martedì 18 aprile 2017

SEGNALAZIONE VOLUMI = ANTONIO SPAGNUOLO

MELANCHOLIA DELLA ASSENZA

Il titolo dell’ultima raccolta di Antonio Spagnuolo, "Non ritorni" (Robin Edizioni, 2016), mediato e esplicato grazie a una alquanto accurata prefazione di Plinio Perilli, guida l’attenzione dei lettori nella direzione della seconda parte del libro, quella delle Memorie, laddove la prima tendeva a sospendersi nei Lunghi murales. La perdita di una persona cara, della persona che per tanti aspetti si colloca se non all’origine almeno a fondamento di tanti versi dell’autore napoletano, sembra quasi travalicare l’occasione espressiva. Ma anche in un poeta sempre attento alle proprie ragioni e mai incline alle parole d’ordine dominanti, l’immaginazione emotiva ha saputo compiere la propria azione con la più ampia arte coagulandosi e moltiplicandosi su una miriade di fondali: da Sguardo a Mattino ad Ocra (“Hai lasciato l’incanto di armonie / in questo girotondo d’ombre”), da Vertigini ad Azzardo a Chimera.
Sul piano direttamente semantico, il sentimento della lontananza e della cancellazione parrebbe infatti in parte accogliersi all’interno del tessuto verbale: “Qui ho le risposte che rifiutano soluzioni: / tutto scompare tra le pagine bianche ed una sillaba / che sussurro” (Risposte), ancora che i “sussurri” arrivino pure essi a celarsi, rifugiandosi in ombra oppure nel chiaro della pagina. C’è ancora una volta nella semantica interiore di Spagnuolo, il più ampio ricorso a una musicalità fantasmizzata. Ma a contrasto, di là dai richiami e dai sussurri felpati, non vengono esperiti né tantomeno contemplati i “ritorni” che la musica poteva in passato, in altri precedenti libri, concedere.
Nel fruscio delle voci scompare infatti la virtù dell’armonia. Ma giusto l’intervallo tra lo smarrimento definitivo e l’ascolto delle parole parrebbe confermare la poetica antecedente di Spagnuolo, una “sorta di spossatezza e di consapevolezza disseminate ampiamente nella partitura testuale” e quasi raccolte “in un finale di vita”, tanto affermava Ciro Vitiello nel richiamarsi a "Fugacità del tempo".
Sulla porta dell’indugio (questo il titolo dell’intervento, apparso nella rivista Incroci e dove si evocavano esplicitamente i percorsi-passaggi di María Zambrano), segnalava come l’avversità del tempo e l’esaurimento di ogni altra eventualità non esaurissero lo spettro delle reazioni. Anche in Non ritorni si sta alle soglie del mistero tanto quanto del niente. E nell’orizzonte di una luce presso che spenta, non potrebbe avere ancor vita alcun dettato esornativo o armonioso.
Il taglio obbligato dell’assenza tanto quanto di presenze ulteriori fissa nondimeno un cambiamento di postura e alimenta posature di tristezza, se non proprio di disperazione. L’ornamento ovviamente poetico diviene pertanto la pura forza non già del dire, ma di quel che si dice o piange.
E, se le immagini attengono ad un vuoto nereggiante, quella vertigine e quei vortici espressi in molti titoli o comunque variamente evocati nei versi, mettono in moto iridescenti accensioni che condensano simboli, premonizioni e che vedono l’incorniciamento della materia in medaglioni riquadrati su figure metamorfiche e pulsanti, su asimmetrie stroboscopiche che esplodono nella prima parte della raccolta e più precisamente in A, il primo dei ‘lunghi murales’.
Ecco allora sfilare in successione le lune rossastre e le crepe maculate dei testi, le partiture illividite e la moltitudine delle variazioni incessantemente intrecciantisi le une alle altre. Tutte vicende che compongono un partitario di brandelli e di sfrangiature e rifrazioni di specie pittorica e visionaria, ma ancor prima esistenziale ed umana. Tali da definire i caratteri dell’esperienza ma altrettanto dell’esistenza nella scrittura poetica.
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Gualtiero De Santi



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