SEGNALAZIONE VOLUMI = FRANCESCA LO BUE
FRANCESCA LO BUE : "I canti del pilota" Ed. Dante Alighieri - 2018 - pagg. 136 - € 9,50
Se con "Itinerari" (2017) Francesca Lo Bue tracciava le vie della propria esperienza artistica, con "I canti del Pilota" (2018) prosegue questo percorso ma ribaltando il punto di vista; ora non è più individuo poetico in cammino ma ella stessa agente del movimento: è il pilota, il timoniere, il gubernator che segna la strada e a cui l’opera è dedicata. Così in prima di copertina troviamo raffigurato un affresco di nave egizia. In un incrocio di sguardi il timoniere è voltato verso l’equipaggio, stende una mano a indicare la rotta; intorno, accanto alle vele spiegate, geroglifici dipinti ci raccontano forse l’arte della navigazione, forse antichi miti marinari.
Ma qual è l’arte di Francesca Lo Bue? In epigrafe sono riportati versi di G. Ungaretti, reminiscenza forse richiamata anche dalla copertina, se consideriamo le origini egiziane del Poeta. Quando trovo/ in questo mio silenzio/ una parola/ scavata, è nella mia vita come un abisso. È l’ultima strofa di Commiato che, scritta a Locvizza nel 1916, è dedicata ad Ettore Serra. Ungaretti e Lo Bue sono poeti molto vicini; entrambi hanno vissuto parte della vita fuori d’Italia e si sono riappropriati dell’italianità anche tramite un acuto e amoroso lavoro sulla lingua, sulla parola, la stessa che richiama l’abisso.
Per orientarci in quello di Francesca Lo Bue possiamo iniziare riferendoci al testo Il re longevo. Costui, immagine arcana di un essere creatore, è accostato a Venere, il pianeta a lungo creduto una stella, la stella del mattino che anticipa il sorgere del sole ed è per questo chiamato anche Lucifero. L’astro come una bussola, una stella polare, avvicina gli uomini diffidenti…Tu sei Venere, testimonianza precaria…quando appari fra i gigli di luce…tu sei Venere, e mi porti alle terre al di là del mare.
In tal modo ci addentriamo nell’atmosfera del viaggio e del movimento già allusa dagli stessi titoli. Abbiamo esempi come Esodo, L’Astronauta, Ulisse, L’orizzonte, Bivio… in altri invece il riferimento al viaggio è più sottile e sfumato, ma non per questo meno presente. È il caso di Ifigenia. La tua vita fantasma chiama nell’ostinazione dimenticata dell’abisso. Un’ignobile illusione [di Ifigenia]…ti chiama al riso per odiare e ferire. Oppure è il caso di Andromeda; di lei e del suo costone di roccia Lo Bue dice che sognava. Sognava un promontorio lontano. Sognava l’orizzonte della sua patria sanguigna.
In tale testo, come in Ifigenia, e in altri accostati a personaggi mitici o storici del passato, ritroviamo un tratto molto caratteristico della poetica dell’autrice. L’abitudine di intitolare a soggetti del mito o della storia e poi sorprendere il lettore. Nei titoli ci sono Andromeda, Ifigenia, Ulisse, Antigone, Maria Stuarda (si veda Itinerari)… e poi spariscono. Di loro, nel testo, rimangono figurine alluse ed evanescenti che solo il lettore più colto ed accorto sa scorgere. Questi personaggi, con il loro nodo di dolore e complessità, sono solo un pretesto per riferirsi ad altro, per ricucire un itinerario interiore e spirituale. Ogni strumento è usato a questo scopo, ogni solleticazione intellettuale. Si veda L’Astronauta. Nel testo troviamo: Sospeso…fra le sfere dell’etere amico, nel sapore del silenzio…sei albero di fortuna e percorso di solitudine.
Talvolta invece il movimento è tutto interno e mentale. Si legga Nella stanza, poesia suggerita dai quadri del pittore Vincent Van Gogh. Sgocciola il lavabo scrostato nel delirio giallo della tua stanza…nella lontananza del miraggio…quando geme il corvo di sabbia. O anima reclusa…tendi alla terra radiante delle altezze…spazia nel cielo senza province.
C’è in queste poesie il filo rosso di una colpa che aleggia, il catalogo indistinto della colpa dice in Ifigenia. Un complesso che, indistinto, seppur rimanendo indecifrato e indecifrabile, si dipana in un’architettura di sentieri e percorsi.
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Rosa Rempiccia
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