Francesca Lo Bue – I canti del pilota-- Società Editrice Dante Alighieri- Roma – 2019 – pag. 139 - € 16,00
Francesca Lo Bue è nata a Lercara Friddi (PA); ha curato diversi studi letterari sia in italiano che in lingua spagnola; ha pubblicato una raccolta di poesie in lingua spagnola, 2009 e il romanzo di viaggio Pedro Marciano, 2009 oltre alle raccolte di poesia Il libro errante e Moiras.
Pizia nella mitologia greca era la sacerdotessa che a Delfi recitava i responsi dell’oracolo Apollo Pizio figura alla quale era prescritta la verginità.
Non a caso l’introduzione dell’autrice a "I canti del pilota" è intitolata "Pizia ovvero della metafora poetica".
Da quanto suddetto si è portati a ritenere che l’autrice de I canti del pilota creda nella poesia anche come forza della parola per veicolare un messaggio oracolare, quasi una preghiera del poeta definito veggente da Rimbaud.
La fede nella parola poetica affidata ai versi è del resto incontrovertibile perché è dimostrato che la pratica della versificazione poetica dà al poeta stesso il dono di una fusione tra conscio e inconscio, tra la sfera psichica e quella fisica quando il canto stesso diviene salutare per dirla con Mario Luzi.
Perché I canti del poeta? Se secondo il detto latino di Appio Claudio del quarto secolo A.C. ognuno è artefice del proprio destino, qui il poeta – pilota è simbolicamente quello che fa andare avanti la navicella della propria vita come una imbarcazione nel mare, un essere umano, uomo o donna al timone della vita stessa che è una e i suoi canti, le sue poesie non sono altro che i suoi mantra segreti, il negativo fotografico della sua vita stessa, canti che l’aiutano ad affrontare il mare magnum dell’esistere quotidiano che è tutto tranne che poesia.
La raccolta non è scandita e di ogni singolo componimento è riportata a fronte la traduzione in spagnolo.
Il libro per la sua compattezza formale e contenutistica potrebbe essere considerato un poemetto.
Il primo dato che si evince dalla lettura dei testi è quello di un atteggiamento ottimistico della poetessa nei confronti della realtà insolito in un panorama di poeti che tendono al nichilismo o al pessimismo cosmico e sono in tanti quelli che dicono con urgenza del dolore dell’esserci nel mondo senza che questo pregiudichi i loro risultati che possono essere alti se gli autori sublimano l’angustia senza mai gemersi addosso.
Invece la Lo Bue è capace di vedere attraverso i suoi tessuti linguistici alti, ben cesellati e raffinati il fenomeno vita come degno di essere volentieri vissuto proprio per la sua capacità di sapersi meravigliare di fronte al mondo e conseguentemente di sapere abitare poeticamente la terra.
C’è anche spesso un riferimento alla fisicità quando il corpo diviene cogitante come quando l’autrice si esprime con versi come nel mio petto c’è un cuneo di ferro, cuneo che potrebbe essere per la poeta per il suo essere di ferro il correlativo oggettivo di quella saldezza della sua persona di cui sopra si diceva.
Cifra distintiva della poetica di Francesca pare essere quella di una vena neolirica tout-court che s’invera attraverso stringhe di parole rarefatte, luminose, leggere e icastiche.
Anche una connotazione mistica è presente nel volume quando è affermato che si vorrebbero rivivere i capitoli del Libro Assoluto e viene detta la potenza della parola e delle parole aride del deserto con cui giungere alla casa che è una: la parola per eccellenza è il Cristo, Verbo che si è fatto carne.
Con uno stile elegante l’autrice si riconferma come una delle voci più alte del nostro panorama per un ordine del discorso che restituisce il vissuto con una forte densità metaforica, semantica e sinestesica che crea una vaga e stabile bellezza.
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Raffaele Piazza
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