Parole in circuito – Fatti non parole - 4 Antologia Nuovi Fermenti Poesia
RIPROPOSTA – Fermenti Editrice – Roma – 2010 – pagg. 153 - € 18,00
(note critiche sui testi di Lucetta Frisa, Anton Pasterius, Raffaele Piazza, Raffaele Urraro) - a cura di Raffaele Piazza
Lucetta Frisa
Le poesie, che Lucetta Frisa ci presenta, sono connotate da una forte icasticità e da una notevole eleganza espressiva. Volevo l’estasi ha un incipit drammatico:-“ Vedi, io vivo con un coltello/ dentro lo stomaco”- Questo componimento è caratterizzato da una forte dose di corporeità, da una fisicità brutale, perché il coltello taglia anche pezzi d’infanzia e le pupille. E’ presente, in questa poesia, anche un riflettere sulla parola poetica stessa. Dice la poetessa che tutte le cose hanno lame, spille, angoli, punti, spigoli e parole spinose;: potrebbero essere le parole stesse per nominare le cose, continua a dire la poetessa, parole che, al contrario, stanno acquattate come bestie in allarme, si dolgono di solitudine, proprio perché sono le parole che costituiscono le poesie. E’ presente il tema dell’infanzia come provenienza. L’estasi, che viene detta nel titolo, è in perpetuo orgasmo tra terra e parola e, si può supporre, proprio per questo che sia una vera estasi controllata..
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Anton Pasterius
Le poesie inedite che Anton Pasterius ci presenta in Fare poco e di notte sono tutte caratterizzate da una forma in lunga ed ininterrotta sequenza, da un fluire ininterrotto dei versi. Le strofe si susseguono con leggerezza, sgorgando l’una dall’altra ed è assente dai testi ogni traccia di punteggiatura. Nel componimento iniziale, Questione di feeling incontriamo una trasposizione che va dal piano fisico e corporeo, quello del cuore come muscolo cardiaco, a quello del sentimento, appunto a quello del feeling, del sentire emotivamente, empaticamente. I versi di questa silloge sono in massima parte verticali e brevi, spesso costituiti anche solo da una o due parole. C’è una notevole eleganza formale, in questi inediti, che sono molto levigati. Pur non essendo una poesia lirica tout-court, quella di queste poesie consiste in un’effusione di sensazioni dell’io-lirico che trasmette i propri sentimenti e stati d’animo al lettore, in modo complesso e articolato. Quello che colpisce in questa silloge è una leggerezza, in sintonia con una forte icasticità del dettato.
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Raffaele Piazza
Viaggio romano è una sequenza di dieci componimenti verticali, costituiti da brevi strofe: può, per la sua unitarietà, essere considerato un poemetto. La poesia iniziale descrive l’inizio del viaggio, con l’arrivo alla Stazione Termini, che segna l’inizio dei fatti. Di frammento in frammento si realizza la vicenda. Al centro della microstoria c’è un viaggiatore, che risente del fascino di Roma, che, nel bene e nel male, resta Caput Mundi. E’ nello stratificarsi del tempo nello spazio che avviene la vicenda e, per usare una metafora teatrale, la città diviene spazio scenografico dell’azione dell’io-poetante, che forse la mitizza troppo, affascinato da presenze; un incontro è quello con una zingara, nel primo frammento, incontro che apre le porte ad un vago senso di magia, che è una costante per tutto il poemetto. La zingara vuole leggere la mano al viaggiatore e già nel tema del viaggio, che è la vita stessa, può essere racchiuso quello che si chiama destino, nelle linee sulla mano
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Raffaele Urraro
Una dissolvenza si avverte in questi testi, articolati in una sequenza di quindici componimenti, Al centro di questa poetica, ci sono le parole che sono le “cellule” del più vasto organismo, la sequenza. Si tratta di poesie sempre divise in strofe. Nell’insieme l’opera può considerarsi un poemetto, costituito da tasselli che si armonizzano tra loro. Nella terza poesia incontriamo un afflato vagamente lirico, in una mescolanza di elementi atmosferici. Efficace l’immagine del tempo che sgocciola da clessidre d’acqua, scandito da lente pulsioni del cuore.. Da notare che c’è, in questi componimenti, una totale assenza di punteggiatura e l’ordine del discorso prosegue in ininterrotta sequenza, tramite versi generalmente verticali. Degna di nota la quinta poesia, nella quale si riscontra nell’incipit una certa religiosità del verso:-“Mi sento legato a un dio invisibile”-, un dio e non Dio: in questa sfumatura possiamo intendere una visione “pagana” di Urraro,
almeno a livello estetico,
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Raffaele Piazza
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