domenica 5 agosto 2018

SEGNALAZIONE VOLUMI = IRNO SCARANI

IRNO SCARANI. UNA VOCE PER CLEMENTE REBORA : "Tra luce e dolore" - 2017 -

Ne è passato del tempo. Finalmente però la religione ufficiale ha abbassato le armi contro la modernità anche artistica, senza più dedicarsi a una critica del sospetto e delle accuse e all’esercizio del rifiuto indiscriminato. Senza pretendere, come volevano oltranzisti e destrorsi, che le sue posizioni identificassero tout court l’intera civiltà occidentale, laddove lo spazio della modernità europea è più vasto, partendo del resto dalla ragione greca per arrivare a quella dell’illuminismo.
Ho ricevuto un annetto fa una plaquette di Irno Scarani intitolata "Tra luce e dolore", che lui stesso ha curato nel febbraio 2017 per la Tipografia Tiziano di Pieve di Cadore. Sulla copertina un suo disegno del 2012 e all’interno, nella prima pagina recante anch’essa una figura di Cristo, una dedica personale con caratteri tracciati a mano integrati nel progetto grafico. Un pensiero di cui gli sono grato e che mi ha colpito (una dedica in un qualche modo cristologica non è cosa di tutti i giorni).
Nell’interno due poemetti di carattere religioso del resto segnalati nel sottotitolo: l’eponimo che porta dunque il nome di Tra luce e dolore; il secondo "Invocazioni" («O serena e quieta illuminazione / guidaci nei fiorenti / e solenni cammini. / […] / Accoglici / nel tuo grembo oracolare, / incoronaci con le tue spine».
Il primo in ascesa alla volta di cerchi fiammeggianti e azzurrinità angelicate: un flusso di versi che esplorano il creato sino a invadere l’oscurità degli uomini: resurrezione e martirologio. Il secondo viceversa vibrato su un ritmo monodico ed esclamativo d’altronde già presente nell’explicit del primo poemetto che si chiude con una litania esaltante la rinascita di Gesù quantunque vessato ed arpionato,
malmenato e straziato: «Cristo trafitto / Cristo martirizzato / Cristo inchiodato. // E sempre rinato».
Ma la suggestione maggiore, almeno per me che ho dedicato una parte cospicua dei miei studi alla figura di Clemente Rebora (un mio ultimo contributo relativo ai rapporti del poeta di "Canti anonimi" con la mistica spagnola cinque-secentesca è contenuto in "Fuori dall’ombra", appena edito da Mimesis e dalla Nuova Rosminiana a cura di Elisa Manni); la suggestione e l’attrattiva maggiore, dicevo, sono in una composizione - "Una voce per Clemente Rebora" - non segnalata nel sottotitolo e ispirata dal poeta milanese. Scritta nel 1996, essa dichiara in un certo senso la propria derivazione da una specifica phoné reboriana.
Quella maturatasi nel fermento della grande città – Milano, già centro della modernità negli anni Dieci del Novecento e del post-moderno nella seconda metà del secolo – e poi lasciata ascendere verso l’alto, per rifondersi in canto e sciogliersi in inno. D’altronde Scarani è di nascita milanese (vi ha visto la luce il 19 agosto 1937) e il fervore degli anni ’50 e ’60 egli l’ha vissuto appieno, come pittore e come poeta (sette raccolte e un volumetto di pensieri e aforismi almeno prima di Tra luce e dolore).
"Una voce per Clemente Rebora" si muove profeticamente verso l’alto, ispirato dalla tensione alla verticalità che incontriamo in Rebora. Si formula poeticamente in una maniera radicale e cerca, di Rebora, lo Jetztzeit mistico ma anche introduce elementi per così dire meta poetici, interpretativi della opera lirica reboriana. Del quale ripercorre la “sillaba fulgente” che si sviluppa nella quotidianità, il bisbiglio doloroso che cerca di raggiungere e quasi smuovere la voce divina, il tempo della meditazione.
Il Rebora delle ultime poesie tentava l’ascolto di Dio e a lui rivolgeva domande, che però non sarebbero venute. Ebbene, il testo di Irno Scarani si prova a fornire risposte. Poi, nella chiusa, tornano le stelle di luce e gli angeli di fuoco che avevamo conosciuto nei due precedenti poemetti.
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GUALTIERO DE SANTI

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