Claudia Zironi: “fantasmi, spettri, schermi, avatar e altri sogni” (Marco Saya edizioni, 2016, pp.156, euro 14)
Attribuendo un nome alle cose più sfuggenti e impalpabili oppure vivificando e animando i nomi delle cose più evidenti e scontate, la poesia è in continua relazione col mondo. Non solamente il mondo visibile ed esperibile con immediatezza, ma anche quello più segreto e nascosto, misterioso e recondito, non solamente il mondo che esiste a prescindere da noi, ma anche quello che non esisterebbe senza il nostro percepire e sognare e immaginare.
Francesca Del Moro, nella illuminante Prefazione alla recente, ricca e complessa raccolta di Claudia Zironi “fantasmi, spettri, schermi, avatar e altri sogni”, scrive: “Riconosciuto sia nel mondo classico sia nella tradizione giudaico-cristiana, il valore insito nell’atto di nominare è uno dei nodi cruciali del libro”. Un libro che si apre con questi significativi versi: “nemmeno un nome ho perduto / di quanti sono andati / li sussurro ogni notte per te / che non li hai conosciuti”.
La poesia si oppone al silenzio, non ignorandolo e negandolo ma confrontandosi con esso (“fra le parole permangono i silenzi”), si fa ascoltare da questo vuoto evitando di venire fagocitata e soffocata e, allo stesso momento, si mette in ascolto del silenzio cercando di captarne le minime vibrazioni sonore, le perturbazioni e le onde inaspettate, i brusii. La parola (ogni parola e in particolare quella della poesia) può diventare sia grido che lacera il silenzio, che rimbomba e scuote, sia sussurro avvolgente.
L’autrice esorta a stabilire un dialogo, anche ridotto ai minimi termini, con l’altro: “dovresti dirlo, non importa a chi / o quando…”. L’io deve aprirsi a un tu (“ma tu, parlami!”) vicino e prossimo, deve stimolare un reciproco riconoscimento (“nominami, dì il mio nome. / poi pronuncia il tuo”) creando un contatto sia verbale sia fisico: “chiamarti con il mio nome / allargare le braccia / e respirarti”). Un rapporto io-tu che, partendo dalle singole solitudini, tenda a formare un noi più ampio: “riposiamo un poco / insieme”.
Nel testo della Zironi si intrecciano indissolubilmente , senza che un limite divisorio si frapponga e che una frontiera li separi, lo sgomento e l’entusiasmo, la sofferenza e il piacere, la malinconia e la passione, l’ombra e la luce, il rifiuto e l’accoglienza, il tradimento e la carezza, la guerra e l’amore, thanatos ed eros, la morte e la vita. Siamo corpo, carne, respiro, linfa vitale, attrazione, fuoco, desiderio, e contemporaneamente siamo cenere, spettri, angoscia, un nulla che si riprecipita nel nulla. Siamo questi esseri contraddittori e imperfetti, questo groviglio inestricabile e magmatico di opposti, queste vite dominate dalla precarietà e dall’incertezza, dai se e dai forse: “…se l’acqua scorresse sul viso / come lacrime, se con gli abiti zuppi / dovessimo passare un confine”.
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Giancarlo Baroni
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