- I -
L’inganno è là, prospiciente
al tempo residuale, caldo e languente
come sabbia alla riva.
Effusioni d’aria, sobbalzi corporali,
fulcro inamovibile di strappi e cuciture.
Il nudo che si addestra al disavanzo
è esitante, qualche volta fuorviante:
assonanze e interludi,
forme di spazi ambigui si delineano
dal fittume imponente della vita,
una catena selvaggia di richiami,
le mani senza gradazioni,
nella fissità del caos.
Ogni cosa si contende un sogno,
vive dentro di esso e vi si adagia
come
uno spezzone di cielo, senza varianti né colori,
una tregua vertiginosa, emozionale,
ossimorica tenta l'attribuzione del suo nulla,
risveglio d’ombre in amplessi di fogliami.
*
- II -
Nei dintorni e fuori scandiamo
la foschia tensionale dell’addio.
Essere attratti dalla linea che tradisce
il suo declino o dalla tenebra eccedente
che sfaglia umori di deserti,
come silenzi disegnati che percepiscono
abbagli, orbite di vento.
E l’invisibile ebbrezza della siccità
si accende dentro un corpo
che ha perso l’ordine reale delle cose,
tra le braccia dell’insonnia.
*
- III -
Ora è un’ebbrezza dissolta
quella che teme i riflessi del corpo,
innocenza smemorata di una sola forma
mantiene la compattezza dell’estate,
con annessa un’acquerugiola sottile
e la quieta, ritmata stagione degli amori,
l’ostinazione labirintica dell’intimità,
che tuttavia mostra la crepa esistenziale,
la contraffazione fuori dai confini
che inchiodano e ad incastro,
mantengono il proprio dolore,
come gli uccelli in cielo le ali.
*
NINNJ DI STEFANO BUSA'
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