giovedì 5 dicembre 2013

SEGNALAZIONE VOLUMI = MARINO PIAZZOLLA

MARINO PIAZZOLLA : –“ Esilio sull’Himalaya” - Fermenti Editrice – Roma – 2013 – pagg. 93 - € 11,00

Marino Piazzolla è nato in provincia di Foggia nel 1910. Dal 1931 al 1940 è vissuto in Francia, dove entra in contatto con letterati artisti e poeti; ha pubblicato moltissime sillogi poetiche. Esilio sull’Himalaya, è stato pubblicato per la prima volta nel 1953. Marino Piazzolla, al quale è dedicata una fondazione a Roma, diretta da Velio Carratoni, è un poeta che, secondo i recenti pareri dei critici, è stato molto sottovalutato, durante la sua vita. Solo ora ci si accorge che la voce poetica di questo autore è da annoverare tra quelle più alte del ‘900 italiano, pur essendo stato escluso, il nostro, dalle principali antologie del ‘900 italiano. Come scrive Donato Di Stasi, uno dei curatori di questo testo, Marino Piazzolla da anti - Zarathustra si inerpica sul tetto del mondo, l’Himalaya, si esilia in un lucore abbacinante, in un silenzio carico di voci, per interrogare ininterrottamente il sacro, ridotto dalla contemporaneità a non possedere un’identità, un nome, un tempo possibile per il suo intervento provvidenziale nel mondo. Dialogo dunque per voce sola, in cui l’Autore enumera le angosce terrene, lo scontento di esistere in maniera inautentica, fra dolori personali (i genitori continuamente evocati, la solitudine, lo straniamento) e sofferenze collettive (le masse afasiche e desolate). Sale e quanto più sale, scende dentro di sé, cerca nella sua anima ferita che non riposa mai. Ascende e scava nell’origine del linguaggio (tratto assai originale nella quète poetologica piazzolliana), riemerge così dai propri inferi con parole carnali, fisiche, rotondamente liriche, ma nello stesso tempo evanescenti, diafane, eteree, capaci di restituire non solo l’attualità, ma in particolare la dimensione primigenia, aurorale dei viventi. L’esilio e la solitudine sono i temi fondamentali di questo libro, che raggiunge la sua compiutezza più alta nella composizione eponima, che è un poemetto, suddiviso in varie parti. Altri temi sono quello degli affetti familiari, non a caso la prima poesia del libro è dedicata alla sorella, e la seconda, che ha per tema la morte del padre, al fratello Il poiein, la scrittura di Piazzolla, sono caratterizzati da una grande chiarezza, da uno stile nitido, che tende alla narratività, con un leggero scarto poetico dalla lingua standard. Nel poemetto eponimo l’interlocutore è Dio, il “tu”, al quale il poeta si rivolge, con un serrato monologo, perché dall’altra parte non arriva risposta. Questo componimento è costituito da 35 frammenti, in massima parte verticali. Quella di Piazzolla è una poesia vagamente visionaria che pare scaturire da uno “stare sulla vetta altissima e numinosa dell’Himalaya”. Dall’incontro con l’immensità il pensiero del poeta tende alla trascendenza e così inizia il rivolgersi ad un Dio lontanissimo, con il quale il poeta si relaziona in maniera accorata e confidenziale. Tutto sembra accadere, con uno sguardo virtuale dell’io-poetante che va dalle vette dell’Himalaya alle galassie, agli spazi infiniti dell’universo. Nell’ultimo segmento del poemetto incontriamo il tema della metamorfosi, quando il poeta chiede al Signore di farlo radice di una quercia. Tutto in questo libro pare essere sotteso ad un incanto naturalistico, con alberi, lune e cieli che vengono nominati, creando un senso di vago misticismo, legato alla natura stessa. E’ stabile in questo libro la tensione verso degli interlocutori che, oltre Dio, possono essere la madre e il padre; molto alta e drammatica, a questo proposito, la poesia Preghiera al padre morto:-“ Padre muto della mia carne d’uomo/ che giaci nel tuo silenzio di morto./// Padre delle mie giornate,/ che giaci mai visto/ nella neve degli inverni spenti/ e ritorni nel vento/./ Padre che ti ripeti nelle lunghe piogge/ sulle mie sere di vivo/ e vestito di nero/ cammini per la piazza deserta,/ annunziami il mio buio,/ fammi da saggio fantasma//…”.
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RAFFAELE PIAZZA -----
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Esilio sull’Himalaya

1
L’ombra tua,
questa neve e l’altezza
sanno conficcata
qui dove
il bianco è solo
vela del tempo
che ti cancella.
O tu maturi
questo corpo d’uomo
in tanta solitudine!
E fanno resa gli astri
al culmine di ogni roccia.


II

Ho la stanchezza
di una stella all’alba
e crollan le ginocchia,
si fanno antiche
le mie braccia d’uomo
ma il petto ti consuma
e il volto è tuo.
Ti sento dall’infanzia
e mi sei guida
su queste alture
ove il vento è fermo
e sogno d’esser ronco

III

Forse tu sei illusione!
e palpiti nel silenzio
quando a sera
è pozzo la mia noia.
Eppure cresce solo
quando la voce
è piena del tuo nome.
Signore dell’ape e del sole.
Se tu mi pensi
Fammi del tuo coro
che ascolto quando l’alba
batte il mio sangue
e il giorno s’innalza
pieno di te
per poi morire
sul mio sonno d’uomo.

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