SEGNALAZIONE VOLUMI = ANTONIO SPAGNUOLO
ANTONIO SPAGNUOLO: "Il senso della possibilità"
Kairòs Edizioni. Napoli. 2013. Pp. 104 - € 14,00
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L’eterna diatriba fra la caducità del vivere, e il tentativo di sconfiggere la sua morsa
Opera compatta, organica, Il senso della possibilità, dove l’accento è posto su uno dei motivi di grande inquietudine emotivo-intellettiva del percorso umano. Anche se in questi versi è chiaro, come il più delle volte avviene per la buona poesia, che il dire lirico è frutto di un inconscio antecedente all’azione raziocinante. All’atto speculativo. Lo direi più categoria dello spirito, questo atto creativo. Ha un senso la possibilità? Esiste certamente la possibilità di fare e di agire per ottenere. Ed ha un senso. Ma se messa in relazione al nostro vivere? Alla continua diminuzione di noi e di ciò che siamo e di tutto quello che per noi è vita? Ha senso lottare quando la sconfitta è in partenza. Va bene, noi l’abbiamo vissuta questa possibilità, il suo senso l’abbiamo fatto nostro, l’abbiamo commisurato nella sua validità. E ne è valsa la pena. Abbiamo amato, abbiamo gioito, abbiamo sofferto, anche, ma, anche, sognato mondi irreali che nella nostra immaginazione si sono fatti alcove edeniche a rimpiazzare gli smacchi del nostro limite di essere umani. Fino a farcelo dimenticare, questo limite, magari, una volta presi dai piaceri, dalle vertigini edonistiche. Dalle complicità erotico-sentimentali dove abbiamo investito tutta la nostra passione, tutto il nostro esserci. Ma “Ogni piacere si muterà in rimpianto; tanto più grande il bene voluto, tanto più doloroso il distacco, il ricordo di tanto dato, di tanto avuto” (afferma il poeta). Come se la natura si volesse riappropriare di quello che ha elargito; volesse ricompensare il tutto: piacere e dolore, bene e amale, notte e giorno, Caino e Abele. Forse sta nell’armonia dei contrasti, nel dicotomico succedersi delle contrapposizioni il nerbo dell’umano procedere. Ma qui il discorso è più ampio, si allarga al fatto di esistere, alla portata del nostro vivere da terreni con la possibilità di risolvere il nostro dolore in una sublimazione che vada oltre. Ed è così che sbattiamo contro il perpetuo dilemma del confronto fra le nostre finitezze e la schiacciante, smisurata dimensione di un giorno senza fine. Ed è quel giorno a toglierci passo passo i nostri beni, quelli senza cui non possiamo stare. O, diciamo, possiamo sopravvivere, facendo del nostro cuore e della nostra memoria strumenti di recupero per dare energia convalidante a questo senso. Se poi è la donna che amiamo, se poi è la parte più importante della nostra storia, quella con cui abbiamo navigato, complici, mari a volte tempestosi, a volte lisci come l’olio a risplendere tramonti indelebili, ed orizzonti senza fine; se poi è questa parte di noi a lasciarci soli con le nostre memorie, certamente dare un senso alla possibilità di rinascere si fa cosa dura. Anche se il Nostro mai cade nel nichilismo o nel pessimismo più acerbo. Ed è qui forse la grandezza di questo poema. Cercare di rendere reale, pur con tutto il patema esistenziale della mancanza, quello che cova in seno: un gesto, una mossa, uno sguardo, un sorriso, seppur rubato. E c’è la possibilità di poter agire su ciò che si sfuma. Su ciò che è reale, magari, dentro noi, ma che immateriale, non dà appiglio a questa nostra propensione ad una complicità fisica. Abbiamo dentro noi, sì, dei grandi impulsi vitali, reattivi, delle grandi emozioni scatenate dalle sottrazioni del tempo; abbiamo realtà interiori tanto forti da farsi concrete: realtà dell’irreale. Se per irreale intendiamo tutto ciò che non possiamo vedere e toccare. Ma reale è anche quello che sentiamo. Una realtà distruttiva, a volte, o costruttiva, con effetti patologici di grande reazione compulsiva.
Quale il senso della possibilità, dunque? Della possibilità di dare vita a un mondo in cui l’essere si deve confrontare col tempo e col dolore; col tempo nemico, che ora dopo ora ci toglie quelle cose che reputavamo eterne, non facenti parte dell’idea del nulla, e che tali continuano ad essere, magari, nell’illusione di una presenza. E qui le due realtà: la materiale e la spirituale. E qui la ricerca della possibilità di rendere perpetua una storia unica, insostituibile. Anche con la poesia. È questo, forse, il mezzo più potente per dare un senso alla vita. L’eterna diatriba fra la caducità del vivere, e il tentativo di sconfiggere la sua morsa. E la memoria si fa attiva, robusta, ricca di ricariche, a prolungare, a amalgamare momenti con un non/tempo che si faccia perpetuamente presente. In questo dicotomico diluirsi di un’anima in versi, in questo abbandono tormentato o in questo slancio ad agguantare il verbo disposto a tanta generosità esplorativa, in tutte le acrobazie allusive che il Nostro tenta per dare un senso alla possibilità di vincere, sta l’equilibrio del poema di Spagnuolo. Ma nel tentativo di restare abbarbicato a ciò che non è più, e che realmente convive con il poeta, e di cui lo stesso si alimenta, s’insinua la coscienza di un Orizzonte fatto di luci mutevoli ed ingannevoli. Luci e contrasti di estrema fattura umana, di grande portata sensoriale; di un diacronico fieri da Giorno dopo giorno. Cose di ieri vive solo in seno, nel ricordo, ma che ricadono inesorabilmente in primo piano:
In te prendono forma le silenziose
delicatezze del glicine,
chi rimarrà a ripetere? (pp. 37).
È qui che scatta improvvisa la malinconia. Sì, quelle ombre quotidiane fanno parte della storia. Qui, gesti tanto presenti in animo richiamano altre stagioni a illuminare quelle ombre. Sì, convive il Nostro con la sua realtà interiore, e vive per dare un senso a questi ritorni e a questi richiami; per dare luce alla vita; e alla possibilità stessa di continuare a viverla con Elena, scalando, magari, i gradini di quella spiritualità complice di un sorriso che in terra può essere solo rubato:
Inseguo le tue ombre quotidiane
per rubarti un sorriso (pp. 84).
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NAZARIO PARDINI (20/06/2013)
1 Commenti:
Interessantissima recensionePresentazione su ciò che Ispira come Necessaità, anche se inconsapevole, per vivere,o sopravvivere,fra i dubbi e il trapassarli. Giacchè l'antimonia fra il percepire e il percepire con leggi che c'hanno condizionato se non addirittura esistere in simbiosi con loro,non è che la celebrazione dell'umano,dei suoi limiti,la sofferenza del caso o di quella che, infliggiamo a noi stessi per aver dato ascolto alla profonda disarmonia che ci sta attorno e,forse anche permetterle di far parte di noi. Mirka
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