Mario Fresa –"Alluminio" (prefazione di Mario Santagostini) - LietoColle - Faloppio (Co) – 2013- pagg. 41- €10,00
Mario Fresa è uno dei poeti italiani che si sono affermati, nonostante la giovane età, nel panorama poetico del nostro Paese: tra i suoi successi riscontrati, oltre alla vittoria di numerosi premi di poesia, spiccano la pubblicazione di testi su “Nuovi Argomenti” e su “L’almanacco dello Specchio” mondadoriano.
“Alluminio” è quasi un poemetto che tocca temi del tutto nuovi e inediti nell’ambito della sua recente produzione poetica. Già il titolo ha qualcosa di primordiale e evoca un senso d’indistinto, nostalgico ed algido. La scrittura di Fresa è sinuosa e articolata e caratterizzata dalla fortissima densità metaforica e semantica. È presente il tema della fisicità, della corporeità che si fa sogno. Tutti i componimenti poetici sono privi di titolo e contrassegnati da una numerazione progressiva in numeri romani. La partenza, lo scatto, avvengono partendo da una zona amniotica e prelogica. Rispetto alle sue precedenti prove, tra cui ricordiamo “Il bene” e “L’uomo che sogna”, la scrittura qui diviene più narrativa e prosastica, con un minore scarto poetico dalla lingua standard. È presente un paesaggio dell’evanescente, dell’indistinto e dell’empatico. Tutto il discorso è racchiuso in diciannove componimenti. Citiamo il primo componimento che ha una valenza programmatica:-“Così noi siamo rimasti al fiume,/ sulla strada confinante di carezze, nella lotta/ della gioia/ nel mutamento degli adagi si è caduti/ su quell’immenso faro e nella vaga, trascinata bianchezza/ di quegli anni// Qui mormorava il nastro della gola/ c’era l’immensa porta che inghiottiva i nostri passi, in un istante solo;/ e invece più nessuno ha ricordato le parole/ che migravano stupite, nel cielo retrocedendo/ con una dolce danza/ ma guarda/ ”; poesia veramente alta, sorvegliatissima e originalissima, questa di Fresa, inquietante, ma nello stesso tempo nitida. In questa poesia iniziale c’è il filo rosso che lega tutte le poesie della raccolta, un fattore x di indistinto, magico e misterico. Sembra di scendere negli albori dell’esistere, nella genesi, nell’unione di spermatozoo e ovulo e poi nel viaggio nel liquido amniotico. Le immagini sono rarefatte e c’è un grande senso di sospensione. Anche cimentandosi in un scrittura del genere, Fresa dimostra di avere una chiarissima coscienza letteraria e una capacità di maneggiare i versi oltre la mera ispirazione tout-court. Dimostra, il nostro, intelligenza e profondità nel dire e nel dirsi, in un discorso del tutto antilirico ed antielegiaco. Niente è affidato al caso e ogni singola parola, s’incastona perfettamente con le altre. Il prezioso volumetto di LietoColle, editore raffinato e attento, è corredato da due bellissime illustrazioni a colori di Umberto Boccioni. La chiave interpretativa del testo si trova proprio in quel limbo di indistinto, di mare in cui naufragare, per dirlo con Leopardi con immagini che potrebbero avvicinarsi a quelle di alcuni racconti di Italo Calvino. Il momento forte di Fresa sta nel suo essere sospeso tra io e inconscio, tra materia e apparenza della materia, vita e apparenza della vita, essere e nulla. Tra buio e aspirazione frustrata alla luminosità. In effetti, contrariamente a come avviene nei volumi dell’ultimo Mario Luzi, in questo libro non c’è traccia di luminosità né lunare, né stellare né solare.. Chiuso il libro e in attesa di riaprirlo (accadrà spesso, ai lettori) resta la domanda: dove siamo stati? Dove ci ha accompagnato Mario Fresa, che è anche un ottimo critico letterario? Forse nella caverna di Platone, dove gli effetti della luce riflessa venivano scambiati per realtà, le ombre per figure viventi.
È un esercizio di conoscenza, quello del poeta salernitano, dove tutto è imbevuto di un alone di magia e di struggente bellezza.
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Raffaele Piazza
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