Ivan Fedeli – A margine--- Giuliano Ladolfi Editore – Borgomanero – (NO) – 2019 – pag. 103 - € 18,00
Ivan Fedeli (Monza 1964) insegna Lettere e si occupa di didattica della poesia.
Ha pubblicato diversi percorsi poetici, tra cui Abiti comuni (Il Ponte Vecchio), Dialoghi a distanza nel volume Sette poeti del Premio Montale (Crocetti), Vie di fuga (Biblioteca di Ciminiera), Un mondo mancato (Il Foglio, finalista Premio Caput Gauri), Inventario della specie opaca (LietoColle, finalista Premio Sandro Penna e Teatro naturale (puntoacapo).
Gli sono stati assegnati il “Premio Montale”, il “Premio Luzi” per l’inedito, il Premio Gozzano” e il “Premio Vent’anni di Atelier”.
Il libro composito e curato architettonicamente, con maestria ed equilibrio tra le parti, è preceduto da uno scritto introduttivo di Giuliano Ladolfi intitolato C’è aria buona in giro.
Seguono il componimento Appartenersi in corsivo, che ha un carattere programmatico e le scansioni: Amici, Pendolari, Il mare dei poveri, L’amore imperfetto, Cieli, Ca’ di matti, Casa vacanza, La copertina rossa, Il numero tredici, A chiudere.
La chiave interpretativa dell’altissimo e originale volume ce la fornisce lo stesso Ladolfi nella prefazione quando parla, a proposito del clima in cui sono stati concepiti questi versi, di una vera e propria dossologia elevata alla vita, vita comune, vita di tutti noi.
Dossologia perché il poeta, senza nascondersi la fatica del vivere, sa chinarsi sull’umanità per riscoprirne il lato positivo.
Questa concezione nella quale la vita si fa vita in versi, per dirla con Giovanni Giudici, è vagamente simile a quella del poeta Roberto Mussapi quando parla di epica del quotidiano e qui viene da riflettere sul fatto che la nostra quotidianità è inserita in un postmoderno occidentale pacifico ma che quella di altre generazioni è ed è stata vissuta in tempi di guerre e dittature e quindi, se esistere è sempre difficile, è un privilegio abitare in una Milano dei nostri giorni che è lo spazio scenico di questo libro che ha una venatura teatrale.
È il senso del profitto domestico, del quale parla Antonio Riccardi, a essere l’etimo del discorso di Fedeli, profitto domestico come senso comune alla specie e siamo tutti sotto specie umana per dirla con Mario Luzi e quindi. come dice il prefatore, il margine del titolo si fa centro.
La vita stessa diviene, dunque, degna di essere vissuta abitando poeticamente la terra e vivendo poeticamente ogni momento come affermava Borges.
Il tessuto linguistico è fatto tout-court per un’immersione totale in esso del lettore e domina un senso di stupore creaturale dell’io – poetante che proprio scrivendo diviene persona ritrovando la propria identità.
Se il poeta è comunamente considerato dalle masse soggetto allo spleen e allo streben, persona malinconica nella vita e felice nella poesia (e qui viene in mente l’archetipo di Giacomo Leopardi) Ivan riesce a ribaltare questa concezione con un ottimismo e una capacità di stupirsi veramente rari nel panorama letterario di tutti i tempi ed è veramente bello il modo in cui viene detto non raramente Dio, immanente e quasi connivente, Dio come possibilità (zampino di Dio, mano di Dio).
Immensa la quantità d’ipersegno che trasuda dai componimenti di questa raccolta per la sua densità semantica nel discorso e coglie nel segno Ladolfi sul fatto che ogni singola composizione richiederebbe un’analisi e grande approfondimento perché qui la vita pulsa in ogni verso.
In questo inno alla vita a Milano, aggiungiamo, riecheggia lo slancio vitale di un poeta lontano anni luce da Fedeli che è l’indiano Tagore.
E oggi la poesia esiste e salva, scusandoci con Adorno per ritrovare quella che Pasolini chiamava "La religione del mio tempo", anche se da allora molto è cambiato.
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Raffaele Piazza
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