sabato 10 maggio 2014

DOMENICO CARA PER SPAGNUOLO

"Antonio Spagnuolo": tracce didascaliche “Come un solfeggio” in prova di requiem --

1.Dal colto silenzio e dall’intensa solitudine, del tutto spontaneamente, Antonio Spagnuolo riproduce in questa recentissima silloge e grazie all’immaginazione, un’amara e godibile ricerca del suo inconscio poetico.

2.Questo effetto emozionale il poeta lo inalvea Come un solfeggio (Kairós, 2014) che è anche titolo della stessa prova, senza occulte sensazioni, anzi duttile e assiduo requiem e magmatica scena di un io quietamente disperato e devoto gesto della privata memoria.

3.In essa il ritmo cresce segreto e onnivalente, mai greve, e direi piumato di intima passione: a volte per guizzi fosforescenti e non sottintesi, quasi composti da brechtiane “devozioni domestiche”.

4.La sincerità testuale è tanta e spesso speculare (d’altra parte come la sua abituale poesia disegnata informale, senza pittura ad ombre o fiaba di neve).

5.Il suo abbraccio al documento conflittuale è totalizzante, si amplifica nell’esatta evidenza del personaggio familiare: “In memoria di Elena” l’amata moglie, estinta, persa e dispersa in un trascendentale infinito, dove vive il tempo atroce del medesimo verbum.

6.L’entità scritta inoltre racconta l’angoscia e gli altri abbagli d’amore, il cuore palpita forte nella implacabile umana commedia. E poi l’esperienza totale diventa abisso di attimi insidiosi e desolati a più mobilità creative e lucenti vertigini.

7.Il tempo così, tra intimi sussulti ed esistenziali gorghi, si riduce esemplarmente ad una serie di assenze, di essenze fragili, di irriducibili distanze e di un’ inerme oggettività, mentre il canto all’ulteriore addio resta in un clima striato, oltre se stesso, con ogni possibile attesa visiva.

8.Lo stretto svolgimento ritorna pertanto in più frangenti come retorica della sorte (non linguisticamente convenzionale), e le riesplorazioni hanno parole buone sia pur dedotte dal disincanto, alto rigore del quale la vita umana percorre privilegi e inesorabili lontananze.

9.”Quale musica nasce dal passato? / Il tenero segreto dei tuoi sogni. / Rammenti le vibrazioni del violino / nell’Ave Maria per noi due soltanto, / tremanti alle corde nell’accento / e al singhiozzo trattenuto appena? … / Se mi fossi concesso un’altra vita, / da vivere, brucerei ogni fiore / e per te profonderei la musica .” (da: Sapori, p. 38).

10.” Vedo l’alba che torna a svestire la tua figura / vedo il tuo corpo logorato al vento / ad acchiappare nubi: forme mutevoli / adatte per l’addio. / Si sdoppiano i pallori, e il gusto di carezze / riprova il destino, che continua a spezzare / ogni illusione per un tuo ritorno.” ( Ritorno, p.42).

11.Letti a più scorci i versi vestono nuova luce. E “nella lingua di Dio” il profilo amaro della propria ricerca che diviene viaggio angelico deluso, perché in esso si svolge quel senso ansioso di riconsiderare ogni espressione frammento d’intrecci della vita.

12.” Questa è l’ora che rintraccia vampate / nella vacuità dei ricordi”. Senza dubbio ad essa si concedono inedite strategie mentali, e quegli inseguimenti interrogativi di elegia che promuovono un monologo pragmatico, una libertà di rinascere per sottoscrivere quel bilancio di gioie e forse di rimorsi (sempre con nostalgia).

13.Cosa c’è di servile in un fondamentale esempio come l’amore, se non l’insufficienza e il timore della scarsa durata? E di altri specchi, a cui ogni densa poesia si addice?
Domenico Cara

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