Dario Pasero – Tèit Canaveuj -Altre riflessioni poetiche piemontesi----puntoacapo Pasturana (Al) – 2018 – pag. 164 - € 18,00
Dario Pasero è nato a Torino nel 1952. Dai primi anni Ottanta ha iniziato l’attività di scrittore (in prosa e in poesia) in lingua piemontese: sue composizioni sono apparse su riviste specializzate in Piemonte e altrove. Al suo attivo sono un volume di prose piemontesi e quattro di poesie.
Il testo di Pasero, che prendiamo in considerazione in questa sede, presenta la stesura originale in piemontese a fronte e una prefazione di Herbert Natta.
Come scrive lo stesso autore nella premessa Tetti Canavoglio è un luogo, come si dice con formula di cui ora forse si abusa, “dell’anima”: un luogo che concretamente non esiste su nessuna carta geografica, ma che traduce sogni, pensieri, utopie, ricordi, malinconie… Il suo nome è costruito sull’unione di una forma toponomastica tradizionale piemontese, cioè Tetti (per indicare, per metonimia, “borgata”, come ad esempio Tetti a Dronero, Tetti Bagnolo a Carignano, Tetti Pesio a Cuneo e infine, e poi dite pure che il mio ego è ipertrofico, Tetti Pasero a Caraglio), e di una parola, Canaveuj (Canavoglio è il calco traduttivo da me creato), che significa “il fusto, lo scarto che risulta dalla lavorazione della canapa” (dal lat. volg. cannabulus), ma che nel suo uso metaforico ha il valore di “nullità, inezia” (abbiamo anche il modo di dire: esse padron dla ciav dij canaveuj, cioè “credersi importante, ma in realtà non valere nulla”).
Il nome del borgo rimanda dunque all’idea della solitudine, di quelle centinaia di borgate delle nostre montagne, specialmente del Piemonte meridionale (il sud del mondo non è solo il Terzo mondo: leggete o rileggete La malora di Fenoglio), ormai disabitate: borghi “fantasma”, in cui però la fantasia si sbriglia in mille rivoli e percorsi. Figuriamoci allora un paese che non esiste ed è, per di più, disabitato, se non dal poeta e dalle sue invenzioni (lessicali e immaginative).
La raccolta. Questa raccolta di brevi (e brevissimi) frammenti vorrebbe dunque essere come una sorta di diario “ideale” di uno spezzone “fantastico” di vita passata dal poeta in questo suo rifugio, rifugio dalla e della desolazione.
Prevale la densità metaforica, sinestesica e semantica e anche una certa magia della parola detta con urgenza nel delinearsi di atmosfere rarefatte e misteriose.
È messa in scena una natura neoromantica fatta di boschi nella quale le ultime baite sono stalle di pensieri e ricordi trascinati dalla slitta dell’io – poetante.
Sono presenti riferimenti ai Salmi e al libro di Giobbe.
Il senso del sacro in Pasero si evidenzia in un misticismo naturalistico e nella natura stessa s’inserisce la tematica dei santi nel rivolgersi per esempio a San Grato, vescovo di Aosta nel sec. V e protettore della città che protegge i campi e al quale viene chiesto di non strappare le gomene inquiete della nebbia.
Le visioni e le epifanie bucoliche sono dette in maniera sempre icastica ed efficace.
A volte il poeta realizza accensioni con fulminanti sinestesie come suoni senza limiti di gemme arboree.
Si proietta in un tempo che è il passato con descrizioni del pellegrino solitario che brama il vuoto del silenzio che si stempera.
Vengono detti in un contesto religioso paganeggiante il dio – agnellino che, figura tenera, dà al poeta la conoscenza profonda e il lupo come animale “totemico” e archetipico che, paradossalmente, potrebbe offrire protezione all’uomo per un’implicita inversione dei ruoli.
Tutte queste visioni evocate attraverso notevolissime raffigurazioni s’inseriscono nel non – luogo che è Tèit Canaveuj e divengono espressione della tensione di Dario verso una vita a misura umana, della ricerca di un microcosmo – rifugio già evocato da Pascoli la cui antitesi e l’infinito leopardiano.
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Raffaele Piazza
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