Liliana Porro Andriuoli al poeta A. Spagnuolo, in LETTERA in VERSI, op. cit., p. 36
8 A. Spagnuolo, Smerigli, da «Canzoniere dell’assenza», op. cit., p. 25
9 T. S. Eliot, Murder in the Cathedral (1935), Faber & Faber, London, 1968, p. 92
10 A. Spagnuolo, Inganno, da «Canzoniere dell’assenza», op. cit., pp. 23 – 24
11 G. Piazza, Viaggio dentro una stanza con un cieco in «La Scena Illustrata» n. VII, I Aprile 1913, p. 9
12 H. Bergson, Il possibile e il reale, (1930), Albo Versorio, br />Milano, 2014, p. 17
13 A. Spagnuolo, Azzurri, da «Istanti o Frenesie», Puntoacapo Ed., Pasturana (Al), 2019, in LETTERA in VERSI, op. cit., p. 26
14 W. James, Bergson e la sua critica all’intellettualismo (1908), in «Durata reale e flusso di coscienza – Lettere e altri scritti (1902 – 1939)» - H. Bergson e W. James (a cura di R. Ronchi), Cortina, Milano, 2014, p. 131--
-15 A. Spagnuolo, Inquietudine, da «Polveri nell’ombra», Oedipus, 2019, in LETTERA in VERSI, op. cit., pp. 30 – 31
16 A. Spagnuolo, Il tempo, da «Istanti o Frenesie», in LETTERA in VERSI, op. cit., p. 28
17 A. Spagnuolo, La mia furia, da «Polveri nell’ombra», ibi, p. 33
18 A. Spagnuolo, Sussurro, ibi, p. 31
19 A. Spagnuolo, Armonie, da «Inediti», in LETTERA in VERSI, op. cit., p. 35
20 A. Spagnuolo, Pergamene, da «Istanti o Frenesie», in LETTERA in VERSI, op. cit., p. 29
21 A. Spagnuolo, 16, da «Rapinando alfabeti», in LETTERA IN VERSI, op. cit., p. 20
22 A. Spagnuolo, Vertigini, da «Canzoniere dell’assenza», ibi, p. 23
23 A. Spagnuolo, Incertezze, ibi, p. 25

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