domenica 22 gennaio 2017

SEGNALAZIONE VOLUMI = MICHELE MICCIA

Michele Miccia, Il ciclo dell’acqua (Parte di sotto – Parte di dentro – Parte di mezzo)

Con la sua ultima raccolta intitolata “Il ciclo dell’acqua – Parte di mezzo” (L’arcolaio, 2016), Michele Miccia (nato nel 1959 a Parma) continua a realizzare e a comporre, con lucida e a tratti visionaria determinazione, con originalità, capacità e passione, il suo progetto poetico. Nel 2011 è stato stampato, dalle Tipografie Riunite Donati, il volume “Il ciclo dell’acqua – Parte di sotto”, a cui ha fatto seguito, nel 2014, il volume “Il ciclo dell’acqua – Parte di dentro” (edito da L’arcolaio).
I titoli di queste tre raccolte indicano che non davanti a singole e autonome opere ci troviamo, ma di fronte a corposi tasselli di un mosaico poetico ampio, complesso e ancora in fieri, che prevede la posa di ulteriori tessere per completarsi e definirsi nella sua pienezza. Il critico Giuseppe Marchetti, che ha prefato i primi due libri, parla di un “progetto quanto mai ambizioso” e di testi che si possono leggere come un lungo poema.
Possiamo considerare l’ultima raccolta dell’autore come una tappa (la terza) di un viaggio ancora lungo il cui tragitto alla fine non disegnerà una linea retta ma una specie di cerchio aperto. Ogni raccolta che si aggiunge irradia luce sulle precedenti che rivelano così sfumature e significati nuovi.
Il ciclo metamorfico dell’acqua (“l’acqua ritorna all’acqua”; “continuamente l’acqua / dischiude prospettive / di rinnovo e ristagno”) costituisce l’architettura complessiva del progetto, lo scheletro, la struttura del lavoro di Miccia, ma l’acqua non è la materia e l’argomento principale dei suoi versi. Questo liquido fisico e allo stesso tempo leggendario e mitico (che occupa buona parte del nostro globo, che mette in contatto cielo mare e terra, che cade sgorga evapora, che feconda e inonda, scorre e ristagna) è di frequente citato nei tre libri, però di essi non è l’esclusivo protagonista . Nella Prefazione all’ultimo volume, lo scrittore Claudio Bagnasco fa notare che “come nei due precedenti lavori, anche in questa raccolta poetica Michele Miccia ritiene il corpo unico strumento di conoscenza: non a caso, tra le parole più ricorrenti troviamo sangue e carne, oltre ad acqua”.
Il corpo, i corpi, di cui Miccia parla sono composti di carne, membra, organi: ossa, tendini, vertebre, midollo, viscere, unghie, palpebre, fegato, polmoni, capillari, saliva, labbra, “tracce dei riflussi esofagei”. Corpi alla ricerca di una definitiva organizzazione, ancora disarticolati e incompleti, che nello sforzo di dilatarsi si scontrano inevitabilmente con limiti, frontiere, confini, steccati, recinti, fili spinati, argini; corpi che inizialmente riconoscono l’altro da sé come ostacolo alla propria espansione e poi, gradualmente, come rapporto, contatto, scambio.
Una poesia, quella di Miccia, “oscura” e “minacciosa” – così la definisce Giuseppe Marchetti – che si confronta coraggiosamente con una vita che non è ancora pienamente tale, magmatica, embrionale e primitiva; una poesia che, col trascorrere del tempo, sembra trovare una aggrovigliata e offuscata trasparenza, una progressiva e parziale apertura. Dalla anonima voce narrante della Parte di sotto (“Quando le cose cominciano, c’è / l’attimo di silenzio prima della / propagazione…”), si passa alla terza persona singolare della Parte di dentro, un lui e una lei sfuocati, isolati e non ben definiti (“sul suo corpo sospeso / tra il luogo della nascita / e quello della morte”), e infine a un tu che rinvia parzialmente a un noi della Parte di mezzo, (“attraverso me , tu / ti racconti…”; “ho una mia forma solo, in te…”; “io e tu alternati a noi”).
Dentro la sostanziale coesione, compattezza e continuità delle tre raccolte, sono presenti variazioni, distinzioni e differenze. Ad esempio nel primo libro pare prevalere la parola-chiave sangue, fluido attraverso cui circola la vita all’interno di ogni singolo corpo (“il sangue è metamorfico”, “al buio germina il sangue”, “ogni inizio è un inizio / di sangue…”, “va germogliando il sangue”); nel secondo sembra prevalere invece pelle, allo stesso tempo confine permeabile e frontiera che divide, (“velo di pelle”, “la pelle ha un dritto e un rovescio”, “la prima goccia d’acqua scivola dalla pelle”, “e più lucente l’erba / se vi distende la sua pelle”); e nell’ultimo sembra imporsi la parola-chiave seme, grazie a cui il contatto, sempre difficile e conflittuale, di due corpi (una incerta coppia) può diventare congiungimento fecondo: “…a ricevere / tutto il suo seme, senza / disperderne una goccia , fin nelle mie radici / più lontane dall’acqua”.
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Giancarlo Baroni



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