Enrico Marià – "Fino a qui"--- puntoacapo Editrice – Pasturana (Al) – 2019 – pagg. 81 - € 10,00
"Fino a qui" è una raccolta di poesie non scandita e tutti i suoi componimenti non
presentano titolo. Motivo conduttore, argomento del testo, è quello dell’infanzia
negata, connesso a quello di un’adolescenza a rischio vissuta nel mare magnum di un
ambiente a rischio, costellato da tanti aspetti negativi, come la droga e la delinquenza
minorile. Non si può affermare con certezza che il testo sia autobiografico, tuttavia ci
sono molti indizi che potrebbero confermare questa ipotesi. Quella di Marià è una
poesia non metaforica, a tratti elementare e quasi ingenua, poesia che trova la sua
espressione dominante in un linguaggio di taglio narrativo, affabulante, espressione
di una poetica a tratti minimalista; si tratta di una scrittura cruda che ci trascina dentro
gli eventi. Come modelli Maria prende i poeti americani della beat generation e non
solo quelli; del resto la sua scrittura, per certi aspetti, può essere considerata on the
road; un senso di nichilismo pervade questa raccolta. Descrizioni dolorosissime,
come quella del padre alcolizzato, caratterizzano il testo che, anche se solo in rari
momenti, si apre alla speranza. È l’urgenza del dire che salva il poeta, la parola nel
suo pronunciarsi, la poesia stessa, e il poeta non si geme mai addosso, anche se la vita
lo mette sotto scacco. Come in Cesare Pavese è qui presente il tema della memoria
dell’infanzia, che però qui, contrariamente che in Pavese, non viene mitizzata, come
un periodo idilliaco, felice. Al contrario qui viene messa in luce un’infanzia on the
road, nella quale il gioco preferito era quello di stare nello scheletro di un palazzo
demolito. I componimenti poetici sono di diversa estensione: alcuni sono brevissimi,
quasi epigrammatici, mentre molti altri sono molto lunghi e più articolati. La scrittura
di Marià è quasi del tutto priva di densità metaforica e semantica, tuttavia spesso
riesce ad essere icastica e tagliente. Tema dominante è quello di un quotidiano che si
realizza sulla pagina in quadri e immagini di forte pregnanza e sofferenza. Vengono
qui detti tutti i termini dell’abiezione umana dall’alcolismo, alla droga, fino alla
mercificazione del corpo. In un tessuto linguistica elementare i versi per la loro
diversa lunghezza, procedendo per accumulo, raggiungono un forte senso del ritmo e
una venata musicalità. Sembra delinearsi nelle pagine una variegata umanità di
giovani a rischio, detti dall’io-poetante (Claudio è morto, Stefano entra ed esce da
galera). Incontriamo nei versi una forte rabbia dell’io-poetante, che, in un passaggio,
dice di urlare come una bestia ferita e che in sé stesso non trova nessuna verità.
Quella di Marià è una scrittura antilirica e piana anche se, a volte, si apre in
improvvise accensioni, davvero molto alte. È centrale nel libro il conflitto
generazionale: emerge, a questo proposito il difficile rapporto con il padre violento
che non rispettava la madre. In realtà l’io poetante non aveva nessuna forma di
dialogo con suo padre e in una poesia, per cercare di annullare questa distanza, il
poeta indossa dei vestiti appartenenti a suo padre, quasi per esorcizzarne l’assenza;
tutto il testo è pervaso da una stabile tensione verso una vita più felice. Le poesie di
Marià sembrano delinearsi come un’accorata riflessione sul proprio vissuto, nel
tentativo di trovarne il senso più profondo; ne emerge, a tutto tondo, la tensione verso
un’ansia forte, davanti ad un esistere costellato da un ripetersi di solite azioni e
situazioni, davanti alle quali bisogna accostarsi nel tentativo di realizzare al meglio il
mestiere di vivere, per dirla con Pavese. Spesso c’è un tu al quale il poeta si rivolge,
del quale ogni riferimento resta taciuto. Un tono colloquiale caratterizza il dettato di
queste poesie, nelle quali emergono gli aspetti più tristi della nostra società, come, ad
esempio, l’intervento degli assistenti sociali, nei quali l’io poetante non ripone
nessuna stima. Sono presenti anche le tematiche della disoccupazione e della povertà.
Secondo una certa ottica, queste poesie potrebbero essere considerate come dei
monologhi in versi. Questi componimenti sono caratterizzati da una grande chiarezza
e da una forte vena descrittiva. Come afferma Luca Ariano nella prefazione, intitolata
Enrico Maria post beat pavesiano, il poeta, dopo una vita vissuta così non può che
essere pervaso da un demone interiore, non certo di stampo romantico, ma un demone
che ogni giorno divora l’esistenza, una bestia che fagocita tutto. Questa bestia ci
ricorda certe poesie di Caproni, soprattutto nel nichilismo che pervade tutta la
raccolta di Marià. La raccolta del poeta piemontese merita di essere letta e riletta e
sicuramente non lascia indifferente chi legge e ci si accorge di essere davanti a un
poeta che ha vissuto la vita come una coltellata, ma nonostante tante immagini e
vicende dolorosissime si riescono a trovare squarci di profondo lirismo: - “Voglio
vedere/ l’ultima onda di Genova/ trafitta dai raggi del sole/ ed esserne travolto e
marchiato sulla pelle/ per avere la certezza/ che nulla muore per davvero/” -.
Raccolta originale quella di Marià, spiazzante per le tematiche affrontate, che
raramente si riscontrano nell’odierno panorama italiano.
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Raffaele Piazza
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