martedì 22 dicembre 2015

SEGNALAZIONE VOLUMI = GIULIO MARCHETTI

Giulio Marchetti : “Ghiaccio nero” – Gliuliano Ladolfi editore – 2015 – pagg. 56 - € 10,00 –
(prefazione)-
Il tessuto intellettuale di un contesto poetico, il cui impatto emotivo risulta prima di tutto trappola per il lettore attento e agguerrito , privilegia senza alcun dubbio il linguaggio , alludendo ad un intermediario specifico che tenta di incrociare progetto e figura. Il mito non riesce a sopravvivere , nascoste le trasfigurazioni nelle quali bisogna confidare e perdersi. Nel nostro l’arte si colloca di nuovo nel rapporto fra la tradizione e l’universo postmoderno nell’accorato scenario di forme vuote , magari ripensate con distacco utopico , e il positivo impatto della memoria involontaria nel riuso della parola. Una parola ripetutamente incisiva , che cerca con insistenza e capacità personale di creare l’atmosfera giusta per le vibrazioni del pensiero costretto a levitare tra le coincidenze delle mutazioni e gli incidenti dell’imprevisto.
“Chiedo luce a questo niente
e poi torno a subire
il silenzio.
Forse l’oscurità non è
una zona di passaggio,
è il mio luogo di nascita.
Altro che pienezza dell’alba,
qui è già tanto la scintilla
di un bacio di cristallo.
Dammi almeno
un’alternativa
al futuro.”
Incredibilmente solitario e sperduto nel silenzio il poeta sembra disorientato , spinto contro il vuoto, che lancia la sua trappola in un crescendo da vertigini. Anche il futuro appare illusorio. L’interpretazione di questo vuoto soffoca, con la sua immagine riflessa, nella quale confidare e contemporaneamente perdersi, al punto da trasfigurarsi in un bacio di cristallo.
A partire dal titolo uno stato altalenante sorprende ed avvince per il raggelamento determinato dal nero e rende misteriose le figure : Rimuovere la carne per nascondere le tenebre ? Sperdersi nel sogno per dar principio al fuoco ? Raccogliere “l’inchiostro rosso delle vene” per partecipare l’amore discreto ? Scegliere abissi personali per poter rincorrere la speranza ? Fermare il tempo che scivola nelle attese , per avere fra le mani mille fiori e qualche istante di colore ?
“La tenebra
è un mercimonio
di stelle rubate
allo spazio bianco
e nero. L’alba
è un fiore abbandonato
nel cimitero delle speranze.
Ci vorrebbe il mare
ad inghiottire
la schiuma dei ricordi.”
Insiste il segno della tenebra e del nero , nelle suggestioni della luce che a tratti riesce a squarciare riflessi. Il poeta cerca di rendere il mistero che nasconde la memoria, ed avvolge nuove presenze nella fusione degli elementi naturali, ben coniugati all’incanto di una sublimazione.
Nel verso straordinariamente duttile e dinamico , lontano dalle ritmate giunture, nel verso a volte fluido e magnetico , a volte duro ed insistente, adatto alle svariate compulsioni del magma emozionale e discorsivo , si dipana il timore della sopravvivenza e l’equilibrio incerto delle illusioni.
Qui gioca anche una sorta di mitico equilibrio tra cultura e ammiccamenti nella assoluta autenticità della propria paura di perdere ansie e mediazioni, modulazioni delle esperienze , nel declino della oggettualità , che sembrerebbe condurci alla soglia del declinare e del deragliare.
“Resto qui
dove un singolo passo
calpesta a morte
la speranza
e consuma i primi sogni
di primavera.
Aspetto che il sole scenda
al livello delle mie lacrime
per nutrire questa terra bambina
almeno un poco,
un poco farla essere di più.”
Si giunge ad una mixture narrativo poetica ove gioca la condizione di esistenza, che cede per immergersi nel sogno e che sussurra, per una parola acronica, anche il senso paradossale del nulla. Lo sgomento per il disfarsi della bellezza , un dono che elargisce troppo poco e che il tempo dissolve senza pietà nel giro inaspettato del soffio , opprime così che anche “la vita è polvere caduta / sulla pelle morta dei sogni.”
Una incerta forma di esperienza sapienziale e forse mistica racchiude il simbolo che l’autore incide sulla pagina per una forma che realizza i suoi reperti ben controllati nel verso, verso che, anche se calato in misure brevi e fulminanti, ha una sua compostezza nell’arco della interpretazione classicheggiante. Il recupero della parola sembra affondare proprio nella sfiducia di un linguaggio che possa esperire le verità ultime delle cose e degli avvenimenti quotidiani. Una vera e propria tensione che aggancia lo scarto positivo del lemma , per cui il poeta esce da ogni prospettiva di ripiegamento su se stesso per corrispondere angosce e gioie , interrogativi e sospensioni , certezze e dubbi , nel piano lineare che caratterizza la propria individualità.
Sul piano formale tutta la raccolta di Giulio Marchetti resta caratterizzata da un uso alquanto accentuato di forme della ripetizione , tra le quali l’anafora che tratteggia variazioni di slittamento, e le estensioni del significato tecnicamente luminose per soluzioni adottate.
ANTONIO SPAGNUOLO -





Nessun commento:

Posta un commento