FRANCESCA LO BUE: "Il libro errante" - Edizioni Nuova Cultura 2013 - pp.88 Euro 10
"Graffiare il mistero"-
Le parole, testi addormentati, ricompongono, riuniscono quel che possediamo, sentimenti, idee, intuizioni, presagi che vogliono apparire graffiando nel mistero per svelarlo. In questa operazione il libro trascrive, ritraduce un altro libro.
( dalla prefazione dell’autrice)
Conosco le parole di poesia dense di sentimenti, idee, intuizioni, presagi… di Francesca Lo Bue dal 2010 quando presentai con Giuseppe Panella "Non te ne sei mai andato", libro bilingue dedicato alla terra natale, la Sicilia e al padre Salvatore prematuramente scomparso,
L’emozione nella parola ancora ebbi occasione di offrire al pubblico di Pianeta Poesia l’anno seguente, pubblicazione anch’essa bilingue, come la successiva Moiras presentata da Giuseppe Baldassarre e dalla sottoscritta alla Casa di Dante nel 2014.
Fin da subito riscontrai nella poesia di Francesca una versificazione emozionata, pregna di contrasti, densa di richiami culturali ed esistenziali. Una poesia molto spesso incalzata da domande in cerca d’una possibile quiete, illuminata da scosse ossimoriche, da accostamenti imprevisti, da visioni e sovrimpressioni facilmente accostabili alle sequenze d’un sogno. Un esempio troviamo a pag.15 di Moiras, nella poesia Colpa :
Perversità che siede in gusci scricchiolanti/ cuore nero, dito scuro,/cerca le tuniche della fanciulla,/ lo scoramento degli innocenti,/ i passi solitari./ Annunciano gli incroci./ Perché sono sorde le fontane fra le muraglie? // Glissano le note della luna nei brividi dei rami…
Qui sorprendono le immagini-apparizioni della fanciulla e degli innocenti tra i rumori dei gusci scricchiolanti e la sordità delle fontane. E nel finale il brivido dei rami richiama certi scotimenti che talvolta percorrono i sogni prossimi alla veglia.
Sogni, visioni, illuminazioni, immagini portate alla luce dal fondo dell’inconscio sono il materiale privilegiato della poesia di Francesca, poesia che nel suo ultimo lavoro Il libro errante, esprime secondo me il punto massimo di suggestione e visionarietà raggiunto dalla scrittura della poeta.
Qui l’autrice più che mai diventa una vera e propria rabdomante della parola fonda, quella sepolta nel mare dell’inconscio, quella che sola può far emergere l’oro occulto (p.57). Quella parola che è errante, che si nasconde nei vicoli del profondo, del non ancora scritto e che solo la poesia può far emergere. Parola errante da ritrovare per portare alla luce il libro nascosto che vagola dentro di noi e al quale, forse, la madre dell’autrice si riferiva , ripetendole : sei venuta con un libro in mano… ( vedi dedica )
Un libro vergato con quella che Francesca chiama la terza lingua (p.51) depositata nell’abisso che ci abita, una lingua che supera confini e distanze, una lingua che ci supera… e che trova la sua perfetta traduzione nella perentorietà dello scritto. Ma leggiamo la poesia:
"Ieri c’è perché ci sono le parole che lo svelano./ Rivivere una orografia che è sospesa,/ risuscitare una mappa,/ prendere un compasso e disegnare una terra./ Alla caccia di una geografia vivente,/ notizia di una pace lontana e di un libro ricuperato…/ e vedere in una landa silenziosa una colomba che prega./ Il libro in questa lingua è il libro Errante,/ fra le sue pagine le sillabe enigmatiche della scrittura di Dio".
Una composizione, questa, che racchiude il titolo della silloge , IL LIBRO ERRANTE, che cela altro significato da quello da me esplicitato in questi appunti, perché si richiama a Ovidio, ai suoi TRISTIA. Nell’opera l’autore si rammarica di essere isolato, lontano da Roma per l’esilio subito, e proprio nell’incipit chiede al libro di volare per lui costretto a non vedere l’Urbe, per idealmente precederlo…
La tristezza del poeta privo della parola scritta che potrebbe consolare e confermare il suo essere vivo e partecipe sulla terra, trova nella poesia di Francesca, nei versi affidati alla quarta di copertina, una efficace probabile risposta della nostra autrice a qualsiasi abbandono o resa malinconica agli eventi.
Nessuna terra desertica, nessun esilio, nessuna afflizione può vincere il Poeta che, come il rabdomante, sa far fiorire con insperabile linfa il terreno più arido :
"Nell’ora vesperale delle magnolie entra il rabdomante,/ nel cerchio fulvo di un tempo passato./ Il suo bastone cerca il tesoro della terra,/ nella cenere dei passi e nel nome degli uomini.// Rabdomante,/ una sillaba d’aria è la forza del tuo cuore,/ la voce dei nibbi ti chiama tra sfingi di calce e creta./ Cerchi un nome e una casa/ e imprigionando l’aria in un canto perlaceo/ riapparirai nel tempo di tutti,/ col libro che scrivesti nell’aria, coi tuoi occhi di profeta,/ con le tue mani di orefice".
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Mariagrazia Carraroli
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