sabato 16 marzo 2024

SEGNALAZIONE VOLUMI = ANTONIO SPAGNUOLO


** Antonio Spagnuolo: "FUTILI ARPEGGI" - Ed. La valle del tempo 2024 - pag.120 - € 14,00 - con un saggio critico di Carlo Di Lieto
" Antonio Spagnuolo, il Poeta della Delicatezza"
La prima cosa che balza agli occhi, di questa preziosa silloge poetica, è la musicalità, il ritmo, spessissimo resi con il verso principe della Poesia Italiana: l’endecasillabo, che è anche il verso che più si adatta all’ampiezza dell’emissione vocale dell’uomo. Poi c’è la presenza dell’inconscio, del subconscio, del subliminale, permeati da un’armonia soave che si lascia prendere come un cucciolo al ritorno del suo amico umano; certo è difficile, ma se si superano le difficoltà dello scenario, essa si concede tutta al possesso del poeta.
Affiora nei paesaggi il mare, appena aggrinzito da un venticello che provoca, ammicca, pronto a concedersi a colui che con intelligenza d’intuito si sappia adeguare alla sua misura, per poi lasciarsi condurre alla coscienza; lo stesso venticello che ritroviamo negli accenni di un cielo non dissimile dal mare; uniche condizioni su entrambi: un lettore attento e consapevole.
È uno scenario teso all’apparizione, all’emersione, al lampo dello spirito indirizzato all’Oltre.
Il poeta, pur riscontrandolo, non si cura del tempo, inteso fisicamente, cioè secondo la comune tabella di: passato, presente e futuro, ma come percezione di una massa anonima, che si porge a chi tenta di carpirne il perché e il fine. Mi spiego meglio (e per questo mi perdonerete), citando un mio verso, sulla stessa lunghezza d’onda del poeta partenopeo: “…sogno nascente / in magma di pensiero.”
Leggendo, si scopre in Antonio la presenza di un orecchio attento e fortemente musicale, perché la Poesia è Musica, prima ancora di essere immagini, figure retoriche e metalinguaggio. Sono gli artifici letterari che la favoriscono?
Aggirando la domanda, per avvicinarmi ad una probabile risposta, dico che ciò spiegherebbe le oggettive impossibilità di tradurre in altra lingua, con adesione al 100%, di un poeta straniero. Il poeta si affida ad una sorta di alterazione della comune logica, per entrare nel subconscio, unico vero custode del passato e che, senza di esso, si avrebbe un anonimo presente ed un insignificante futuro. Come non percepire il piacere, anche omofono, di Antonio Spagnuolo in questo verso: “nel tepore della malinconia”? Spetta ad essa il compito di accompagnarlo nel suo viaggio ultra-umano, non dissimilmente da Virgilio per Dante, poiché la nudità della realtà si mostrerebbe vuota di significati trascendenti. Ci vuole il Sogno per scardinare la grettezza della presente realtà sociale, riportando la visione di una natura (anche spirituale) meravigliosa, come sarebbe senza la contaminazione attuale.
Ecco, tale è il compito del poeta; a lui la capacità di penetrare (e rendere all’onesto lettore) il tutto, che per essere compreso pretende un’attenzione ed un impegno simili a quelli di chi scrive nella ricerca della verità. Spagnuolo ha la sua bella ed armonica tavolozza ove intinge i pennelli dei versi per trascriverli sulla tela/pagina. Sa che “il tempo avanza rapido oltre la porta” del suo subconscio. Perciò egli lo irretisce e blandisce con le parole, delicatamente piegandolo al proprio desiderio di sapere, per sé e per coloro che non hanno la fortuna di saper fare versi. Così, come detto in precedenza, il mare e il cielo hanno gli stessi connotati, perché egli non insegue il comune significato rilasciato dal vocabolario, ma li trasforma in impulsi per scoprire la realtà che, come dice Montale nella poesia “Ho sceso, dandoti il braccio, almeno un milione di scale”, non è quella che si vede.
La delicatezza di Spagnuolo rifugge dalla violenza dei colori accesi, predilige le tenui trasparenze “dell’acquarello”, che redige in simboli capaci di rappresentare i concetti. Nonostante egli sappia i limiti e le amarezze che hanno segnato e segnano il nostro commino terreno, con il medesimo entusiasmo della gioventù, è capace di creare ed inseguire le favole alate che lo porteranno al sogno, e nessun acciacco o amarezza potrà mai lesionare. Esso sogno gli restituisce “dolce il ciglio dell’amata con il colore / della primavera”. Dovrei citare tutta la stupenda poesia “Fusioni di guerra” (pag. 15) per quella capacità onirica e agitativa che Antonio consegna al suo reportage, prezioso e suggestivo. Ma sempre con una finezza di fondo che si lascia scandagliare dal nostro io, pienamente convinto. Altra bella presenza in tante sue poesie ed è il suadente e raffinato erotismo che innalza il sapore del contatto “trasmutando la carne al tepore / delle alchimie”. Notate, Spagnuolo non urla il fuoco della passione, ma bisbiglia il tepore dell’unione. Infatti suggerisce il suo grado di lettura: è “Meglio ancora afferrare il suono / che fluttua fra gli occhi come vela”. Qui spinge un po’ la delicatezza usata altrove, suggerendo un vocabolo più deciso: “afferrare”.
Anche la religione è presente in lui quando scrive: “…Cristo stravolge la parola / per trasformare il futuro…” perché non sempre si riesce ad “allontanare provvide smemoratezze”. Nelle righe esprime un suo desiderio: “Qui vorrei che mi abbandonasse un Dio / nel guscio dei miei sentimenti”, perché la crudeltà, non della vita, ma degli uomini, è meglio affrontarla armati di corazza. Ci sarebbe tanto da dire sul suo convincente discorso che penetra nel cuore e nella mente fatto Arte Poetica, ma mi trattengo, non prima però di confessare che i suoi Futili arpeggi non sono né futili né semplici arpeggi, ma un crescendo di armonie che diventano Concerto del creato, nella pienezza della sua completa strumentazione.
La modestia è dote dei Grandi.
Mi complimento pure per la vena creativa, fresca ed originale, che dimostra come il cuore non invecchi mai. E che, per dirla con il Mario Luzi della poesia Diana, risveglio: “…tu ilare accorri e contraddici / in un punto la morte”.
Tanto di cappello, dunque, per questa nuova raccolta di Spagnuolo, che conferma ciò in cui io credo fermamente, e cioè che i versi debbano essere musica intrisa di parole.
Nella poesia Eppure (pag. 24), con una serie di distici, il poeta descrive la sua esistenza; sono versi studiati e precisi come il tiro con l’arco di un campione olimpico. Brillano, in uno stupore drammatico, due endecasillabi: “Eppure era soltanto l’altro ieri / che mi donasti un ultimo sorriso”. Nel dramma della scomparsa, vagola la delicatezza del sorriso di Chi parte verso chi rimane; un sorriso che arresta ogni cosa e stronca ogni forza.
Ma non è tutto concluso; il compito del poeta spinge il Nostro a tornare alla penna, onde narrare la restante sua esistenza in una suadente, ammirevole, stupenda volontà di scrivere, per lasciare qualcosa di sé ed onorare i talenti che alla nascita gli sono stati assegnati. Bellissimo è lo sviluppo della citata poesia, ove domina la ripetizione a distanza, ossia la figura retorica dell’Enumerazione, per l’incalzare delle parole in posizione non anaforica. Prima di congedarmi dal Poeta, mi è d’obbligo e di piacere la citazione dell’altrove pure presente nel registro di Antonio Spagnuolo, ed è “un alito sfiorato, / inquieto nella ricerca di un sussurro / che anela ad una sorta di abbandono”. C’è nelle sue pagine una sequela di endecasillabi che, come diamanti in un castone tutto d’oro, spiccano per evidente bellezza; alcuni dei quali li cito appresso, e si fissano nella mente appagata di chi legge. E sono:
-“Affondo nell’eterno ad occhi chiusi”,
-“…così cala il tumulto alla deriva / scivolando nell’eco di un richiamo”,
-“…verso la mia tarantola, incompiuta, / alle rare inquietudini di carne”,
-“Ormai la gioventù quasi scompare / nel molle desiderio, come stoppia…”
-“…vertigine di foglie ormai ingiallite”,
-“ Era il Calvario l’ultimo rifugio / dove il legno, confuso alle preghiere, / ha il segno della Croce”,
-“Mordono la schiena le parole / che sembrano lampeggi d’infinito”,
-“…nel perfido congegno delle stelle”.
Ecc. ecc.
Sono versi, degni di un futuro, che lasciano, in chi legge, l’appagamento di una soluzione.
Quale?
Quella che attende dentro di noi, docile e bellicosa, libera e prigioniera, musicale e muta, trasparente e colorata; aspetta nel subconscio per condurci all’Altrove. Questa è la delicatezza di un poeta che ha sofferto, che ha saputo soffrire e soffre, con dignità e capacità di raffrenamento in grado di non scaricare il dolore sul lettore, che invece, nota, in lui, una grande umanità fatta Arte. Quella poetica.
In conclusione, Futili arpeggi è un libro che vale la pena avere in evidenza nella nostra libreria, per rileggere ogni tanto qualche verso che ci rinfranchi e ci spinga ad andare avanti, convinti che tutto sia scritto, ma che tutto possa cambiare, nella speranza antica di una Guida, di un “filo da disbrogliare che finalmente ci metta / nel mezzo di una verità”. Questo scriveva Montale nella sua basilare poesia I limoni.
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Getulio Baldazzi
Lanuvio 14/3/2024

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