Antonio Spagnuolo – "Ultimo tocco"-- puntoacapo Editrice – Pasturana (Al) – 2015 – pagg. 79 - € 12,00
Antonio Spagnuolo è nato a Napoli nel 1931. Presente in numerose mostre di poesia visiva nazionali e internazionali, è inserito in molte antologie e collabora a periodici e riviste di varia cultura.
Attualmente dirige la collana “Le parole della Sibilla” per Kairòs Edizioni e la rassegna “poetrydream” in internet.
Di lui hanno scritto numerosi autori fra i quali A. Asor Rosa che lo ha ospitato nel suo “Dizionario della letteratura italiana del Novecento” e nei volumi della “Letteratura italiana” (Einaudi, 2007).
E’ stato tradotto in inglese, rumeno e greco moderno
“Ultimo tocco” costituisce uno degli esiti più alti della copiosa produzione di libri di poesia di Spagnuolo, che è presente nel panorama letterario da oltre sessanta anni. Il testo fa parte, insieme a quelli più recenti, come ad esempio “Oltre lo smeriglio”, della serie incentrata sul dialogo con una mancanza.
Come scrive nell’acuta e sensibile postfazione Mauro Ferrari a dominare la scena è l’assoluta concentrazione tematica, la quale dà appunto coesione alla raccolta, attraverso una sorta di lungo dialogo in absentia con la moglie morta, o meglio monologo incentrato sulla sua assenza.
La raccolta è scandita in due sezioni, quella eponima e “Memorie”, che possono considerarsi quasi come dei poemetti per la loro compattezza contenutistica. I componimenti non presentano titolo e sono tutti numerati: questo ne amplifica il fascino e la suggestione innegabili.
In effetti proprio il tema del ricordo pare essere quello che caratterizza la cifra essenziale dell’opera. Lo scatto e lo scarto memoriale connotano la scrittura di Antonio e, a livello inconscio, avviene una sublimazione del dolore nella riattualizzazione desiderata e magica di nuovi incontri atemporali con la figura amata.
Non è una vuota e vana nostalgia sentimentale, quella del poeta, ma una vera e propria tensione salutare e salvifica, che solo gli strumenti della poesia, maneggiati magistralmente riescono ad attuare, per arrivare ad un senso alto che abolisce ogni categoria del cronotopo.
Non a caso Ferrari nel suo scritto arriva a paragonare Spagnuolo, nel suo lutto, all’Ungaretti de “Il dolore” e al Montale di “Xenia”.
Un versificare stupito, espressione della capacità del poeta di sapersi meravigliare di fronte al mistero della vita per superare l’angoscia della perdita è presente nel libro, una possibilità rara di rivivere situazioni con la passione di una fantasia inesausta.
La fisicità è il punto di partenza del discorso di Antonio per giungere alla raffigurazione di immagini altissime e interiorizzate da un sé attento ad elaborare visioni icastiche e sublimi. Le parole sono dette con urgenza con una vena affabulante.
A livello formale sono da considerarsi l’eleganza e la fluidità del dettato, sotteso ad un ritmo suadente e sincopato che crea una versatile e piacevolissima musicalità.
Nella compattezza di ogni singolo tassello della raffigurazione s’innesta stabilmente una fortissima densità metaforica e sinestesica nell’andamento dei versi sempre calibrato e controllato.
Non manca un afflato vagamente mistico che la visionarietà, che diviene chiave interpretativa costante delle situazioni, mette stabilmente in evidenza.
La figura evocata, della quale vengono detti molti riferimenti, diviene personaggio vivissimo sulla pagina, raffigurazione di un dolore che tramite il nominare porta ad un sollievo formidabile, ad una vera e propria catarsi.
In ogni incipit si nota un decollare dei versi sulla pagina senza sforzo in una fantasmagoria leggera, densa, luminosa, nitida e veloce.
Collegato a quello della corporeità è il tema di un erotismo vagamente mistico nel suo esserci nella mente, che si traduce in parole soavi, sensazioni universali.
Ed è qui che ritorna il tema principale di tutta la poesia di Spagnuolo: il conflitto tra Eros e Thanatos, nella continua illusione di sconfiggere la morte, o almeno di allontanarne nel tempo la presenza.
Anche se vengono alla luce angosce e affanni, appare come un costruttivo e sublime esercizio di conoscenza quello del poeta, che riesce a dire l’indicibile in un ipersegno che scaturisce da ogni composizione con una capacità altissima d’innestare icone mirabili che scaturiscono l’una dall’altra tramite l’accumulo.
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Raffaele Piazza
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