Fermenti 243, anno XLIV –2015-
Umberto Piersanti – "Perdersi. Nel folto dei sentieri" – 2015
Nel pezzo su “Nel folto dei sentieri”, di Umberto Piersanti, Roberto Marconi scrive “che fedele a se stesso e al suo canto nella nuova opera Umberto Piersanti ci guida tra immemorabili cammini, nel folto dei propri sentieri vitali, come indica la scelta del titolo, peraltro piersantiano più che mai; egli prende per mano chi vuole genuinamente avventurarsi, lo lascia quasi subito, tra i passi preferiti, d’altronde “chi non sa dove andare/ meglio cammina” e da lontano dice “godi l’aria/ dimentichi la strada del ritorno”, se ci pensi un poco “quant’è dolce/ perdere la strada”.
Fatte le dovute differenze, il libro ricorda alcune prose di Robert Walser, dove egli stesso, teneramente, si abbandona a puntuali e sterminate passeggiate salutari, come ribadiva Walter Benjamin: dopo poche frasi chi leggeva era perso; poiché tali storie sono “di una delicatezza quasi inconsueta” e in esse c’è sempre “l’aria pura e forte della vita che guarisce”.
Fare esperienza della natura (con attenti bestiari, diversità botaniche, soffi universali), della storia (non c’è discorso con Umberto che non sia cronaca), dei cari (tra tutti il figlio: “perfetto e disegnato/ che il” male offende/ ma non piega”), questa è la circostanza amata e trasmessa dal poeta, da sempre indagatore d’aree topiche e cruciali figure ormai distinte da lettori attenti”.
La poetica di Umberto Piersanti ha per oggetto i luoghi, che il poeta di Urbino ama e vive, percorrendoli e contemplandoli, nel suo interiorizzarli e farne immagini del suo poiein.
Si tratta di parti del paesaggio, che si collocano in una natura nuda, tra filari di alberi, greppie, corridoi di prati.
Piersanti s’immerge tout-court nell’ambiente vegetale e collinare delle Marche, ripercorrendo sentieri che conosce in ogni minimo dettaglio, ma che, di volta in volta, si riattualizzano nello stupore della gioia, come se fossero visti per la prima volta, illuminati da una luce vergine.
Attraverso la scrittura i luoghi s’innestano nel tempo, secondo la nozione del cronotopo e l’attimo diviene quella feritoia per la quale la parola s’innesta sulla pagina.
Tra tutti i luoghi detti dal poeta si ricorda Le Cesane. mitizzato nei ricordi degli amori
Sembrerebbe una poesia descrittiva, quella del Nostro, invece è frutto di una cosciente adesione dell’io-poetante a tutto quello che lo circonda nel paesaggio idilliaco, dove quasi naufragare leopardianamente.
Il figlio Jacopo accompagna il poeta nel suo perdersi volontariamente nella natura incontaminata, a indifferenziarsi in una fusione ontologica con la natura stessa, per ritrovare una quintessenza, un senso e un sapore della vita che, nel clima urbano sembra ormai irrimediabilmente perduto.
E allora si comprende il significato del gesto dell’addentrarsi nel folto dei propri sentieri vitali, quando è sufficiente camminare, anche se non si conosce la meta del proprio percorso.
Proprio così s’invera lo spaesamento, che diviene quasi ludico ritorno all’adolescenza, ad una salutare immaturità, che, del resto, è tipica dei poeti.
Con un tessuto linguistico, connotato da una dimensione espressiva unica, originalissima, l’andamento dei versi procede perfettamente controllato, simultaneo, potremmo immaginare, al camminare del poeta tra radure e boschi, oasi fantastiche e mitiche che, di volta in volta, si fanno realtà necessaria.
La natura, detta dal poeta neolirico, è definibile di tipo classico, nella sua essenza, idilliaca, avvolgente, protettiva e luminosa,
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Raffaele Piazza
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