giovedì 19 aprile 2012

Interventi = Luciana Vasile

PER PAOLO RUFFILLI ---
Ecco, ho qui accanto a me “Affari di cuore” di Paolo Ruffilli.
Ieri mattina, durante i miei giri, sono passata davanti alla libreria Feltrinelli a Roma in Piazza di Torre Argentina. Subito l'ho trovato e preso.
L'ho infilato, così piccolo e sottile, nella mia borsetta (è una porchette con tracolla).
Ci stava perfetto, comodo, a suo agio.
Cosa migliore che essere contenuto nell'angolo più riposto dell'Io? - nei sogni pare che la borsa della donna rappresenti lo spazio dove viene conservata la parte più interiore segreta e nascosta del subconscio, quella più vera e autentica -.
Bianco. Che come scelta è un colore, non un non colore, come erroneamente si potrebbe pensare. Solo i neri caratteri delle parole graffiano il candore della carta. A simboleggiare: qui si fa sul serio. Non ci sono intermediari. Entriamo senza indugi in argomento. Saranno solo le parole a suscitare suggestive immagini e tremori della pelle. L'ho lasciato con la sua placenta. Il foglio di plastica trasparente e aderente che tiene avvinte le pagine: i pensieri, l'amore e i suoi versi.
Quando, più tardi, la sera a letto lo avrei liberato, sarebbe esploso come una bolla di sapone con tutti i caleidoscopici colori, sapori, emozioni, sentimenti propri della passione che vi è descritta.

“Affari di cuore” mi ha rapita coinvolta schiacciata risucchiata, a volte ridotta lasciata a brandelli.
Il suo autore è il genio della poesia d’amore, della passione che travolge, dell’erotismo elegante ma che graffia e nutre la carne, della lotta che non è guerra, dei contrari e dei contrasti che si fondono nell’unica armonia di gioia e dolore possibile nelle nostre vite: l’Amore.
La musica di sottofondo, la sonorità e l’assonanza dei versi a volte ci culla, altre volte ci scuote fino a renderci aggressivi nei sensi.
Un modo così originale, tutto proprio di dirigere l’orchestra delle parole. Dalle più tenere e dolci, alle più crudeli e distruttive.
Nella singolarità e unicità è l’universale che viene accolto e raccolto. Una poesia superba per la sua bellezza da donare a tutti, per tutti, comunicabile in ogni dove della terra e del cielo e intorno alla quale ci si può solo unire, sentire il contatto della pelle e dell’anima. Quanto bisogno abbiamo di sentirci uniti, solo così, forse, migliori! Quando tutto, in questo inizio terzo millennio, nel sociale, nella politica, nella religione, nei mezzi di comunicazione… sembra regolato dalla distruzione e dall’odio che l’alimenta.
Poesia universale anche nello spazio e nel tempo. Ogni luogo è per l’amore. Ogni tempo lo vive. Dal tempo dell’orologio attraverso i secoli della storia dell’uomo, al tempo dell’Io. Dal tempo dell’esuberanza dei sensi della gioventù, alla più preziosa riflessiva profonda eroticità della maturità, dove il gusto del dare è desiderio pulsione che si traduce nella vera attenzione all’Altro. L’amore si moltiplica non resta imprigionato. Dall'Io al Tu ritorna al sé.
Fra le più belle poesie d’amore, erotiche, che abbia mai letto. Sì, so di non esagerare.
Io le parole le sperimento, le leggo su di me quando qualcuno sia riuscito a tatuarle sulla pelle e sulla mente. Cosa molto, molto difficile.
Quando, tolta la pellicola trasparente, il libro si è schiuso fra le mie mani, già alle prime liriche un ventaglio di emozioni mi ha pervaso.
E’ difficile raccontare questo, ma ci provo, sento di doverlo confessare fino in fondo senza rendermi conto se, per chi ha scritto, possa essere motivo di orgoglio o delusione: ho dovuto interrompermi. Non ce l’ho fatta ad andare avanti. Stavo male. Come una lacerazione dentro e fuori. Una ferita che sanguinava.
Nella mia vita di lettrice, attaccata da questa sofferenza impossibile da descrivere, c'è solo un precedente e nella narrativa. Anche lì ho dovuto chiudere il libro "Che sia tu per me il coltello" di David Grossman. C'è da non crederci, non sono più riuscita a riaprirlo.
Ma “Affari di cuore”, che ho dovuto far tacere nella silenziosa notte, complice il buio interrotto solo dalla piccola luce del lumetto sul comodino, ha sedimentato nei sogni. Poi la luce del giorno lo ha visto di nuovo riposto nella piccola borsa a tracolla, ora visibilmente gonfia d'amore.
Per non tenerlo troppo stretto dovevo dividerlo, solo così avrei potuto sopportare il languore e la suggestione che poteva altrimenti diventare già sperimentata sofferenza.
L'ho portato con me per la città, negli impegni del giorno, lui presente. Per aprirlo seduta sull'autobus, a un tavolino di un bar durante la colazione, appoggiata al muretto davanti al portone del cantiere vicino al Colosseo in attesa dell'idraulico e nel pomeriggio all'inaugurazione di una mostra di design organizzata dall'Ordine degli Architetti.
L'ho portato fra la gente, per contagiare me e l'ambiente, fargliene assaporare il profumo dell'innocenza o l'odore penetrante del mangiarsi a morsi, con la tentazione - ma sicuramente avverrà nei prossimi giorni - di leggerne dei passi a qualcuno: il vicino di seduta sull'autobus, l'draulico o il capo mastro, l'amico di una cena...
il viandante senza nome, tuttavia fratello nell'amore.
*
LUCIANA VASILE
(Roma 15 ottobre 2011)

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