< La sapienza verticale dell’attesa >
Fuochi di parole. Fantasmi accecanti, ribelli, sconosciuti. Suoni antichi e suoni nuovi che parlano una lingua insieme dolce e dura, amica e lontana. Ecco il mondo poetico narrato da Antonio Spagnuolo in una plaquette intitolata “Ultime chimere” (Edizioni L’Arca Felice, Salerno, 2008).
I testi della raccolta sembrano ricordarci l’illusione di voler “capire” in modo unidirezionale ciò che accade: l’occhio di Spagnuolo scruta il paesaggio dell’esistenza con una tenerezza melanconica e piegata, già consapevole della finale inanità di qualsiasi soluzione.
Il passaggio dal buio dell’attesa allo spiraglio della conoscenza s’insinua come un respiro inaspettato che annuncia immagini segrete e sorprendenti, colme di una speranza sempre nuova: «Ogni parola conosciuta/ sembra franare tra le mani irriverenti,/ e gli occhi svuotano le gabbie/ implorando armonie».
Eppure, nonostante l’improvvisa discesa di un dono rivelatore, il mondo osservato dal poeta resta sempre interamente soffocato dalla ferita dilatata di un infinito enigma: così le sue parole inseguono nervosamente i fatti con una passione invincibile e inclemente, nella cui feroce energia non è difficile avvertire la presenza di un dio trasversale, remoto, sotterraneo, moltiplicatore di infiniti e minacciosi specchi: parla, per il tramite di questo ansioso gioco, un dio sfuggente e ambiguo, pronto a svelare e a nascondere, pronto a dare e a cancellare.
È una poesia che ritrova il coraggio di liberare l’occhio dalla malattia della letteralizzazione dei dati della realtà, affrancando lo sguardo da una lettura “scientifica” (tecnica; utilitaristica) del mondo; ricuperando, infine, la mediazione salvifica del simbolo e del gioco, nell’ambigua aspettazione di un segno d’intesa attraversato da un «travaso di silenzi», come recita un altro stupito verso.
Una lingua fittissima e cangiante, quella di Antonio Spagnuolo, tesa continuamente a una rielaborazione magica e mercuriale degli eventi, felicemente spinta verso quell’assoluta sublimazione rigeneratrice che appare sempre nell’istante di un’estrema contemplazione.
MARIO FRESA --
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