domenica 26 maggio 2013

SEGNALAZIONE VOLUMI = NINNJ DI STEFANO BUSA'

NINNJ DI STEFANO BUSA' : " EROS E LA NUDITA'" - Edizioni Tracce - 2013 -

Ciò che sempre e da sempre mi colpisce, nella poesia di
Ninnj Di Stefano Busà, è la pregnante qualità del dettato,
il rigore fervido delle metafore, la saggezza magnanima e
dolente di cui investe e nutre – forse anche risana – ogni
suo lampeggiante scorcio lirico, ogni pur aspra, purgatoriale
balza poematica che, già a una prima lettura, s’irradiano
invece sensibili, benefici, si dichiarano insomma anche
nostri, potentemente fraterni e rispecchianti…
Dove le strade divergono c’è ancora
quella speranza che non s’arrende,
quel grido immenso di libertà
che la fatica del divenire sorprende.
La “fatica del divenire” – ecco – ma anche “quel grido
immenso di libertà”: concetti, emblemi gnomici, solo in
apparenza divergenti, macerati agli antipodi:
…la fiamma accesa, se l’inverno si affolta…
Affolta… Che squisita citazione montaliana (“s’affolta / il
tedio dell’inverno sulle case”…) nonché scelta verbale! Rara,
anticata, eppure già in abbraccio di fervidissimo, aggiornato
travaglio.
Nella lunga strada e soprattutto al bivio fra Il sogno e la
sua infinitezza (opera gemma del 2012), Ninnj conosce fin
troppo bene ogni lotta con l’angelo, ogni misura (e mistura)
del dolore… Tende, tenta, inforca l’ossìmoro come una
nuova Penelope paziente e nostalgica, l’arco obliato di
Ulisse – poesia come frastornata e imperterrita arma eroica,
angustiata d’immoto al presente quanto più sacro le pare, le
parve il passato:
…la nostra gioia è arsura…
Ma potremmo continuare con le sue inesauribili,
apotropaiche sentenze gnomiche (spesso anche gnostiche):
…l’afasia del sorriso…
…l’infinito esangue del pensiero…
…ogni gravità si riformula da sé…
…una passione che si vuole colorare…
Di questa “acerba sostanza che muove gli alfabeti”, Ninnj
è conscia e magistra, ambasciatrice preclara. I suoi libri ci
compartecipano sempre un talento che è anche, ripetiamo,
ricerca inesausta ed esaustiva, amicizia al maiuscolo del
Pensiero e del Tempo.Scelgo ora – della sua vastissima produzione – pochi titoli
ad exemplum, per suggellare non solo il denso rito espressivo
ma suffragare ancor più la costanza laica della sua fede, un’ars
dictandi affilata e nobilissima, che davvero non le concede
(e cui ella stessa non concede) tregua di sorta…
La parola profonda di pensiero
è grazia che mi salva, fremito
di chiglia che rifrange un’onda chiara.
Siamo Tra l’onda e la risacca (2007) di questa sua poesia che
è sempre, un po’ (ce lo confessa, in esergo, con vera e propria
dichiarazione di poetica), “una cattedrale per la sofferenza,
una condanna a vedere sempre l’azzurro di un cielo, attraverso
nubi e cataratte di temperie, pur nei grovigli di pena e sconforto,
o nel disagio che pure la domina e la stritola”…
Eppure non si tema malinconica o peggio mai intristita,
la cifra costante e piena della sua opera… Vi è sempre un
montaliano fantasma che ti salva (e che Ninnj battezza L’arto
fantasma, ottimo esito del 2005) per reclamare e convocare
una Vita di perdita-assenza che non è affatto, ben ci spiegava
Raboni, “desertificazione o estinzione”; e “interloquisce
nell’ordine degli eventi a una rara e impalpabile relatività di rango
che è la poesia".
Vite che fervono dove le anime rasentano
sterpaglie e condividono una loro esistenza
sotterranea gli insetti sotto le petraie.
Pur giunge la tremula gemma, a rimpinguare,
a rimestare la parola più lieve, ché un’oscura presenza
v’intorbida le radiche del fondo e vi balugina
qualche nuovo turgore, una plenitudine cangiante.

Ma torniamo all’ultima produzione della Di Stefano
Busà, perfettamente confortati dalla sua capacità strenua
e dolcissima di accordare talenti critici tra i più dissimili
ed esigenti: Giovanni Raboni, per l’appunto (“… è poesia
dal profondo. Vi è un’autentica vocazione che la determina
come un flusso magmatico”…); ma anche Marco Forti
(“s’interroga sulla materia cantabile, sull’unicità del concetto
di essere anima/corpo di un tutto drammaticamente
nudo”); Walter Mauro (“È la milizia terrena che combatte
la sua impietosa guerra contro la fuga del tempo”); o il più
giovane Francesco D’Episcopo (“ama trapassare e sorvolare
la terra per cogliere l’universalità”)… Tutti singolarmente
dediti ed adunati in variegato, convinto plauso.
*********
Il sogno e la sua infinitezza sembrava già un rilevante
punto d’arrivo per tornare illesa, ribadisce Ninnj, alla sua
“incandescenza, / alla distanza oscura della notte”.

Ma ecco ora questa nuovissima, breve e ispirata raccolta
– che quest’infinitezza e questo sogno li rimette in gioco,
in nome di un febbrile, rigemmante perché sempiterno
sguardo d’Amore…
Già il titolo, Eros e la nudità, ci rimanda come ad una
struggente, impennata dedica – ideale e concreta – al dio
che ci appassiona: deità da intendersi però, squisito e lenito
paradosso, anche quale suprema, inquieta e sorvolante
categoria dello spirito…
Sorso d’Eros.
dono d’occhi che accende le tenebre.
Nelle più vecchie teogonie, si sa, Eros è considerato come
un dio nato contemporaneamente alla Terra e fuoriuscito
direttamente dal Caos primitivo… Eros resterà sempre,
anche al tempo delle infiorescenze “alessandrine” della sua
leggenda, una forza fondamentale del mondo – primordiale
e raffinata all’unisono… Quell’Amore che assicura non
soltanto la continuità della specie, ma propriamente la
coesione interna del Cosmo…
Anche la Ninnj Di Stefano, sembra dedicare al destino e
alla forza rigenerante di cotale deità (Eros, attenzione, è
nato dall’unione di Poro – l’Espediente – e di Penia – la
Povertà – nel giardino degli dèi, dopo un grande festino al
quale erano state invitate tutte le divinità), la fantasia e il
rapimento come di un’antica leggenda milesia:
L’amore non è né comodo né facile,
ci arde solamente come scintilla vitale,
ci scorre tra le pieghe come istante perfetto
nell’arroganza di solitudini abissali.
Ninnj Di Stefano Busà insegue ora questi istanti perfettiSei al centro della carne, celebri il rito
dell’amore senza tempo né spazio:
come un fiore sbocci dall’oscurità.
*********
Da sempre Eros in qualità di dio dell’Amore presiede
all’essenza stessa della poesia… Giocando come a intervistare
oggi la Anna Achmatova di sempre, di se stessa e del proprio
mito appassionato (cioè a inventarsi delle attuali eppur
fedeli risposte “creative”), Maria Luisa Spaziani, in Donne
in poesia, fa discettare la grande poetessa russa proprio sul
massimo e usuale tema amoroso:
“Ma poi l’amore non è soltanto un fatto di natura. Lo
comprendiamo meglio in seguito, quando il paradiso è
lontano, quando l’intelligenza lo rielabora. L’amore può
essere una pianta selvaggia, ma per un poeta come me è
più probabile che sia un’orchidea rara; bisogna coltivarla,
nutrirla, difenderla dai venti, pensarla, farla durare a lungo,
il tempo che ci vuole per sentirne davvero il profumo, per
guardarla davvero in tutte le sue impercettibili sfumature,
in tutte le espressioni tenere e terribili che le presta la luce
quando ne fa scintillare il velluto rosa e violetto, lo stame
d’oro, quando tenta di penetrarne gli anfratti, di sondarne
le caverne”…
dalla memoria del suo passato fino al dono sognante del
proprio umano, ritemprato futuro. All’interno d’un tempo
senza tempo (quello vero della poesia) che chiede al suo e
certo anche nostro mito, la linfa e le radici delle stagioni più
belle e fulgide della giovinezza:
Fummo fragranza di terre lontane,
vento di passioni, mere effrazioni,
dentro corpi felici.
Era la giovinezza,
o l’onda del mare alterata dal vento
che inondava di spruzzi il nostro viso.
Ed ecco la sua vera, coraggiosa e sapiente modernità: esser
capace di rimare, assimilare le passioni alle effrazioni…
…dalla nostra carne sboccerà l’aurora… evocherà poco più
avanti, in una lirica che davvero volge al contemporaneo il
pudore e l’ardore di antiche classiche elegie…
Ovunque, in tutto il suo libro, Ella invoca dunque la carne,
il Corpo – e ovunque viceversa noi cogliamo, capiamo
altresì proprio il fiore in luce o il buio eroso dell’Anima…

Esattamente quello che fa – peritissimamente – la Ninnj Di
Stefano Busà con questo suo ultimo, ineffabile eppur profuso
Canzoniere… Sguardo continuo, inesorabile all’intima,
tenera luce fluente ondivaga; all’eterno impertinente
Contrasto d’Amore:
È tutto qui… questo il canto amorevole,
sorprende le alchimie senza tempo,
le piccole gioie che catturano i sensi.
Come uccelli di fuoco sorvoliamo il caos.
Nonché all’ombra e al buio suo esatto contrario, smarrimento
e certezza, bruniana coincidentia oppositorum,
enigma e sempre nuova motivazione:
Poi la nostalgia ci prende
e non si arrende al silenzio delle cose,
ai rami spogli, alle stagioni in corsa.
Bussola appunto tenera e terribile, ma a indicare una
stella polare che per fortuna perde sempre la rotta, e la
riassegna…

L’ora è breve, la carne solo una distanza
da colmare, un luogo da raggiungere
quando l’assenza cresce, e il poco è anestesia

che esclude le distanze,
e il fuoco è spento.
Una densa, trasfigurata ansia catulliana le getta in ombra
la breve luce… Ma poi – abissale, spasmodica vertigine
dall’antico al moderno – proprio quell’ansia (ansa) la
riporta a noi, le riassapora l’amaro miele di cui già poetò,
abbandonando per un po’ il romanzo, uno scrittore come
Gesualdo Bufalino, che solo da vecchio (altro sintomatico
paradosso amoroso) licenziò i suoi stessi, immemori e furtivi
versi di giovinezza…
Amore intelligente e selvatico, raro ma quotidiano –
fin troppo… Un paradiso dove l’intelligenza si aggira
inesplicabile, inquieta e irredenta…
Assente è la parola che sorregge il mondo,
si fa miele amaro sul labbro, se la sfiori.
*********
Più complesso il discorso “occidentale” sulla Nudità, che si
apre con la possente agnizione biblica della Genesi, 2, 25
(“Ora, ambedue erano nudi, l’uomo e la donna, ma non
provavano vergogna”), per poi in fondo complicarsi col
’900 e la sua fervida ma inesorabile scienza di Psiche… Otto
Rank, freudiano DOC, dedica al tempo un intero saggio
che scavalca ipoteche, rimozioni, inibizioni, pulsioni… per
esemplificare un grande, disvelante assunto di saggezza:
“…non ci proponiamo di cogliere l’utilizzazione cosciente
che viene fatta del tema della nudità nella leggenda e nella
poesia. L’intento è, piuttosto, di seguire le raffigurazioni
inconsce del motivo che trovano il loro modello nella
corrispondente situazione onirica e la contropartita nella
nevrosi”…
Sì, la poesia si è resa molto esperta nell’addomesticare, nel
domare i liberi destrieri dell’Amore. E da migliaia di anni
ogni lirica ricomincia da capo eppure prosegue come un
unico, stravolgente poema immenso e universale – cui ogni
nuovo poeta presta il suo contributo, aggiunge un verso o
un brano, uno sguardo, una carezza, un silenzio, un sussurro
e un singhiozzo, un sorriso indicibile fuori della poesia…
Ninnj tesse anche Lei quest’arazzo mitico, aggiunge un filo,
un colore, il suo unicamente e poi anche di tutti:
Dimmi, se sai, la luce che rischiaraEppure la distanza resta colmata, l’ora che è sempre troppo
breve riacquista, rimerita lunghissima luce. Quando il nudo
corpo è connubio d’anima, fiore che s’infrutta, complicità
consacrata dalla terra al cielo: “Accanto a te anche il silenzio
ha voce, / e invidia ciò che avviva i sensi”.
Poesia rispecchiante ed esplicata. Dove forse perfino questi
due endecasillabi saldano in trasparenza un solo, duplice
verso – un divino, coniugale duale accordato, umanato.
(Dicembre 2012)
i nostri corpi, il viaggio breve dei ritardi
e dei silenzi, la vita raccolta in una mano,
come un pugno di grano maturo,
del tempo che non lascia spessore
e nasconde il segreto fino all’ultimo iato.
--PLINIO PERILLI -


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